Nick Petruccelli e la moltitudine intrappolata dal filo spinato

by Federica Carretta

Atmosfere cupe, svastiche disseminate in ogni dove e immagini perturbanti: questo è ciò che si percepisce visitando la mostra di Nick Petruccelli, “Immaginare l’orrendo”. L’artista, con l’esibizione delle sue opere, mette in evidenza le sensazioni di paura, ingiustizia e isolamento che hanno provato i prigionieri dei campi di concentramento durante il periodo di detenzione.

La Fondazione dei Monti Uniti di Foggia ha voluto partecipare, quest’anno, con una propria iniziativa, alla ricorrenza del Giorno della Memoria con una mostra che sarà visibile fino al 15 febbraio.

L’intento di chi si cimenta in questo genere di iniziative è anche quello di contrastare fenomeni come quello che si è diffuso negli ultimi sessant’anni: il negazionismo. L’intera mostra obbliga lo spettatore a guardare dritto negli occhi, dipinto dopo dipinto, la primordiale manifestazione del male abbattutasi su milioni di innocenti.

Secondo queste teorie antiscientifiche – realizzate mediante procedimenti di revisionismo storico estremo – l’Olocausto non sarebbe mai esistito.

Nick Petruccelli, col suo ciclo di opere pittoriche sulla Shoah ha provato, invece, ad “immaginare l’orrendo” cercando di immedesimarsi il più possibile con la sofferenza delle vittime.

Il negazionismo cominciò a diffondersi in Francia all’inizio degli anni sessanta; nel 1978 è stato fondato in California l’Institute for Historical Review che è tra i principali responsabili della promozione e diffusione di tesi negazioniste, naturalmente, pseudo-scientifiche.

Percorrendo i corridoi della Fondazione, lo spettatore assiste inerme e sopraffatto dalle emozioni, allo strazio della realtà tramutata in immagini che – a tratti – riportano ai patimenti di quel Cristo morto e risorto per l’umanità.

Non sono solo i colori cupi, l’atmosfera di terrore, le svastiche sempre a vista a suscitare scalpore, ma anche i titoli delle opere accuratamente scelti per scuotere le anime degli astanti, quasi a voler dire: “tutto questo è accaduto per davvero, non è finzione scenica”.

Di fatti, ci troviamo a dover fare i conti con didascalie che recitano: “Esperimenti aberranti”, che riporta alla mente la sofferenza dei bambini di Mengele selezionati come cavie da laboratorio per gli esperimenti medici di Josef Mengele;  “Selezione. Bambini inabili al lavoro”, laddove sono ritratti in primo piano degli infanti terrorizzati e stretti in cunicoli, mentre in secondo piano sono raffigurati piccoli teschi ammassati; “Fabbrica della morte”, “Propaganda di regime. Il grande bluff”, dove è possibile osservare le conseguenze della funesta propaganda ingannevole diffusa in quegli anni.

Essa fu fondamentale sia per conquistare quella maggioranza di cittadini tedeschi che non sostennero immediatamente Adolf Hitler, sia per imporre il programma radicale nazista che richiedeva – oltre al supporto attivo e la partecipazione diretta di alcuni – l’accettazione passiva da parte di larghi settori della popolazione. Nel dipinto possiamo osservare una moltitudine di uomini, donne e bambini attorniati da svastiche e intrappolati dietro una rete di filo spinato.

Potremmo equiparare il macabro e mendace fenomeno alla diffusione di quelle che oggi chiameremmo fake news: a partire dal 1941 cominciò a circolare un opuscolo che riportava entusiasticamente l’opera caritatevole dei tedeschi nei confronti degli Ebrei. Venne, infatti, inculcato alla popolazione il mito del soldato misericordioso e liberatore, dello Stato assistenzialista che aveva provveduto a costruire ospedali puliti e a dare da mangiare minestra calda ai Semiti affamati.

Per dimostrare la veridicità di quanto diffuso, alcuni ufficiali delle SS si adoperarono per realizzare dei filmati ad hoc i cui soggetti erano i prigionieri del ghetto mentre si recavano a concerti, giocavano a calcio, lavoravano nei giardini delle proprie case e si rilassavano sia dentro gli edifici che li ospitavano che all’esterno, al sole.

Per questo film, le SS obbligarono alcuni “ospiti” a lavorare come scrittori, attori, scenografi, editori e compositori. Molti bambini parteciparono alle riprese in cambio di cibo, compresi latte e caramelle che normalmente non facevano parte delle razioni giornaliere. E’ un modo, quello dell’artista, di comunicare il suo strazio nel vedere uomini atroci assassini di altri uomini, un monito affinché tutto questo non accada mai più.

                                                                             by  Federica A. Carretta

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