Il collezionista Tommaso Fontana e quella “scelta di futuro” nell’arte contemporanea

by Antonella Soccio

I fattori che scatenano il desiderio dei collezionisti sono principalmente quello emotivo e quello sociale. Solo dopo arriva il fattore finanziario. Per Tommaso Fontana, come egli stesso ha raccontato nella biografia “Il vissuto dell’arte. Quarant’anni di collezione”, l’approccio a diventare collezionista d’arte moderna e contemporanea è sempre stato quello della passione. “Anche se è indispensabile una profonda conoscenza del mercato, l’obiettivo non può mai essere il guadagno economico”, diceva. 

Con questi segreti e con la sua profonda conoscenza e il fiuto per l’arte contemporanea, si è spento l’11 maggio scorso a San Menaio sul Gargano, che tanto ha amato, il manager internazionale Tommaso Fontana, lasciando nella infinita tristezza sua moglie Menuccia, i figli Emy e Sergio.

Nato il primo gennaio del 1935, in una famiglia di farmacisti- i suoi parenti sono gli imprenditori di Farmalabor e Sergio Fontana è suo nipote- Tommaso Fontana scelse subito di dedicarsi all’economia, divenendo in breve tempo manager di una importante multinazionale americana. La passione per l’arte è arrivata prestissimo.

Gli inizi

“L’acquisto di un’opera d’arte, che spesso rappresenta un modo per sfuggire alle nevrosi del mondo d’oggi, non deve mai essere vissuto come puro e semplice investimento di danaro, perché, anche se si possono a volte ottenere soddisfazioni economiche in un breve periodo, momentanee e passeggere, esse potranno trasformarsi nel tempo in delusioni sia artistiche che finanziarie”, ha scritto nella sua biografia.

Noi di Bonculture abbiamo cercato di ripercorrere la sua figura attraverso sua moglie Menuccia Fontana, originaria di Cerignola, ambientalista e tra le fondatrici nei primi anni Novanta del movimento che condurrà alla creazione e alla istituzione del Parco del Gargano, con la nascita di una consapevolezza collettiva per le aree protette nel Mezzogiorno d’Italia. Il suo racconto di quei turbinosi anni di boom economico, tra mercanti d’arte e case piene di opere, lascia senza fiato.

“Siamo collezionisti di arte contemporanea, i nostri figli si sono realizzati in quelli che per noi erano degli hobby. Mio figlio è archeologo e mia figlia Emy è una critica d’arte, per 20 anni ha avuto una galleria a Milano e ora vive a Los Angeles. Abbiamo vissuto 15 anni a Milano, lì è iniziata la nostra passione. Eravamo giovanissimi, avevo 20 anni e Tommaso 25 anni, è stata un’avventura entusiasmante, cominciò a comprare quadri subito. La nostra idea era di non avere opere dell’Ottocento, volevamo aprire una riflessione sul nostro tempo e non su quello dei nostri genitori. La nostra era una scelta di futuro, infatti acquistammo nel 1961 un francobollo di Telemaco Signorini, Gioie Materne. La nostra era una scelta culturale, tutti allora compravano Cassinari, Carrà, Campigli, erano quelli gli artisti quotati nei nostri ambienti. Tommaso invece vedeva oltre l’arte del periodo, capiva in anticipo alcune tendenze dell’arte, una sua frase che fu oggetto di scherno e di una lettera anonima, lo sintetizza: “L’arte col pennello è finita”.

Per un intuito e una scommessa culturale Tommaso Fontana cominciò ad acquistare i quadri dell’artista suo omonimo, Lucio Fontana. Oggi la famiglia di Menuccia, grazie all’estro di suo marito, è la più grande collezionista privata di opere del maestro dello Spazialismo e dei tagli. “Fontana, nel nome un destino”, è intitolata l’unica intervista rilasciata dal manager a Terz’Occhio, un trimestrale di arte e cultura.

I tagli

“L’arte di Lucio Fontana in quegli anni era ancora ignorata, in dialetto milanese lo chiamavano quello dei buchi, non era assolutamente capito- prosegue Menuccia- Invece lui è stato la rottura, il suo famoso taglio è plasticamente traducibile nella rottura con l’arte, per andare oltre il quadro. Comprammo anche qualche De Chirico, ma Tommaso si dedicò a Lucio Fontana. Nel 1973 mio marito è stato trasferito a Roma e lì cominciammo a frequentare il mondo dell’arte, facemmo amicizia con Sante Monachesi, conosciamo anche la figlia. Mio marito è stato considerato uno all’avanguardia nelle sue scelte, ha avuto sempre un occhio particolare. Devo ringraziarlo, perché mi ha lasciato una grande autonomia, è stato per lavoro moltissimo fuori, la mia formazione è avvenuta a Milano, conoscevo il Gargano, cominciai a frequentarlo come luogo di villeggiatura, è lì ho maturato la mia coscienza ambientalista. Volevano fare una centrale nucleare a Lesina, la mia battaglia nacque per difendere questo territorio. Il presidente dell’epoca Nicola Quarta aveva pensato a Lesina, come sito per delle centrali nucleari. Allora, e forse anche oggi, era un territorio abbandonato di cui non si vedeva la sua vera bellezza, fondai sul Gargano una sezione di Italia Nostra, il mio impegno durò tantissimo tempo insieme a Sabino Acquaviva, sociologo di Padova. Erano gli anni in cui avevamo Gae Aulenti a colazione nella nostra villa di San Menaio, quando l’architetta milanese fu chiamata dal professor Maratea per progettare un albergo diffuso a Vico del Gargano”.

La collezione Fontana, oltre ad un larghissimo numero di opere di Lucio Fontana appunto, può fregiarsi di quadri di Giacomo Balla, Kandisky e tantissimi altri.

Come mai oggi Balla piace così tanto ed è sempre più utilizzato per locandine e spot di grandi eventi?  “Beh perché soddisfa una contemporaneità in fondo- risponde Menuccia- lui è stato quello che nel Futurismo, dopo essere stato un grandissimo figurativo, ha interpretato meglio la modernità con FuturBalla. Un altro come lui è Capogrossi, che noi anche acquistammo. O anche Mimmo Rotella. Lucio Fontana resta però il più grande innovatore che ha aperto la strada ad artisti come Flavio Castellani”.

Suo marito ha mai acquistato sculture, così fondamentali nell’arte contemporanea? “Abbiamo una piccola scultura di Mirò, molto raffinata, avevamo dei Leoncillo in ceramica, ma a lui non piaceva la scultura, la riteneva, per il suo animo, minore, non gli dava la stessa emozione della pittura. Anche da Pomodoro, non ne è mai stato attratto. Ci fu regalata una splendida deposizione di Arturo Martini. Noi cominciammo con piccole opere di Boldini e Signorini, la scultura non ci emozionava”.

Il mercato dell’arte

Per anni la famiglia Fontana è stata tra i “prestatori” di opere d’arte per i Musei di tutto il mondo. Tommaso e Menuccia non hanno mai pensato di aprire una casa museo, come è consueto fare nelle campagne inglesi.

“Viviamo con i nostri quadri. Mio marito non ha mai voluto creare un museo, anche se molti critici gli dicevano continuamente che la nostra collezione dovrebbe essere vista dagli studenti, perché è molto armoniosa, parla del vissuto dell’arte dagli anni Sessanta in poi”.

Come nasce il primo acquisto di un taglio di Fontana? Menuccia sorride. “Il primo Fontana lo trovammo nella nostra stessa casa: abitava un medico, che si innamorò di una tela di Ennio Morlotti, Il letto delle lamiere, che noi avevamo.  Il primo Fontana fu un cambio con un Morlotti”.

Oggi tutta la passione per l’arte è riposta nel lavoro e nella competenza della figlia Emy Fontana, una critica, curatrice e conoscitrice apprezzatissima negli States con la sua associazione West of Rome. “Nei 20 anni da gallerista a Milano non ha fatto che scoprire talenti, non ha mai trattato i quadri, è andata oltre molti suoi artisti. Ha ospitato tantissima fotografia. Ha un magazzino e ha avuto col tempo un cambiamento: l’arte non è solo oggetto da mercificare, di fronte a questa realtà ha deciso di scrivere solo d’arte”.

L’ultimo pensiero va a suo marito, il formidabile collezionista. “L’anno prossimo Tommaso ed io avremmo compiuto 60 anni insieme, può immaginare quanti stadi di vita abbiamo attraversato, è stata un’avventura molto ricca e piena di cultura e di emozioni”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.