“Io sono te, I Am You”, l’abbraccio artistico e i vincitori della Mostra della XIV Florence Biennale

by Valeria Nanni

Le relazioni sono sempre complesse. Pensarle in forma artistica aiuta a comprenderle. Esiste “un te” che si chiama essere umano, esiste “un altro” che si chiama ambiente, naturale, artificiale e persino digitale. Una complessità tradotta da “Io sono te, I Am You”, tema che i direttori della Mostra della XIV Florence Biennale internazionale d’arte di Firenze hanno proposto a 600 artisti contemporanei. 10 i vincitori secondo le varie categorie in concorso, con opere esposte in mostra fino a domenica 28 gennaio 2024 da ammirare gratuitamente nella Sala delle esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenzein via Ricasoli 68.

Visitare esposizioni come questa può avere il fine di ricercare risposte o proposte e persino intuizioni su domande meditative intime e personali di ognuno. Entrando con questo spirito le opere iniziano a rispondere, a provocare, a stupire.

Si parte da un abbraccio, dalla fotografia artistica scelta come simbolo della Biennale, opera artistica di Viktoria Andreeva. Due corpi resi laconici a ricordo dei marmi delle sculture, privati delle teste identificative, presentano l’abbraccio, una relazione ravvicinata di fronte alla quale la paura svanisce, le carni si avvolgono, l’esatto opposto della solitudine prende forma. Il sussurro del tema “io sono te” si risolve nel gioco di relazione armonico. Nessuno prevale se ci si sostiene a vicenda.

Si continua indagando sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Come un piacevole inganno visivo si presentano le opere di Jean-Miche Bihorel. Una bella addormentata diventa terra emersa verdeggiante, accarezzata dall’azzurro delle acque. Se ad essa aggiungiamo la sedimentazione dei ricordi essa può apparire terra malinconicamente gelata, poi caldamente rossa da rabbia o piacere. A volte il ricordo si comporta come una terra vulcanica, dalle cui fenditure viene fuori lava infuocata, a volte si posa placido come innumerevoli foglie autunnali attorno a una scultura immobile.

Persino gli aspetti ambientali, politici e sociali possono avere reazioni tra loro o all’interno di loro stessi. L’installazione multimediale di Matteo Zamagni ci porta ad esplorarle in modo critico ed emotivo pur nelle loro turbolenze. E l’uomo, l’essere umano, è costretto ed essere nel sistema molteplice di quelle stesse relazioni, incastonato nella natura, tecnologia e politica. Perciò “io sono te” in un complesso continuum di fenomeni, da locali a globali, tracciando l’evoluzione della coscienza.

La corporeità prende forma nuova nel supporto materico dei quadri originali di Patrizia Casagranda. L’artista ha inventato un particolare supporto composito e visibilmente materico, dallo spessore fortemente prorompente, grazie al quale le immagini sembrano pixellate a grana grossa, il cui contenuto pittorico si svela a distanza. Le sue immagini femminili sono volti sensuali o spenti dall’uniforme militare, fortemente decisi con l’impugnatura del mitra. Sono donne ucraine che hanno inviato i loro scatti all’artista che ne ha fatto interrogativo: noi siamo loro? Quali conflitti combattiamo, di quali ideali ci vestiamo?

Così la relazione si sposta all’interno di ciascuno di noi, nei nostri corpi a volte troppo interrogati da una impossibile e ingiusta perfezione auspicabile. Così ci parlano Lynn Guo e Viola Panik attraverso un quadro che mostra una modella in forme abbondanti corporee, nell’atto di misurarsi col metro da sarta il suo punto vita, ma non si guarda, guarda noi con sguardo spento. Di fronte ad uno specchio il suo body chiaro velato appeso ad una gruccia per abiti, al di sotto un monitor che mostra il video della performance realizzata in Biennale. Sul suo body indossato i presenti erano chiamati a scrivere una parola edificante da dire a se stessi. “Attraverso i tratti della pittura e la poesia della performance, sveliamo l’arazzo dell’autocritica, tessendo una sinfonia di trasformazione. In mezzo alla vergogna del corpo, la tela diventa uno specchio”, spiegano le artiste.

La corporeità può imporsi maestosa gridando il suo essere, la sua presenza, come le sculture di Marco Oliver, che da aeronautico militare e giocatore professionale di golf diventa artista fondendo bronzo e alluminio. L’essenza umana in lui si impone nel contesto ambientale, contrariamente alla spersonalizzazione o sensazione di essere troppo piccoli in un mondo grande e affollato.

Poi la corporeità diventa egocentrica, spettacolare, accattivante, nella fotografia scenica di Mati Gelman. Prende carattere unico, produce atmosfera magica attorno a sé, con la natura e con l’altro. Questo difficile altro però più è diverso più ha il potere di esaltarci. Dalla relazione si può uscire vincitori insieme, e quella corporeità diventa tanto vera quanto sublime e spirituale. Un percorso che si ottiene soltanto muovendosi, come tutto si muove e muta intorno, perché vivo. Io sono te, quindi vivo.

Il mio altro può assumere le vesti del passato, della storia e del mito. Così Carlo Zoli, ceramista, affida ai due sacri fratelli Castore e Polluce il sussurro complice dell’Io sono te. Le 10 statuette in terracotta policroma in mostra sono pezzi unici ispirati al mito, storia e leggenda. A volte le risposte possono essere rintracciate nel sistema di antichi saperi, come in questo caso la storia dei due gemelli mitici inseparabili e complementari, aprono a riflessioni sull’identità individuale e collettiva, immedesimazione dell’altro.

Persino un’iconografia sacra come l’Arcangelo Michele, guerriero contro il male, può offrire la metafora dell’umanità che si scontra contro la catastrofe nell’Ultimo volo, titolo dell’opera pittorica dell’artista Hector Accevedo. Qui la relazione si fa lotta esistenziale, una battaglia che si combatte non nel cielo ma all’interno dell’uomo, al tempo delle guerre fratricide e del riscaldamento globale galoppante. In mostra si incontra anche l’opera tessile di Wang Qin, un meraviglioso arazzo che rifrange la luce attraverso un ricamo fittissimo che gioca su forme astratte e figurative. E l’istinto naturale diventa gioiello nelle mani dell’artista Stacey Whale, che ha realizzato un collier in metallo e gemme preziose.

Il confronto può avvenire anche con noi stessi e darsi risposte aperte con il linguaggio dell’autoironia, se ci si mette sui passi della ricerca artistica di Anna Plavinskaya. Tra tecniche artistiche, storia, letteratura, botanica e biologia, disegna a penna e inchiostro la sua autoironia nei diversi momenti della vita. Per non prendersi poi troppo sul serio, pur mantenendo grandi pensatori dallo spirito enciclopedico.

Da segnalare infine la presenza di Mirroring, l’installazione performativa dell’artista Sara Del Bene che si diffonde con e nel pubblico. Ha giocato con drappi dai toni freddi e grigi su cui ha posizionato specchietti rotondi che ha voluto in formato “da borsetta”. Uno specchio per confrontarsi, montagna di specchi per parcellizzare la realtà composita, spargere specchi ai passanti per non dimenticare che relazione è un gioco infinito.

«Siamo felici di poter essere nuovamente ospiti dell’Accademia delle Arti e del Disegno – dice Jacopo Celona, Direttore generale di Florence Biennale -, istituzione che da oltre 450 anni promuove l’arte e gli artisti, in particolar modo in questa prestigiosa sede che ha avuto tra i suoi studenti personalità come Michelangelo, Leonardo e Palladio». 

«Sono lieta che gli spazi dell’Accademia delle Arti del Disegno siano stati nuovamente scelti per la mostra delle opere vincitrici alla XIV edizione di Florence Biennale. Mostra internazionale d’arte contemporanea e di design – ha dichiarato Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze voluta nel ‘500 da Cosimo I de’ Medici. Per una storia di confronti tra artisti e arti che è diventata ormai eterna.

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