“Il restauro ha tirato fuori la forza e la qualità del dipinto”: il ritratto di Leone X di Raffaello torna a Palazzo Pitti

by Michela Conoscitore

Il ritratto di Leone X di Raffaello, uno delle ‘superstar’ della fortunatissima mostra dedicata all’Urbinate alle Scuderie del Quirinale a Roma è stato riaccolto in questi giorni a Palazzo Pitti di Firenze, sua ‘casa’ abituale, tra gli altri capolavori della Galleria Palatina. Il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt con il soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, Marco Ciatti, hanno presentato in questa occasione durante una conferenza stampa, i risultati del restauro a cui il dipinto è stato sottoposto prima della grande mostra romana.

Grazie alle stesse Scuderie del Quirinale, in collaborazione con Lottomatica, uno dei quadri più significativi di Raffaello ha recuperato la sua antica magnificenza, a partire dai colori vitali della tela: “A Roma è stato ammirato da ben 190.000 persone, ora che è tornato a Palazzo Pitti possiamo osservarlo, contestualizzandolo nella serie di interventi di recupero che lo hanno interessato”, ha raccontato Schmidt. “Nell’allestimento che abbiamo ideato per illustrare i risultati del restauro ad opera dell’Opificio delle Pietre Dure, il ritratto di Leone X sarà protagonista assoluto fino al 31 gennaio. Ricordando ancora la mostra alle Scuderie del Quirinale, un terzo delle opere esposte proveniva dagli Uffizi e da Palazzo Pitti. Nessun altro museo al mondo possiede una simile concentrazione di opere dell’Urbinate: è come se ospitassimo una sua mostra permanente” ha concluso il direttore Schmidt.

Il quadro, che ha ben 502 anni, arrivò a Firenze nel 1518 in occasione delle nozze tra il nipote di Leone X, Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e Madeleine de la Tour D’Auvergne; ritrae il pontefice Medici con altri due membri dell’illustre famiglia fiorentina, i cugini Giulio de’ Medici, il futuro Clemente VII, e Luigi de’ Rossi. Dipinto con la tecnica ad olio la scena, dopo il restauro cominciato nel 2017, ha riacquistato spessore e tridimensionalità oltre che la colorazione originale e ha permesso di svelare, riportandole alla luce, le pennellate del grande maestro rinascimentale.

Il dipinto, che rientra nel filone della ritrattistica, sa attrarre l’attenzione del visitatore con vari particolari come la Bibbia lasciata aperta sul tavolo vicino al pontefice: quel tomo esiste ancora, conservato presso la Kupferstichkabinett di Berlino, ed è un preziosissimo e lussuoso codice miniato proveniente da Napoli, commissionato dalla regina Giovanna D’Angiò alla bottega del famoso miniaturista Cristoforo Orimina intorno alla metà del XIV secolo.

I primi interventi da parte dell’Opificio delle Pietre Dure sulle opere di Raffaello, conservate presso le Gallerie degli Uffizi e Palazzo Pitti, risalgono al 1938. Ciò ci ha permesso non soltanto di conoscere la tecnica del pittore ma anche di quantificare l’eccezionalità della sua maestria che ha contribuito a far sì che le sue opere, oggi, non abbiano bisogno di attenzioni particolari”, ha spiegato il soprintendente Ciatti, che ha proseguito “le indagini diagnostiche effettuate hanno portato a dei limitati interventi sulle strutture lignee del quadro e una pulitura della superficie pittorica per liberare l’opera da restauri precedenti tra cui quelli francesi, dopo che fu portato in Francia dalle truppe napoleoniche. Il restauro ha tirato fuori la forza e la qualità del dipinto, mettendo in evidenza le connotazioni genuine della tecnica raffaellesca”.

Due anni di attente analisi e cure che hanno contribuito a dirimere anche un dubbio che aleggiava sul dipinto: molti studiosi, infatti, pensavano che le figure secondarie dei due cardinali Medici fossero state aggiunte in un secondo momento e, soprattutto, non fossero opera di Raffaello. Dopo l’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure che ha analizzato le fitte incisioni, individuando l’architettura di sfondo e poi la stesura pittorica, si è scoperto che le figure erano già state disegnate e impostate dallo stesso Raffaello confermandone quindi l’autenticità.

Marco Ciatti, Oriana Sartiani ed Eike Schmidt

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