La mostra di Banksy a Osimo, from the street to the museum

by Alessandra Belviso

“Vengo da una cittadina del Sud dell’Inghilterra. Quando avevo circa 10 anni, per le strade impazzavano i graffiti di un ragazzo che si chiamava 3D. Credo fosse stato a New York e fu il primo a portare a Bristol la pittura con la vernice spray. Sono cresciuto vedendo graffiti per strada. 3D smise di dipingere e formò un gruppo che si chiamava Massive Attack, per lui forse era un progresso ma per noi fu una grossa perdita. A scuola i graffiti erano la cosa che ci piaceva fare di più. Li facevamo tutti tornando da scuola in autobus”. (Intervista di Banksy del 2006)

Era il 1992 quando sui muri di Bristol apparvero i primi graffiti di un ragazzo che si firmava Banksy. Nessuno lo ha mai visto, nessuno conosce il suo volto eppure oggi questo artista con le sue opere di inaudita potenza etica, evocativa e mediatica, genericamente inquadrato nei confini della Street Art, rappresenta il più grande caso di popolarità per un artista vivente dai tempi di Andy Warhol. Sono infatti in pochi a non aver mai visto le immagini di sue opere celebri come Girl with balloon (la ragazza col palloncino), Flower Thrower (il lanciatore di fiori) , o Flying Copper ( il poliziotto volante) per citarne alcune.

In questi giorni e fino al 7 luglio è possibile ammirare la sua arte al Palazzo Campana di Osimo (An), dove venerdì è stata inaugurata la mostra “ From the street to the museum”, una selezione delle 25 serigrafie più celebri della produzione artistica di Banksy che ne conta in tutto 44. Curatori della mostra Stefano Antonelli, il primo a portare Banksy in Italia con una mostra a Roma e Gianluca Marziani, direttore di Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto. Una mostra che per la prima volta esamina e analizza le immagini originali di Banksy all’interno di un quadro semantico esaustivo, una rappresentazione molto ampia dell’immaginario di un performer urbano che pensa e mette in azione interventi visivi su strade, vetrine, muri, alcuni scomparsi, alcuni rubati, altri conservati; nella sua arte ricorrono i temi dell’uomo contemporaneo, i problemi dell’infanzia, la vecchiaia, il rapporto tra cittadini e potere, i limiti del potere e le sue derive nefaste, la guerra, la violenza, il sopruso, tutto ciò che distingue una vita etica da una vita non etica.

“Banksy produce immagini con un’identità performativa molto forte e condensa in quelle immagini tutto ciò che noi siamo o vorremmo essere per essere migliori, tutto ciò che attorno a noi non ci piace e vorremmo rendere migliore” ha spiegato Gianluca Marziani.
L’unica mostra ufficiale di Banksy in un museo è stata quella del 2009 nella sua città natale, al Bristol Museum e ha contato oltre 300.000 spettatori. Da allora e prima di allora l’artista non ha mai autorizzato nessuna esposizione delle sue opere all’interno dei palazzi dell’arte. La sua prima grande mostra, Turf War, avvenne infatti in un magazzino nell’East End di Londra nel 2003 dove l’artista espose come istallazione sul soffitto una delle sue immagini più famose, Flying Copper, l’agente di polizia in posizione antisommossa, ma con il volto della famosa faccina sorridente: oppressione e minaccia che si possono nascondere dietro un volto amico. Questa immagine è tra quelle esposte a Palazzo Campana in serigrafia: Banksy è un figlio legittimo di Andy Warhol, il primo a cogliere la possibilità, con l’avvento delle serigrafie a colori negli anni ’60, di riprodurre l’arte in maniera moderna e meccanica, sancendo la preziosità dell’opera in base al numero delle tirature. Banksy agisce nella stessa maniera di Warhol, ma mentre i dipinti di Warhol nascono da fotografie di giornali o ritratti ritoccati a smalti, le immagini di Banksy sono vere e proprie testimonianze autoriali di interventi e azioni realizzate in luoghi con una connotazione politica e sociale molto forte, in luoghi dove c’è un’esigenza, un allarme, per cui quel luogo diventa uno spazio di denotazione visiva.

Love is in the air, conosciuta anche col nome di Flower Thrower, apparse per la prima volta a Gerusalemme sul muro costruito per separare israeliani e palestinesi nell’area della Striscia di Gaza. Banksy trasfigura l’immagine di un giovane militante mettendo nella sua mano pronta a lanciare, fiori, evocativi di bellezza e pace e commenta così: “i più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini che sganciano le bombe e massacrano i villaggi”.
Figlio dell’immaginario digitale e urbano, del linguaggio della pubblicità, della cultura del graffito e della strada, produce immagini molto semplici, nette, immediate, che arrivano agli occhi come una bomba. La Virgin Mary, conosciuta anche come Toxic Mary per il simbolo del veleno sul biberon dal quale beve il suo bambino, è una esempio di détournement, un processo tipico della street artche consiste nel prendere immagini già cristallizzate nella memoria collettiva e manipolarle mettendone in crisi il significato acquisito. L’immagine probabilmente è una critica al modo in cui stiamo educando i nostri figli. “Molti genitori sono disposti a fare qualunque cosa per i loro figli, tranne lasciarli essere se stessi”.


Oggi le sue opere sono tra le più quotate nel mercato dell’arte e Benksy è considerato la migliore evoluzione della pop art originaria, in grado di fondere assieme la moltiplicazione seriale, la cultura hip hop, il graffitismo anni Ottanta e gli approcci del tempo digitale. La ragazza col palloncino, votata nel 2017 come l’opera più amata dai britannici, per la prima volta compare dipinta con la tecnica dello stencil a Londra nel 2002, su un muro al lato di un ponte di Southbank. L’artista la firma e accompagna l’immagine a un testo che recita “c’è sempre una speranza”. Ma anche, come ha scritto nel suo libro Wall and piece, “quando verrà il momento di andare, allontanati in silenzio, senza fare tante storie”. Un’altra versione dello stencil fu rubata da alcuni privati che riuscirono a rimuoverla da un muro di Londra vicino alla stazione di Liverpool Street.

Non abbiamo bisogno di nuovi eroi, abbiamo solo bisogno di qualcuno che si occupi di riciclaggio.
Bansky

Le immagini esposte nella mostra “ From the street to the museum” sono state prodotte tra il 2000 e il 2008. Negli anni successivi l’artista si è dedicato ad azioni performative destinate per natura a morire ma a lasciare, come tutte le sue opere, delle conseguenze e ad attirare grande attenzione, come il Cans Festival nel 2008, nel quale Banksy ha inviato i migliori stencilist di tutto il mondo per dipingere il tunnel di Leake Street. Nonostante la sede del festival fosse segreta, alla sua apertura oltre 20.000 persone erano in fila per entrare. O come Dismaland, nel 2015, una mostra organizzata in un lido in disuso dove l’autore ricostruì una versione annoiata e sinistra di Disneyland.
Secondo Marziani, uno dei due curatori della mostra, “L’arte di Banksy è un margine alla bruttezza che dovremmo sempre superare. In qualche modo questo artista ribadisce che la chiave di tutto è ancora una volta la bellezza in senso contemporaneo, quindi non soltanto la bellezza dolce e romantica, ma anche la bellezza di un’immagine forte e violenta ma in qualche modo significativa. Tutto ciò che crea conseguenze positive è una produzione di bellezza. Nella sua trasversatilità Banksy tocca temi importanti e complessi che ci riguardano e lo fa dall’alto delle fazioni politiche, delle ideologie e delle strumentalizzazioni. Questo è il massimo che si possa chiedere ad un artista politico, di rimanere nei canoni della bellezza nel veicolare messaggi politici attraverso le immagini”.


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