Gomez, dalle mani di Dalì alla Contraccademia

by Fabrizio Stagnani

Vicoli privi di parallelismi del borgo antico di Bari e linde nascoste piazzette il percorso da fare per raggiungere la scalinata di Santa Teresa dei Maschi, chiesa sconsacrata ora antro di un omone che il più delle volte lo si trova mentre brandisce esili pennelli come rami di nocciolo, Miguel Gomez. 

Tre settimane, sino al 18 maggio è rimasta aperta lì la sua mostra “Sacro Profano Virtuale Reale”. Un titolo non a due ossimori, ma bensì quattro significati intrinsechi alle sfaccettature delle opere. “Arcangeloil”, fra le altre figure divine come un crocefisso e una madonna, un san Michele che lotta con dei galloni di petrolio sotto i piedi più che con il convenzionale serpente sta a rappresentare il sacro del Maestro Gomez. Una collezione risalente al 2012, all’epoca intitolata “EroticaMente”, è palesemente la parte profana della mostra con i suoi nudi e pose erotiche di corpi femminili, anche ogni tanto macchiati da note fetish.  Video arte proiettata in un labirinto di facciate, il virtuale. Ritratti di volti veramente conosciuti lungo le strade battute dall’artista, il reale. Quattro aspetti concretizzati su tele e pareti accomunati da uno stile pop e al tempo stesso fauves che ricercano i loro abbinamenti cromatici nell’universo optical. Bidimensionalità ottenute dall’accostamento di colori piatti e giochi di luce sui volumi.

“Quella sulla luce è una ricerca che conduco da oltre vent’anni – mentre pennella la veste di una donna ancora abbozzata, fa presente, lontano dagli pseudonimi, Michele Loiacono – in particolar modo ho approfondito lo studio sulle frequenze di luce. Mi sono divertito a miscelare i colori reali, quelli materici, il colore puro presente nel tubetto, con la tecnica delle frequenze quando questi vengono applicati sulla tela. Così facendo la lettura dell’opera è doppia, una data dall’accostamento cromatico, l’altra è psicologica. Psicologicamente leggiamo la composizione del colore. L’equilibrio che ammalia è dato dalla compresenza reciproca, pur se minima, di ogni elemento puro presente sulla tavolozza negli altri. Praticamente nel rosa dell’incarnato di un volto riporto un punto di ogni altro colore presente nel resto dell’opera. Piccole presenze che vengono percepite come frequenza di luce, quindi psicologia. Sono opere che oggettivamente vengono recepite come molto luminose, il merito è sia nell’abbinamento di tinte chiare con quelle scure, ma la luminosità è accentuata per mezzo dell’applicazione della teoria frequenza di luce all’impasto dei colori.”

Difficile non notare tra le mani dell’artista proprio la tavolozza sulla quale accadono tutte queste alchimie. Foto per l’impugnatura del pollice, sì ispessita da molteplici strati di colore rinsecchito come tante, ma (sarà per il modo in cui viene fatta piroettare tra le mani del suo proprietario) sembra celare altro. 

Bella vissuta quella tavola, ha una storia?

“E’ un pezzo della mia vita! Quando mio padre, anche lui autore di opere, viveva a Parigi conosceva degli artisti molto importanti, tra questi Salvador Dalì. Durante uno dei tanti incontri amichevoli che abbiamo avuto con lui nel suo studio mi regalò una tavolozza già strausata, questa che sto usando ora! Me la regalò facendomi promettere che l’avrei adoperata. C’ho messo trent’anni a decidermi per inforcarla, prima la conservavo come un cimelio, ma ora la uso … non per tutte le mie opere, ma di certo per quelle a cui tengo in maniera particolare. E’ una bella vibrazione avere la sua tavolozza tra le mani.”

Al cospetto di un artista di matrice così glocal risulta difficile non indagare sullo stato generale dell’arte sul territorio. Figlio d’arte, ricercatore, operatore culturale, autore da sempre, qual è la condizione del mercato dell’arte sul nostro territorio?

“E’ controproducente lamentarsi sempre. Bari, per esempio, rispetto a tante altre città registra tanto movimento, non lo possiamo negare. Indubbiamente potremmo essere più e meglio organizzati. Per ora accontentiamoci di quello che sta accadendo. Resta che ognuno deve fare la propria parte. Lamentiamoci, ma adoperiamoci per fare le cose. Non bisogno aspettare che sia sempre l’amministrazione a dover supportare a tutti i costi le attività culturali. E’ loro dovere farlo, indubbiamente. Ma noi operatori dobbiamo impegnarci sempre più.”

Miguel Gomez è anche Bibart, la Biennale Internazionale d’Arte, con la quale ha riscontrato un dilagante successo con l’ultima edizione che ha registrato ventiquattromila visitatori. Non solo un’esposizione, non solo un concorso, un focolaio di artisti a confronto.Quali sono le frontiere che stai raggiungendo con Bibart?

 “Abbiamo da poco creato una rete di residenze artistiche europee. Siamo collegati ad altre istituzioni in Germania, nella Repubblica Ceca, in Polonia, in Ucraina. Come Bibart, come Santa Teresa dei Maschi, abbiamo istituito una borsa di studio che consente ad un artista straniero, quest’anno abbiamo una studentessa spagnola, di essere ospite per tre mesi nelle nostro laboratorio e galleria a fare arte totalmente libera. L’invito è fargli conoscere la nostra città, entrare nel tessuto della città, conoscere le nostre tradizioni e produrre opere.”

Non pago Gomez è pronto, il 25 maggio, ad inaugurare la sua “Controaccademia”. Nel contesto di Sante Teresa dei Maschi, chiesa barocca del 1600, gestita dall’Associazione Culturale Valisa Cultura Onlus, che ormai profuma più di colori ad olio e solventi che di incenso, si inizierà ad ospitare ogni forma di arte visiva. Una galleria d’arte anomala che aprirà le porte a pittura, scultura, fotografia e videoarte. In cosa l’innovazione della Contraccademia?

“Gli artisti potranno venire qui a creare. Liberamente e gratuitamente saranno accolti con i loro strumenti, cavalletti o quel gli serve più, nel mentre che le esposizioni saranno aperte al pubblico. Finalmente uno spazio aperto da condividere con altri artisti. Per me è importante che gli artisti facciano comunità. Gli scambi sono un motore fondamentale. L’invito è di uscire dai propri studi, per chi lo ha, e venirsi ad incontrare mentre si lavora in questo luogo per lavorare gomito a gomito, insieme!”

Voltando le spalle a quello che un tempo era un altare, ora sito per la diffusione di audiovisivi artistici contemporanei, guardando l’uscita, Gomez vuole regalare un’ultima perla, il costrutto di un’opera affissa, che risulta difficile non attiri l’attenzione dalla coda dell’occhio. Un suo dipinto che inconfutabilmente rievoca la poetica di Dalì, che quasi certamente instillò nell’artista l’indole estetica.

“L’opera La persistenza della memoria fu ispirata da una fetta di camembert che si adagiava morbidamente dal suo contenitore, dal quale strabordava, sul tavolo. Il piatto su questa tela rappresentato richiama non esclusivamente l’immaginario dell’orologio famoso di Dalì evocativo della persistenza della memoria. Una sera il Maestro doveva andare a teatro con Gala dopo cena. Rinunciò alla serata, mentre la sua compagna decise di uscire, lasciandolo a casa da solo. Mentre era da solo a casa, osservava la tavola imbandita sulla quale avevano cenato. Un fetta di camembert, uscendo dal piatto, si stava lentamente appoggiando alla tovaglia. Ebbe l’illuminazione! Decise come completare un’opera che aveva già iniziato da tempo, che terminò nelle due ore seguenti. Quel camembert diventò il suo ben noto orologio. Ho voluto riprendere nella mia rappresentazione proprio l’idea del piatto che lo indirizzo alla maieutica e dargli la forma della persistenza della memoria.”    

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