Egidio Ambrosetti, la misura dentro il Bronzo: capacità tecniche leonardesche che anelano al Bene

by Giammarco Di Biase
Ambrosetti

Farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile

Sembrano parole bibliche quelle di Leonardo Da Vinci. Un racconto di genesi alabastrato, verbo calcitico per misurare mani e temperamento, creare non è mai stato così difficile come di questi tempi! La consapevolezza oggi non aiuta molto, parola essa stessa simulacrale, niente battito, niente fede e preghiera, certezza che qualcosa è solo iconico nella sua fine. L’arte è disossata dal liberalismo, ma oggi non parleremo qui di filosofia o di politica sociale ma spenderemo parole su un artista influente della seconda metà del Novecento. Eppure di Egidio Ambrosetti ne abbiamo sentito parlare poco negli ultimi anni, non gli è stata concessa neanche una biografia! Ma un’intervista sì (oltre a tanti pezzi su testate giornalistiche importanti) risalente al 2015.

Un anno in cui il poeta garganico Michele Totta nato a San Marco in Lamis, formazione classico umanistica, triennio di materie teologiche, plaquette e libri (Pietre di fuoco: poesie dal 1995 al 2000) di scrittura in versi e in dialetto, scrittore della restanza garganica, incontrò lo scultore del bronzo Ambrosetti per due sere consecutive, il 2 e il 3 settembre a Fiuggi Fonte.

Nell’introduzione all’intervista a Ambrosetti, dopo aver presenziato svariate mostre per ricordare lo scultore affetto da Parkinson, Totta ci narra il preludio alla sua attività di artista. Nato a Anagni nel frusinate, il 2 aprile 1956, figlio d’adozione frequenta la scuola dell’obbligo fino alla seconda media. Bocciato non vi fa più ritorno. Ha un amore innato: la scultura. Leandro Fabrizi, titolare di un laboratorio artistico per il marmo, fu il primo a scoprire il suo talento. Rimase meravigliato, invogliandolo a migliorare. Dava prova di cavarsela bene, a sbozzare marmo e statuine in miniatura.

Il maestro del marmo Tommaso Gismondi cercava un autista, Egidio Ambrosetti aveva la patente, ma fu assunto come tuttofare. Gismondi gli trasmise alcuni segreti nella lavorazione del marmo e del bronzo. Affinò così le sue capacità. Durò 12 anni, in seguito riuscì ad aprire per suo conto la piccola fonderia ancora attiva.

Il 31 luglio 1988 rappresenta il suo primo traguardo: la presentazione alla stampa e al grande pubblico. Una croce stilizzata- non con il tradizionale tronco di legno- presentata ad Acquaviva delle Fonti, in Puglia. Nel cimitero di Fiuggi, poi, realizza il “Ponte con crepa”, oltre il ponte un manipolo di angeli, opera simbolica: tanti ostacoli da sormontare ma oltre il ponte qualche graziosa creatura palpitando ci aspetta. Venne definito fin da subito “Lo scultore del futuro”.

Una mattina di giugno 1989 nel dormi veglia un frate rincuorandolo gli lasciò una benedizione “Se vuoi ti seguo. Ma voglio un volto mio”. E la visione scomparve. Il frate era Padre Pio, dal volto di padre Pio cominciò tutto.

Giuseppe Bellincampi critico d’arte scrisse di lui “Artista che aderisce all’Apletismo”, cioè al sublime, al maestoso, allo spirituale. Dunque la metafisica incarnata tra di noi. Si deve a un Monsignore del Vaticano la definizione che fa di Egidio Ambrosetti “Il poeta del bronzo”.

Il secolo XX ha minato ogni certezza nella fede e nella morale, per effetto del Relativismo, fede e arte, verità e bellezza, spirito eterno e materia, dicibile e indicibile, eternità e storia, tutto e nulla, l’atomo e il futuro, l’uomo e lo spazio, amore e morte. Sono accostamenti tematici che durano dall’alba dell’umanità- dice il Totta nella prefazione al dialogo saggio- nel ‘900 hanno preso una piega aconfessionale, rigurgito di agnosticismo e di ateismo. Continua ad aleggiare però, sul capo di tutti gli uomini, l’afflato perenne, non privo di mistero, in cui Dio scultore rivela se stesso nel biblico “Facciamo l’uomo a immagine e somiglianza nostra” di Genesi (1, 26). L’uomo martoriato nelle traversie della vita, bruciato come il bronzo, cerca l’anelito: il ritorno alla radice, alla grazia. Il nostro artista Egidio Ambrosetti, paladino di convinta fede, interpreta compiutamente quell’anelito universale. “E ricusa ogni scialba, frammentata pittura e scultura del suo tempo”.

Il bronzo che nella definizione dei Sumeri era “manufatto della cera perduta” nel III millennio a.C. regala assaggi di contemplazione, immerge in impeti di gratificazione. E’ recupero del senso del sacro che permea la vita.

Il bronzo cisposo, ruvido, opaco, esprime ombra, il brutto; quello lucido promana belluria, trasfigura luce, a cui orientare la mente. Scienza esatta e prospettiva spirituale, vagito sacro e perfezione tecnica, lavorio puro e di misura, duro, ferrigno, arso come arde la Natura alla sua purificazione sacrale, sembra ancora proferire verbo leonardesco, eppure Egidio Ambrosetti proprio come il grande artista, padre della fisiognomica, riferimento per ogni artista vive di una ritrattistica stupefacente. Somiglianza nei personaggi viva e impareggiabile.

Il busto o mezzo busto, come dicono i fotografi, è un’eccellenza sia in fotografia che nell’arte scultorea. Il capo ospita la mente e gli occhi, parti nobilissime, perché il volto umano è il documento della Storia, come dice Eutuschenko. Forse, perché è il capolavoro della creazione, in quanto coppa dell’anima.

Definito anche “lo scultore di padre Pio” realizzando del frate santo di Pietrelcina e San Giovanni Rotondo circa 40 opere, distribuite tra Italia e paesi dell’estero, di cui la più importante e potente è quella della canonizzazione. Padre Pio sorridente nella gloria dei Santi, dopo tanto penare. La statua posta per un po’ di tempo nella nicchia alabastrina centrale dell’altare maggiore al santuario delle Grazie, suo calvario e sua mistica scala, in San Giovanni Rotondo, contornata da sei santi cappuccini. Durante l’inaugurazione del monumento a padre Pio a Montorio Romano nella Sabina laziale, prendendo la parola padre Eusebio Notte, cappuccino, disse tra l’altro: “Tenetevelo caro questo scultore, definito il terzo al mondo, dopo Messina e Fazzini”.

Ambrosetti ha ancora paura del futuro, posto come autore e artista mite senza schieramenti, dedito alla cura del suo rigoglioso artigianato magnanimo, silenzio ma possente, ancora non evoluto, sintattico lotta con l’inflessibilità della sua misura di essere umano emergente. Ricerca e si cerca nell’opera continuamente, dopo anni di erratica adesione alla disciplina trova equilibro e sostanza vera, magmatica. Il suo diventa un temperamento artistico prorompente ma dismesso, porta a compimento il potere delle sue mani bronzate, trasla in una sincope religiosa il suo spirito in arte, sulla faccia del materiale vivo di fiamme, si sporge in una mistica, recupero totale dei suoi sensi fino a raggiungere la sua opera d’arte matura come Anelito al Bene.

Ritorna a San Giovanni, osserva i pannelli della via Crucis del Messina e si emoziona, eretta negli anni ’70 tra le pendici del Monte Castellano, il santuario e la Casa del Sollevo, lui che ha un posto nella vetta degli dei del processo scultoreo. Nell’intervista, alla domanda del poeta Michele Totta sull’opera di Francesco Messina, ne parla come un colosso di bravura nel 1900! Opera grandiosa di un uomo-Dio ingiustamente condannato. E Messina non è né ateo né indifferente. Ma un titano nell’arte del bronzo. Non essendo cristiano, avrebbe faticato molto a esprimere compiutamente il dolore di Gesù Salvatore. Ha avuto comunque ispirazione: Padre pio Cireneo è un’idea geniale, che trova la più ampia spiegazione nella sua “vocazione a corredimere”, come ha lasciato scritto.

Nella sua Via Crucis di Monte Solaro a Capri, opera del 2003, un bassorilievo, il cireneo è Ambrosetti medesimo, autoritratto con vestito in vello di pecora. “L’isola augustea e partenopea” – dice Ambrosetti – “meritava una Via Crucis.” Egli stesso poteva trasmettere e esprimere finalmente la sua fede.

Rita Levi Montalcini ebbe Egidio Ambrosetti a colloquio per mezz’ora. Incontra Giovanni Paolo II una ventina di volte e con tanta compiacenza anche il papa lo riceve ripetutamente. Dedica al Papa stesso un busto di pregio, estetica e finezza raffigurandolo fresco beato in fresco conio. Ne indovina il carattere giocondo, l’amico universale, grande sacerdote con sorriso ieratico e fragile. Il pensiero rincorre Lolek, nomignolo del Papa, irrequieto bambino a Cracovia.

Altro busto, compiacente velata malinconia, quella di Totò.

Non la irresistibile ironia, la battuta paradossale, nemmeno il genio inesauribile del Principe della risata. “C’è enigma, domanda di senso, nell’inatteso volto serio di Antonio de Curtis, sotto l’impavida bombetta.

E’ innegabile in lui, un impegno di paidea- continua Michele Totta scrittore garganico e giardiniere inflessibile- di ammaestramento dello spirito umano. Egidio artista poeta, propone il ritmo calmo e deciso, del vivere senza frenesia. Un parlare schietto schietto, da caccia di Dio (venatio Dei) senza fingimenti.

Quasi che un Dio scolpisse con le sue dita di cielo l’artista stesso Ambrosetti per contenerlo, misurarlo nella sua misura, equipaggiandolo di forma ferma, una combustione interna che non danna di sisma, ma rinchiude cineticamente come un terremoto una forza superiore, in un sottovuoto di baricentro che respira alture divine e mette in ordina la vita.

Agire misurato, parlare gentile rubato al silenzio, moderazione e fervore di fede, le qualità umane di Egidio.

Maestro Egidio, lei ha operato artisticamente nella seconda metà del ‘900. Quale valutazione ha maturato dell’arte novecentesca?

Vi è stato un cambiamento drastico nella ricerca del nuovo, per mano delle avanguardie. Ogni artista è un microcosmo. Va valutato per quello che esprime. E il Novecento è l’espressione di un’arte semi-figurativa. Tesa anche alla conquista dello spazio. L’Arte non sempre dà la giusta interpretazione delle cose. L’artista esprime un suo mondo, la sua ricerca. Perciò io non giudico il Novecento. Esso ha una sua validità. Merita giudizi equilibrati, senza acrimonia. Quanto a me vivo intensamente la mia arte.”

Molte sue opere presentano tratti di verde con venature di azzurrognolo. Quale messaggio porta quel colore?

E’ vero, sembrano zaffi di smalto. In realtà si tratta di polveri e pigmenti policromi. Il verde allegoria policroma, cioè un’accelerazione dell’evoluzione del bronzo, che per principio, invecchiando, maturando si fa verde. Dunque un anticipo di ossidazione.”

Ne “La mano di Dio” di Rodin, si direbbe che Adamo, così in prossimità del ventre di Eva, sia stato generato da lei stessa, o comunque da una sua costola. Questa sorta di riabilitazione o riscatto della figura della Donna alle origini può forse alludere a quel Rodin scultore pittorialista che ama troppo le donne, frequenti  soggetti dei suoi marmi di piccole e medie dimensioni, traboccanti di eros. Il tema della creazione è comunque molto caro a Rodin, fin dal momento in cui per la prima volta rivolse gli occhi palpitanti alla Cappella Sistina, durante uno dei suoi giovanili viaggi italiani. Ponendo Michelangelo come suo maestro ideale, lo scultore si avvia, con l’opera in questione, verso la sempre più preponderante riflessione artistica sul ruolo plastico ed estetico del non finito, giungendo ad affermare che “quando Dio creò il mondo, è alla modellazione che deve aver pensato per prima cosa“. La mano di Dio è in sostanza quella dello scultore, che crea il proprio universo e domina la materia.

Il discorso su Rodin, ad oggi, dopo tanti anni di padronanza scultorea possiamo traslarlo e potenziarlo nell’opera dell’Ambrosetti.

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