La natura e la sua anima, nella visione cromatica di Nino Perrone

by Livio Costarella

«Fortunato colui che lo spettacolo della natura ha commosso, colui che non è obbligato a imbrattar tele per vivere, che non dipinge solo per passatempo, ma che colpito dalla nobiltà d’una bella fisionomia, e dagli ammirevoli giochi della luce che si fonde in mille sfumature sul viso umano, tenta d’avvicinarsi nelle sue opere agli effetti sublimi della natura!». Il pensiero del pittore sabaudo Xavier de Maistre, vissuto a cavallo tra ‘700 e ‘800, sembra calzare a pennello per l’arte proteiforme di uno dei maggiori artisti baresi odierni, la cui pittura e tecnica non convenzionale colpisce immediatamente lo sguardo per la sua spiccata carica attrattiva. Stiamo parlando di Nino Perrone, che nello scorso mese di ottobre ha tenuto nella storica Galleria Vittoria di Tiziana Todi, in via Margutta a Roma, una nuova mostra personale, intitolata «Aniconismo Iconico».

Il pensiero del pittore sabaudo Xavier de Maistre, vissuto a cavallo tra ‘700 e ‘800, sembra calzare a pennello per l’arte proteiforme di uno dei maggiori artisti baresi odierni, la cui pittura e tecnica non convenzionale colpisce immediatamente lo sguardo per la sua spiccata carica attrattiva. Stiamo parlando di Nino Perrone, che nello scorso mese di ottobre ha tenuto nella storica Galleria Vittoria di Tiziana Todi, in via Margutta a Roma, una nuova mostra personale, intitolata «Aniconismo Iconico».

Perrone ha una storia quarantennale di numerose mostre e premi vinti, avendo esposto in diverse prestigiose sedi italiane ed europee. Tra le tante, ha partecipato alla mostra «London Calling», nella Crypt Gallery di Londra, e nel maggio 2019 ha inaugurato una personale a Vienna nella “Burn-In Gallery”. Sempre lo scorso anno è stato inserito nell’Atlante dell’Arte contemporanea De Agostini e ha presentato una personale a Venezia nella Biblioteca del Teatro Contemporaneo Europe, con il supporto dei testi critici di studiosi e critici come Daniele Radini Tedeschi, Stefania Pieralice, Gianni Dunil, Maria Luciani, Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio.

Nino Perrone

Quest’anno l’artista è stato invitato dal critico d’arte Giorgio Di Genova per la collettiva online «Il Quintetto d’Arte» (per ovviare alla chiusura delle mostre, causa Coronavirus). E proprio lo storico romano ha coniato per Perrone il titolo della sua ultima mostra di successo alla Galleria Vittoria, un’esposizione di 12 tele ad olio e 10 serigrafie, tutte ritoccate a mano dall’autore, con colori e pastelli ad olio, e nuovi dipinti realizzati per l’occasione. Come «Lagotto» e «Organismo vivente», opera prediletta dall’artista perché «esalta la natura in ogni sua caratteristica vivacità – spiega Perrone -, e forma un insieme di armonia pittorica che rende piacevole la vista di chi osserva. Quanto al titolo della mostra, “Aniconismo Iconico” è un esplicito riferimento al testo del professor Giorgio Di Genova, e alla sua interpretazione dello stretto legame fra la natura e la mia produzione artistica. Le opere che ho esposto, infatti, sono tutte caratterizzate da un tratteggio cromatico che si manifesta come traduzione pittorica di alcuni aspetti della natura che, nel mio sentire, generano vibrazioni emotive, forze energetiche e visioni di luce e colore».

Maestro Perrone, quando ha iniziato a ritrarre singoli dettagli della natura nella sua produzione artistica?

«Col passare del tempo e l’avanzare dell’età si impara ad apprezzare di più il nostro pianeta, con le sue bellezze naturali. Cogliendo ogni più piccolo particolare, soffermandosi su tratti minuziosi che a una prima occhiata potrebbero sembrare tutti uguali. Ma che invece nascondono una miriade di sorprese e gioie per i nostri occhi. Ripercorro la visione della natura come se fosse quella di un bambino, pregno di stupore: osservando il dettaglio di un germoglio, o il totale di un prato composto da tanti piccoli dettagli. È come guardare la natura al microscopio, evidenziando le emozioni, le sensazioni, le energie, gioie e dolori che ogni elemento trasmette».

Lei utilizza una tecnica molto personale, nei suoi quadri. Ce ne parli.

«Ho iniziato la mia formazione come scultore nello studio del grande Antonio Bibbò, e poi ho portato anche nella pittura le conoscenze tecniche maturate in ambito scultoreo. Mi piace lavorare e dipingere con le spatole, con le quali mescolo qualsiasi tinta, alla ricerca della giusta armonia. In questo modo il colore viene usato come se fosse una materia viva, e «penetra» nella tela quasi fosse animato. Il mio proposito è di evidenziare ogni dettaglio tecnico, perciò ogni spatolata ha la sua importanza. È come se fossero tante cellule che compongono un corpo umano. Ed è così che la spatolata diventa protagonista nei miei quadri, con un segno distintivo. Che è inconfondibile da un lato, ma cela dentro di sé tutto il mistero della vita, del colore, della combinazione cromatica».

La danza del gallo

Due opere emblematiche, in tal senso, appaiono «Sementi» (in copertina ndr) e «La danza del gallo».

«”Sementi” è l’emblema dell’uso delle spatole: ho disegnato le foglioline una per una, e ciascuna presenta una piccola variazione che definisce la propria unicità. Ognuna di esse non è mai uguale a un’altra. Quanto a “La danza del gallo”, sono partito col mettere le spatolate sui colori, cercando di conferire una certa armonia ad ognuna. Poi, man mano, queste spatolate prendevano forma: e da lì ho dato più colore e luce. L’ho intitolato “La danza del gallo” perché rievoca il movimento che questo bellissimo animale fa per avvicinarsi a qualcuno. Il gallo mi piace moltissimo, ha una dignità straordinaria: pur essendo fragile, rispetto a dei predatori, è pronto a lottare sino alla morte. Le piume svolazzanti, durante le sue zuffe, rappresentano pure una danza meravigliosa»

Negli ultimi anni con le sue tele ha toccato molte sedi prestigiose.

«È un vero e proprio percorso che sto compiendo: Vienna e Venezia sono state due tappe fondamentali. Per non parlare della Galleria Vittoria di Roma che ha sempre ospitato grandissimi artisti. Nel dicembre 2020 sono stato inoltre invitato all’Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma, all’interno di Palazzo della Cancelleria Apostolica, che accoglie la Sacra Rota. Nel 2021 mi attendono personali a Londra e Parigi».

Di lei Philippe Daverio ha affermato: «Nino Perrone è un narratore visivo di abitudini sedimentate. Non vi è dubbio: esiste un immaginario dell’Italia Meridionale dominato dal sole, dalle stagioni, dal mare. Perrone narra questo immaginario. Osservando le sue opere, si vive un’esperienza oltre i confini e i minuti scorrono più veloci all’interno della cornice laddove l’anima fuoriesce e viene invasa da forti sentimenti».

«È un onore per me aver avuto la stima di un grande critico e studioso come Daverio. Tra l’altro quest’anno avrei dovuto esserci anche alle Officine Daverio di Milano, ma l’emergenza sanitaria e la scomparsa dello stesso Philippe, lo scorso settembre, lo hanno impedito, per il momento».

Continuerà il focus sulla natura nelle prossime opere?

«Vorrei puntare la mia arte anche sulle allegorie della vita. È un tema che mi affascina moltissimo, con il suo prezioso elemento simbolico e metaforico».

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.