“Gli Ebrei, i Medici e il ghetto di Firenze”, in mostra a Palazzo Pitti il cuore antico dell’ebraismo fiorentino

by Valeria Nanni

La mostra inaugurata a Palazzo Pitti “Gli Ebrei, i Medici e il ghetto di Firenze” presenta al pubblico luci e ombre di una pagina poco conosciuta della strategia medicea verso questa etnia in Toscana. Così fino al 28 gennaio 2024 al secondo piano di Palazzo Pitti, visitando l’esposizione si potrà conoscere come si arrivò a rinchiudere gli Ebrei nel Ghetto, e quale vita si imponeva loro di svolgere all’interno. Proprio a Firenze, dove si celebrano pubblicamente le imprese eroiche di personaggi biblici come Davide, Giuditta e Giuseppe l’Ebreo, gli Ebrei non vissero sempre in pace. Visibili sono anche le testimonianze artistiche che provano gli apporti intellettuali, culturali e spirituali degli Ebrei in Toscana.

Il cuore antico dell’ebraismo fiorentino è scomparso a fine ‘800 insieme nel piano di risanamento del centro storico della città. Il ghetto ebraico di Firenze fu unico nella storia ebraica italiana. Di proprietà medicea, usato come fonte archivistica per la realizzazione di 200 mappe, era nel ‘500 uno dei luoghi più densamente abitati della città, perciò aveva le case più alte del circondario, diviso da molti quartieri all’interno. Contava 2 sinagoghe per le due etnie ebraiche presenti, 151 appartamenti, 55 botteghe, di cui una di produzione artistica, prima in Italia interna a un ghetto, e diversi accessi diretti all’acqua. Il Ghetto si presentava come luogo di segregazione, ma anche microcosmo umano, culturale e spirituale.

Così il curatore Piergabriele Mancuso presenta la mostra. Essa “ripercorre il complesso rapporto intercorso tra i Medici e la comunità ebraica. Il ghetto è snodo storico. Lo abbiamo ricostruito – in mostra – come doveva apparire nel 1700 sulla base di documentazioni. Con l’esposizione abbiamo raccontato la storia dell’ebraismo fiorentino in Toscana dal 1400 fino al 1938, quando il luogo del Ghetto fu trasformato nella parata finale della visita di Hitler a Firenze”.

Dire da quando gli Ebrei iniziano ed essere presenti in Toscana non è affare da poco, potrebbe essere accaduto nel periodo romano della città, o nell’Alto Medioevo. Erano organizzati in gruppi familiari. Nel Basso Medioevo a Firenze si intensificano commerci e attività di prestatori di denaro. Siccome la Chiesa Romana vietava ai cristiani di prestare denaro a interesse, questo lavoro era affidato agli Ebrei, ma questi non erano persone losche, anzi scelti tra i colti della società ebraica, ovvero esegeti, istitutori, poeti, filosofi, dottori della Legge, quabbalisti.

Il destino degli ebrei si intreccia con la famiglia Medici a Firenze nel 1400 quando Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo il Magnifico, nel 1437 concesse ai prestatori di denaro ebrei la prima Condotta, ovvero un documento che funzionava come permesso speciale per l’esercizio dell’attività temuta dalla Chiesa cattolica. I Banchi ebrei sono attestati in molte zone della città, come Santa Trinita e San Pier Maggiore. Sotto la Signoria medicea si instaura un bel rapporto con la comunità ebraica, testimoniato in mostra da codici miniati da amanuensi ebrei e miniatori cristiani, un lavoro culturale svolto in collaborazione. Inoltre i piccoli ritratti di Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico de’ Medici mostrano il volto dei due personaggi chiave nell’umanesimo fiorentino praticato nell’età della Rinascenza. I politici e mecenati medicei, promuovevano la cultura classica e contemporanea, dove importante posto era occupato dalla conoscenza della tradizione rabbinica.

Se nel ‘400 gli Ebrei furono protetti dai Medici, incuranti dell’opposizione della Chiesa alla tolleranza fiorentina, il clima muta alla morte del Magnifico, complice la politica popolare promossa del frate Girolamo Savonarola, fortemente restrittiva per gli stessi Cristiani e a tratti integralista. Un clima che abbassò la tolleranza e il rispetto reciproco e favorì idee antisemite. Nel 1494 verrà istituito il Monte di Pietà, per mettere un freno all’attività bancaria degli Ebrei. Una grande contraddizione savonaroliana è la condanna della perfidia ebraica da una parte e dall’altra la promozione della lingua ebraica perché considerata la radice del Cristianesimo. Ma il futuro riservava sorprese meno nere e “piagnone” per gli Ebrei.

In mostra campeggia su larga scala l’arazzo che racconta storie di Giuseppe l’Ebreo. L’opera d’arte tessile, realizzata su cartone di Agnolo Bronzino e Alessandro Allori e tessuta dal fiammingo Nicolas Korcher, non può che testimoniare l’altissima finitura dell’Arazzeria Medicea, e d’altro canto il grande uso politico e valoriale che Cosimo I a metà ‘500 fa dei temi biblici. Scopo è legittimare il suo potere e proteggere il Ducato di Toscana dalle ambizioni dell’imperatore spagnolo Carlo V e del Papato nella persona di Paolo III. Per circa 30 anni Cosimo e sua moglie Eleonora mantengono un clima sereno con la comunità ebraica. I due regnanti tessono amicizie personali tra i membri della minoranza etnica entrata ormai anche nel mirino della Chiesa. E qui si arriva alla necessità di rinchiudere tutti gli Ebrei di Toscana nel Ghetto.

Siamo nel 1570 e Cosimo I l’anno precedente ha ottenuto dal papa Pio IV di essere chiamato Granduca. Un titolo importante che va ben oltre la legittimazione del suo potere, adesso a Cosimo gli è riconosciuto di essere un gradino più in alto rispetto agli altri duchi sul territorio italiano. Come negare al papa il sogno di avere anche a Firenze la giusta sistemazione per la comunità ebraica? Roma aveva costruito il suo ghetto nel 1555, Venezia ci aveva già pensato nel 1516. Anche Firenze doveva adeguarsi. Cosimo I inizia a censirli, sono 700 gli Ebrei residenti nel Granducato e questi dovranno essere trasferiti nel Ghetto.

Si individua il luogo, il cento cittadino, quello che vantava gli antichi splendori di foro romano, poi diventato nel Medioevo il luogo del mercato. Vasari nel ‘500 aveva costruito anche la loggia per il mercato del pesce. Così piazza del Mercato Vecchio da luogo popolare di ritrovo cittadino diventa teatro della tragedia della divisione. Nasce un sottoinsieme B che chiamiamo Ghetto nell’insieme A che chiamiamo città , una forma urbanistica adatta a comunicare intolleranza. Gli Ebrei trasferiti nel ghetto non possiedono le case dove sono costretti a risiedere, e dovranno pagare l’affitto al Granducato il quale avrebbe restituito loro solo il 5% di interesse. L’unica attività commerciale che potranno esercitare sarà la strazzeria, ovvero la vendita di tessuti usati. Perché il papa lo aveva scritto chiaro nella bolla del 14 luglio 1555 “Cum nimis absurdum”, e anche Firenze doveva applicare quelle rigidità. L’infelice documento è visibile in mostra.

Nel 1705 per volere di Cosimo III de’ Medici il Ghetto fu ampliato, distinguendosi nella parte vecchia e in quella di nuova costruzione, adiacente l’antica. Il plastico ricostruito in mostra ricalca l’estensione maggiore del Ghetto, la cui fine ufficiale la dobbiamo alla Francia rivoluzionaria nel 1799. Ma il riconoscimento degli Ebrei come cittadini è avvenuto solo nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia.

“La mostra è frutto di oltre un decennio di ricerche – ha detto Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt – In un momento storico che vede nuove ondate di antisemitismo cinico e odio razziale contro gli ebrei, è particolarmente importante rendere il grande pubblico partecipe delle sofferenze degli ebrei nella nostra città durante i tre secoli di esistenza del ghetto. Ma è ancor più fondamentale rendere noto il contributo ebraico alla cultura fiorentina e italiana, nonostante tutte le difficoltà”. Sono infatti visibili in mostra opere pittoriche di Jona Ostiglio, pittore barocco ebreo, riscoperto ultimamente nei depositi degli Uffizi, a cui i Medici richiesero diverse committenze, e l’attività di Moisè Vita Cafsuto, ebreo avventuroso e gioielliere presso le corti dei Medici e poi dei Lorena.

Oggi il Ghetto di Firenze non esite più, perché dopo anni di abbandono da parte della comunità ebraica fu distrutto secondo il piano di riqualificazione urbana di fine ‘800, che riguardò la distruzione di un intero centro urbano, ricco di chiese, vicoli, piazze. Piazza del Mercato Vecchio è solo un ricordo e l’attuale Piazza della Repubblica sussurra solo a studiosi una storia che è stata cancellata.

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