Corpo di donna. Paola Malloppo e lo specchio nudo. «I corpi sono tutti belli, perché bella è la loro attitudine ad accettarsi»

by Enrico Ciccarelli

Paola Malloppo, malgrado la giovane età, è una fotografa con oltre un decennio di attività. Di origini foggiane, si è trasferita da anni al Nord, dove insegna da precaria Italiano e Storia negli Istituti superiori. La raggiungiamo in remoto (Covid oblige) nella sua casa. Ci accoglie in modo sorridente (ha dei sorrisi globali, che involvono labbra, occhi e viso insieme, con un effetto di trillo sommesso) e rilassato, con i grandi occhiali tondi senza montatura che valorizzano il suo sguardo irrequieto e curioso.

Indossa gli immancabili orecchini che non toglie da quando frequentava le superiori (“sono stata costretta a toglierli per un intervento chirurgico ed è stato un dramma” ride), e ciondoli (una croce, una rosa, un pendente mancante) che sono legati ad alcune case della sua vita; parla con nitida e appassionata linearità del suo percorso artistico, che ha come focus il nudo femminile.

Nelle interviste dei tuoi esordi esprimevi il desiderio di vivere di fotografia. Sogno realizzato? Interrotto? Abbandonato?

Conciliato con la realtà, direi. In pochi riescono a vivere di fotografia – soprattutto se ne parliamo solo dal punto di vista artistico – ed io ho preferito andare su strade più sicure con l’insegnamento, che non considero una seconda scelta e che, in ogni caso, mi permette di raggiungere diversamente gli stessi obiettivi che mi sono prefissata in fotografia.

Ti definiresti femminista?

Oggi si parla di femminismi ed io trovo, nel mio modo di vedere le cose, diversi punti in comune con la maggior parte di questi. Quindi, sì, mi sento femminista. Anche con un certo orgoglio.

Nei tuoi nudi non c’è alcuna compiacenza per quello che potremmo definire il canone estetico. Il tuo obiettivo ritrae sia corpi bellissimi che “imperfetti”. È così?

Io fotografo donne che vogliono essere fotografate e che vogliono mettersi a nudo. Dal mio punto di vista i loro corpi sono tutti belli, perché bella è la loro attitudine, il loro accettarsi, il loro mettersi in gioco.

Che età hanno i soggetti che fotografi?

Non meno di diciotto anni, a volte aspetto anche qualche anno in più, e non solo per le possibili conseguenze penali; soprattutto perché credo che molte ragazze sottovalutino le conseguenze di questa scelta e mi piace lavorare con persone pienamente consapevoli. Il limite superiore è intorno ai quarant’anni, ma solo perché non mi è capitato di ricevere richieste da donne più mature, che avrei ritratto con molto piacere. Mai dire mai.

Cosa puoi dirci dei tuoi strumenti di lavoro?

La macchinetta che uso più spesso è la Canon av1, è una macchina dai tempi automatici che mi permette di concentrarmi di più sul soggetto, ma che al tempo stesso mi lascia molte libertà di impostazione (gestione dell’ISO, diaframma e messa a fuoco). I rullini variano a seconda del caso, a colori sono quasi sempre Kodak plus che, pur essendo molto economici, hanno una resa che amo molto, dai colori più caldi. 

Di recente ti sei opposta alle policies di Instagram in materia di nudo, in particolare hai detto che l’equiparazione fra nudo e “adescamento” è inquietante: perché?

Perché riconosce esclusivamente l’idea del corpo come merce di scambio e, per forza di cose, tutto viene ricondotto ad un rapporto duale, dove la voglia di una donna di mostrarsi nuda è sempre collegata al piacere dell’altro. Esclude completamente la possibilità che si possa posare nudi per se stessi, per combattere gli stereotipi, per arrivare ad accettare il proprio corpo ecc. Così facendo, Instagram ignora i nostri corpi e silenzia le nostre voci riducendole allo stereotipo del nudo-sesso-adescamento e impedendoci di staccarci da quell’altro contro cui lottiamo da una vita.

Hai anche avviato un percorso, diciamo così, di messa in guardia delle aspiranti fotomodelle dalle molestie o dalle vere e proprie violenze di alcuni fotografi. Fenomeno diffuso?

Purtroppo è un fenomeno diffuso in tutti gli ambiti. Ma in questo settore sono presenti meccanismi che facilitano enormemente le cose. Il desiderio di una ragazza a posare nuda è ancora visto da molti (a torto) come una dichiarazione di disponibilità sessuale; quel che avviene sul set è spesso privo di testimoni e molte ragazze che posano nude vogliono, per ragioni personali o lavorative, mantenere un basso profilo… un misto di questi fattori può portare decisamente alla mancanza di condanna per molti stupratori e molestatori.

Come difendersi?

E’ sempre bruttissimo dover combattere un fenomeno cercando di modificare il comportamento delle vittime piuttosto che quello dei carnefici, ma purtroppo lo Stato non ci protegge mai abbastanza e quindi si cerca di fare tesoro delle esperienze altrui, dispensando consigli e facendo rete.

Predatori e molestatori di questo tipo sono generalmente seriali, quindi è molto importante testare la reputazione del fotografo per cui posare, anche ascoltando le testimonianze di altre modelle e aspiranti modelle. Suggerisco inoltre, di non aver paura di dettare condizioni: la fotografia è un do ut des in cui la modella ha tutto il diritto di mediare con il fotografo, di farsi accompagnare sul set se non si sente a suo agio, di specificare quali parti del corpo non vuole assolutamente che compaiano in foto ecc. Detto questo, non voglio certo demonizzare il mondo della fotografia che rimane – per me – un mondo stupendo, in cui si può crescere tantissimo e fare esperienze straordinarie.

La tua attività di fotografa incide nella tua vita relazionale? Rispetto al tuo partner, per esempio?

Decisamente no (ride). Il mio compagno, anche lui di Foggia, rispetta profondamente quello che faccio, come io rispetto quel che fa lui. È un tatuatore, quindi anche lui ha rapporti ravvicinati con corpi nudi. Se la passione della persona che si ama e si stima dà problemi, credo si debba fare un gran lavoro su di sé per superare quello che è, a tutti gli effetti, un limite personale.

Parliamo di Foggia, allora: lì hai tenuto la tua prima mostra, “Censored”. Che esperienza è stata?

Bellissima. Ne sono profondamente grato al Fotocineclub e ai suoi soci. Mi piace ricordare l’appoggio e l’insegnamento di una persona che stimo molto, Nicola Loviento, che a mio parere è un esempio non solo di grande professionalità e competenza tecnica, ma anche di sensibilità umana e di sincero incoraggiamento ai giovani. Mi piace molto esporre nel Sud, dove è più forte la persistenza degli stereotipi, perché è lì che la sfida è più aperta e interessante. Censored ritraeva donne e ragazze della zona, mostrando corpi nudi e visi coperti proprio perché quando iniziai a scattare nelle mie zone, questa era la condizione che mi si offriva: scattiamo, ma non posso essere riconosciuta. Anche se erano foto digitali, non stampate nel migliore dei modi, sono rimasta molto affezionata a quella rassegna. Più recentemente ho esposto Self control, quella che io chiamo la mia mostra portatile, perché si tratta di non molte immagini in piccolo formato dedicate alla masturbazione femminile, nella sede dell’associazione Lazy Cat, presieduta dal mio amico Alfonso Errico. Spero ci siano altre occasioni in futuro.

I nemici più pericolosi per le donne sono la violenza e la brutalità o il perbenismo e l’ipocrisia?

In quanto femminista, non posso che risponderti: il patriarcato! E gli aspetti di cui parli sono solo gradini diversi della sua piramide. L’ipocrisia sul corpo e sull’erotismo femminile, favorita dal lungo potere della Democrazia Cristiana, caratterizza tuttora in modo notevole la nostra vita associata. Anche per questo credo fermamente che siano necessarie fotografie come le mie e quelle di molti miei colleghi.

Parlando di erotismo, qual è la perversione, il “peccato”, che più di altri ti piace ritrarre?

Anche qui sono le mie modelle a scegliere; per me l’importante è che esprimano se stesse nel modo che sentono più idoneo. Sul piano estetico trovo interessante il feticismo del piede, ma non so darti una spiegazione razionale.

Ultima domanda: perché una fotografa che ha ritratto centinaia di donne ha così poche foto di se stessa?

Non ti sembri paradossale: io non mi riconosco nelle fotografie che mi fanno. Mi riconosco però, nell’atto di fotografare, nel desiderio di indagine e scoperta. La mia fotografia è negli atti che compio sul set, nel lavoro non sempre certosino che dedico alla scansione, nella selezione delle immagini (non per forza legate all’estetica) e persino nei discorsi che possono scaturire da una foto. Questa è la mia fotografia migliore, per me.

Programmi per il futuro?

Riprendere dopo la pandemia ed espandere Self control.

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