La donna nel 900 alla Tornabuoni Arte nella mostra “Realtà e sogno. Da Fattori a Guttuso”

by Valeria Nanni

Il mercato antiquario non scarta il figurativo, anzi affascina e trascina i collezionisti che nella mostra “Realtà e sogno. Da Fattori a Guttuso”, potranno acquistare opere che segnano le tappe principali dell’arte italiana nel secolo ‘900. È questa la scelta espositiva di Tornabuoni Arte, una delle gallerie d’arte private più prestigiose di Firenze, che mette in risalto il ‘900 italiano rappresentato da artisti, pronti a scandagliare una realtà già percepita come poliedrica.

Davvero interessante la visione della donna che ne risulta. Le figure femminili sfilano come modelle lungo le pareti della galleria d’arte situata in Lungarno Cellini. Le finestre, dalle quali filtra luce naturale, collegano i dipinti esposti con l’ambiente esterno, sulle rive dell’Arno, senza occultare monumenti simbolo del passato come la basilica di Santa Croce. E da lì l’occhio del visitatore attento torna all’interno della galleria, posandosi sui dipinti di De Chirico, ricordando che il padre della pittura metafisica concepi il nuovo linguaggio artistico proprio nella piazza antistante la basilica francescana fiorentina.

Una mostra come questa merita di essere apprezzata anche da chi collezionista non è. Magari non acquisterà uno dei dipinti esposti, ma potrà ottenere il beneficio di viaggiare nel ‘900 e compiere considerazioni e riflessioni sui molteplici aspetti indagati dall’arte, come le diverse tipologie di donne. Di cornice in cornice si svela un universo femminile molto interessate.

La donna è poliedrica, la donna può essere un paesaggio da ammirare, la donna ricorda di mettere sul banco tutti i sentimenti senza paura. Delicatezza e introspezione risultano strumenti utili per non fermarsi al contingente. E sembra proprio il percorso seguito dai pittori del ‘900 italiano i quali non si accontentarono solo si dipingere ciò che vedevano; preferirono filtrarlo alla luce di ciò che sentivano, facendo emergere l’impronta della realtà nel loro sentire.

Così si parte da “Ritratto della signorina Concha de Ossa” , realizzato attorno al 1888. Viso di donna altolocata, vestita di scuro con un ampio cappello sul capo, capelli raccolti dietro con tipico chignons. La figura è marcata con le pennellate veloci e abbozzare di Giovanni Boldrini, uno dei principali interpreti della Belle Èpoque, ma molto vicino al linguaggio dei suoi colleghi francesi impressionisti. Emerge un personalità decisa della donna prevalente sulla sua fisionomia.

Il fascino dello specchio rivela il fascino femminile, sentimentale, e aiuta a giocare tra punti di vista. Ecco perché i pittori dal rinascimento in poi non hanno rinunciato a ritrarre figure femminili allo specchio, così come fa Mario Cavalieri nell’opera “Modèle devant le miroir dans l’atelier” realizzato nel 1911.

Continuando con l’esposizione, ci si imbatte in una donna emergente da un paesaggio nel dipinto titolato “Luce nella luce” di Giacomo Balla, che con i suoi colori pastello illumina anche l’osservatore. Siamo nel 1928 periodo che preannuncia la successiva ricerca futurista dell’autore che si farà manifesta a metà degli anni ’30. Nel dipinto in mostra emerge una figura femminile come facente parte dell’ ambinete che la circonda, che la immerge e in cui si è immersi, grazie al gioco di riflessi e trasparenze che Balla sa dare.

Quando posano come modelle le donne parlano, indicano, per poi essere ritratte ferme e quasi innaturali. Pompeo Borra le ritrae nell’opera “Modelle” del 1936 in tutta la loro vitalità. In questo periodo l’artista milanese abbandona l’astrazione dei Puristi, attratto dall’Umanesimo di Piero della Francesca. Restando lontano dalle complesse costruzioni prospettive, care invece al Rinascimento, in Borra ritroviamo l’esaltazione della persona in quanto individuo che si relaziona con l’altro o con l’altrove. Le donne che fanno da modelle, sono colte nella propria individualità e vitalità, forse altrimenti invisibili.

Persino i pensieri malinconici e frustranti sono colti senza censura da artisti come Giorgio Morandi che nel 1921 ritrae sua sorella in atteggiamento pensoso che oggi verrebbe chiamato “over thinking”.

Anche la passione per la quotidianità, per la vita di tutti i giorni, non è didegnata dagli artisti, come rivela il quadro “Le stiratrici” di Felice Casorati del 1954. Attraverso questa donna intenta in una azione quotidiana, semplice e tutt’altro che sublime, l’artista può concentrarsi sulla forma delle cose, sul confine cioè tra essenza ed esistenza. E poi il dipinto “Il mattino” dello stesso autore realizzato ugualmente nel 1954, un concetto come la maternità viene rappresentato attraverso la forma stilizzata di due oggetti quotidiani, una bottiglia e un ciotola, ovvero la cura e il nutrimento del neonato. Gli occhi bassi della mamma suggeriscono rispetto e dovere allo stesso tempo. Le forme prosperose del bambino sono la risposta alla dedizione materna.

Femminilità unita alle forme del paesaggio fanno rientrare nella favola del tempo che fu dipinti come “Venezia, gita in barca” , di Massimo Campigli. L’artista nel 1941 esegue quest’opera in modo particolare, un affresco su intonaco intelato e riportato su tavola. Una sorta di gusto per l’antico taslittrato nel suo presente ed eseguito seguendo il gusto dell’impressione.

L’interpretazione femminile non sarebbe completa poi senza le forme sinuose del corpo. Perciò in mostra ci sono nudi che rivelano molteplici aspetti e dinamiche emotive delle donne. Incontriamo la “Fanciulla bruna” del 1942 di Felice Casorati, che pensosa, dagli occhi bassi e chiusi, si copre uno dei seni con la voglia di proteggersi. Troviamo “Nudo” di Giorgio De Chirico dove un donna, come una nuova Venere diventa metafisica. Bionda, capelli ricci raccolti alla greca, si tiene la tonaca bassa all’altezza dei fianchi, pronta a ricoprirsi, o pronta a svelarsi, immersa in un paesaggio che va oltre la fisica, sublimato, con i resti archeologici sparsi. Ispira femminilità scultorea. Gli occhi con cornee bianche e iridi luminosi la rendono più viva del vivo, e soprattutto più vitale del paesaggio fermo nel tempo da cui essa sembra rinascere.

Ma de Chirico sa rendere anche la femminilità più classica, visibile nel dipinto “Nudo femminile” del 1923. Una giovane donna si rialza da una coperta rossa posta sotto di sé per proteggerla dalla roccia sulla quale si era distesa. I capelli sciolti fanno apprezzare i lunghi riccioli neri. Il suo copro chiaro si staglia contro un paesaggio dai toni scuri.

E poi c’è lui Reanato Guttuso che con il suo “Nudo di ragazza” del 1959 rivela tratti femminili meno consueti. La ragazza è seduta sulla sedia mostrandoci le spalle. Le carni eccessivamente bianche rivelano la forma della colonna vertebrale spigolosa. Guttuso fa dire al nudo femminile tutta l’angoscia che pervade la donna.

Alto grado di sublimazione della femminilità sembra infine raggiunto in “Capanno al mare” di Mario Tozzi realizzato nel 1966. Qui le figure delle bagnanti diventano idoli, puri oggetti di contemplazione, impassibili, espressione di un enigma.

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