Corpo e immagine di donna, tra simbolo e rivoluzione in mostra a Roma

by Michela Conoscitore

È possibile rintracciare lo scorrere del tempo, le evoluzioni di mode ed epoche storiche, sul corpo delle donne?

A questo quesito sembra voglia dare una risposta completa e definitiva la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, con la mostra Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione, in programma fino al 13 ottobre.

La risposta è affermativa, forte ed essenziale, perché sul corpo delle donne, che siano muse, angeli del focolare o figure tentatrici, è possibile leggere il susseguirsi di canoni socialmente approvati e rivoluzioni deflagranti. Il corpo e gli occhi delle donne come testimoni vivi e vitali non solo di cambiamenti sociali, ma anche di mutamenti avvenuti tra le mura domestiche dove, da sempre, avvengono piccole grandi lotte per affermare conquiste o sottolineare linee di demarcazione.

Le opere, quadri, sculture, materiale documentario e installazioni audio-visive, provengono da vari musei capitolini, e coprono un periodo che parte da fine Ottocento e termina con le lotte femministe degli anni Settanta. La mostra, che occupa due piani del GAM in via Crispi, si disloca in cinque percorsi tematici che, puntando su aspetti simbolici e preponderanti dell’universo femminile, illustra scenari storici e attimi rubati all’intimità quotidiana: amor sacro e amor profano, il corpo nudo, sguardi dell’anima, mogli e madri e identità inquieta. Gli occhi assistono ad un florilegio di significanti e significati, le opere mute eppure così comunicative parlano di epoche relativamente vicine e di conquiste recenti, di fascinazioni e fascinati, insomma di donne attive nella storia, di genere e non solo.

Donna non si nasce, lo si diventa”, diceva Simone De Beauvoir, ed è esattamente questo il concetto fondante della mostra. Si nasce femmine, ma l’identità di donna si conquista col tempo, attraverso percorsi collettivi e individuali, toccando e lasciandosi toccare, vivendo semplicemente tutte le esperienze proprie del cosiddetto gentil sesso. Non solo maternità, o l’essere mogli, ma anche l’arte, a volte inconsapevole, di affascinare. Inizia così, infatti, il percorso espositivo con dipinti di fine Ottocento inizi Novecento, in cui rintracciamo echi dannunziani: corpi di donne eterei e lascivi, creature ad un passo dalla dannazione che celano, dietro forme dolci e materne, insidie e incantamenti. Gli uomini, autori dei quadri di questa sezione, subiscono fortemente il fascino di questa donna di fin de siecle, e ne esorcizzano il potere raffigurandola, per comprendere l’origine di tanta energia. Così non si può far altro che ammirare La sultana di Camillo Innocenti, Le vergini savie e le vergini stolte di Giovanni Aristide Sartorio, o L’angelo dei crisantemi di Giuseppe Carosi.

A seguire, il corpo nudo delle donne, uno dei soggetti iconici dell’arte, imprescindibile punto di partenza per qualsiasi artista. In questa sezione si assiste già ad un qualcosa di diverso, a rappresentazioni orientate verso la veridicità, l’angelica immagine con l’emergere delle rivendicazioni femminili dei primi decenni del Novecento, evolve in una figura fortemente carnale e mortale. È nella caducità di quelle forme e di quelle posizioni, che lo spettatore, uomo o donna che sia, si perde, e comprende che il corpo di una donna può essere l’inizio e la fine di tutto, un incantesimo circolare a cui arrendersi. Lo testimoniano il Nudo di donna di Arturo Dazzi, o il Donna con fiori di Adolfo de Carolis: in un’esplosione di colori tenui, emergono, ribelli, forme che esigono di essere ammirate.

Cosa avrà visto Giacomo Balla nello sguardo della moglie Elisa? Nell’opera Il dubbio, il pittore futurista, che conosciamo per opere di tutt’altro genere, dinamiche e guizzanti, è risucchiato da quell’occhiata enigmatica, che lo lascia al confine tra innocenza e malizia. Per Balla sarà stato necessario fissarli quegli occhi, renderli immortali, per testimoniare il potere di un semplice sguardo, capace di così tanto magnetismo, in grado di suscitare invidia nelle donne che lo osservano in mostra, e timore negli uomini. Capannelli silenziosi si formano, di frequente, davanti all’opera di Balla che è tra le più apprezzate della mostra, poiché rappresenta in modo significativo l’inconscia alchimia degli occhi femminili.

Più cruda e realistica la sezione mogli e madri, a testimoniare quasi una presa di coscienza non solo degli autori delle opere, ma anche delle stesse donne che, influenzate anche dall’ideologia fascista, si ritrovano ingabbiate in schemi e ruoli che le relegano in esperienze felici sì, ma spesso anche sofferenti o imposte. Attese, di uomini e figli, che le prosciugano, per quanto tutto sia giustificato dall’amore. Un amore che loro sono quasi costrette a provare, perché è così che deve essere. Colpisce particolarmente la Maternità di Luigi Trifoglio, che raffigura una donna-madre esausta e sformata che assolve il suo compito, in cui la sua vita quasi si conclude. Anche Le spose dei marinai di Massimo Campigli, un dipinto dal sentore cubista, racchiude l’angosciante attesa delle donne-mogli, undici figure unite tra loro dalla speranza e dal destino unico di essere delle vulnerabili discendenti della mitica Penelope.

L’ultima sezione della mostra è quella più strabordante e sanguigna: la donna prende coscienza di sé, di quel che può fare col suo corpo e della sua vita, come essere pensante e libero. Si stacca dalla concezione che l’uomo ha dell’universo femminile, per darsi un nuovo significato. L’inizio di questo processo è rappresentato da Susanna di Felice Casorati: una donna nuda, a braccia conserte, che si discosta dall’uomo, vestito, che la osserva blandendola. Un corpo, quello di Susanna, che sembra voglia negarsi ma non ha ancora la forza necessaria per farlo. Il cammino sarà lungo, ma quell’idea di donna sempre disponibile e accondiscendente sarà spazzata via dalle lotte femministe degli anni Settanta. Non più donne, ma streghe, detentrici di una magia ritrovata o, forse, inesplorata e finalmente riconosciuta. Diametralmente opposte, emergono tra le opere di questa sezione il Senza titolo di Luigi di Sarro e Ambra Jovinelli di Paola Gandolfi.

L’esposizione si conclude con una poesia di Alda Merini, Farfalle Libere, che racchiude la forza e la contraddizione dell’essere donna:

Mangerete polvere,

cercherete d’impazzire

e non ci riuscirete,

avrete sempre il filo

della ragione che vi

taglierà in due.

Ma da queste profonde

ferite usciranno

farfalle libere.

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