Laura Valente: “Mi aspetto che il Madre cammini e danzi nel mondo, il museo deve avventurarsi fuori”

by Michela Conoscitore

Lasciate le suggestioni gotiche e barocche delle vie nel centro storico di Napoli, varcare l’entrata del Madre, Museo d’arte contemporanea Donnaregina, equivale a vivere un’esperienza straniante, entrare in un mondo Altro che, all’apparenza, sembra che con l’antica Partenope non abbia niente da spartire. Eppure, il Madre cerca Napoli costantemente, e la città si lascia cercare: nel percorso museale, i visitatori saranno sì calamitati dalle opere e installazioni, ma saranno anche attirati da quelle finestre aperte sui vicoli che circondano il museo, in via Luigi Settembrini, cuore pulsante e popolare della città.

Tra panni stesi, architetture risalenti al XIV secolo della vicina chiesa di Donnaregina Vecchia e il vociare musicale della gente in strada, volontà ferrea del museo, fin dalla sua fondazione, è stata quella di preservare questo legame indissolubile con il quartiere. Come a dire, un occhio alla realtà e un occhio al sogno artistico.

Tra i primi musei in Italia ad offrire ai suoi utenti la visita virtuale sulla piattaforma Google Arts, il Madre è ormai diventato una delle eccellenze nel campo della cultura made in Italy. Anzi, made in Naples poiché il museo è una ‘creatura’ della regione Campania. Nelle sale, distribuite sui tre piani dello splendido palazzo ottocentesco che lo ospita, il visitatore potrà godere della collezione site specific in cui rientrano opere dei più famosi artisti contemporanei come Jeff Koons, Mimmo Paladino, Anish Kapoor e Andy Warhol. Ma a volte, le stesse sale sono delle vere e proprie opere d’arte come la magnifica Ave Ovo del napoletano Francesco Clemente. Inoltre, il Madre ospita periodicamente retrospettive su autori importanti che hanno rappresentato l’arte contemporanea: ora è ‘di scena’ quella dedicata a Marcello Rumma, esponente tra i più fondanti dei linguaggi artistici contemporanei in Italia. La mostra a lui dedicata si distingue per essere multilivello, non solo opere e quadri ma anche documenti, lettere e testimonianze che non solo attestano l’attività dell’artista salernitano, ma che fotografano splendidamente quella stagione artistica.

bonculture, per cogliere al meglio lo spirito di uno dei musei più distintivi di tutto il panorama italiano, ha intervistato la presidente Laura Valente che si è fatta guida non soltanto del museo Madre, ma anche dell’universo che lo circonda, ovvero il background napoletano:

Presidente Valente, può raccontarci la genesi del museo Madre?

Il museo Madre nasce, all’incirca, quindici anni fa da una visione dell’allora governatore della Campania, che era Antonio Bassolino. In quel momento viene costituito il primo blocco, parliamo di Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee. Quindi non è solo il museo d’arte contemporanea di Napoli, ma della Regione Campania. Bassolino ebbe una grande intuizione, ovvero quella di erigere un museo in una strada, che è via Luigi Settembrini, che chiude via Duomo e la zona dei musei, tra virgolette, più patinati e classici della città. Alla fine di questa strada, che non a caso è appunto chiamata la Via dei Musei, si gira a destra e prima di arrivare al grande Museo Archeologico, incontri il Madre. Il museo taglia a metà due quartieri simbolo, all’epoca non molto di moda come adesso, uno è la Sanità e l’altro è Forcella. Quindici anni fa nasce questo impianto, che poi si collega all’arte in Piazza del Plebiscito, furono chiamati tanti artisti che poi sono diventati la nostra collezione ‘site specific’, nomino per esempio Anish Kapoor, Mimmo Paladino, Rebecca Horn, Richard Serra, Giulio Paolini. Il primo direttore artistico è Edoardo Cicelyn che traghetta questo primo capitolo del Madre, e poi c’è un secondo capitolo, un altro grande direttore che è stato Andrea Viliani, un altro governatore, che era Stefano Caldoro che ha segnato un altro percorso del Madre, quindi l’apertura al territorio, l’ampliamento della collezione con tutta una serie di artisti che sono più di impianto sperimentale. Ora siamo nella terza vita del museo Madre: altro governatore, quello che mi ha nominato, a cui io sono molto grata che è Vincenzo De Luca. Gli sono grata non per una questione squisitamente formale della nomina, ma per averci accompagnato in questa terza vita, per averci dato le gambe, per aver condotto il Madre in questo terzo tempo. Il Madre ha cambiato la sua ‘pelle’ gestionale perché adesso il CdA del museo ha responsabilità di gestione, perché adesso il presidente è una sorta di amministratore delegato, e questo cambiamento ha uniformato e allineato il museo ai più importanti musei del mondo, quindi con un piglio molto internazionale.

Mostra Marcello Rumma
Mostra Marcello Rumma
Mostra Marcello Rumma
Ave Ovo, Clemente
La presidente Valente
Senza titolo, Kounellis
Mimmo Paladino, Senza titolo
Mimmo Paladino, Senza titolo

 Chi visita il Madre, in quale ‘mondo’ deve aspettarsi di entrare?

Questo cambio gestionale ci ha permesso di internalizzare, in un anno e mezzo, tutta una serie di figure che prima venivano rappresentati da service esterni. Noi pensiamo che il capitale umano sia il migliore investimento, ti dà il senso di comunità, ma anche il senso di appartenenza ad un luogo, con tutta una serie di figure nuove che vanno a definire il nuovo spirito del museo. E ora vengo alla sua domanda: è un museo d’arte contemporanea, ma è anche un luogo che nell’ultimo periodo ha virato fortemente la sua visione verso tutti i linguaggi e le culture del contemporaneo. Abbiamo cominciato con Robert Mapplethorpe, uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, chiedendo a sei coreografi contemporanei di realizzare delle coreografie, prodotte dal museo Madre, per accompagnare tutta la durata la mostra. Tutto questo concept dove le performatività flirtano con le arti visive e figurative, e viceversa ha cambiato anche la profilazione del pubblico: abbiamo molti più giovani che vengono al museo Madre, questo grazie anche al fatto che quando sono arrivata io, al Madre non c’era Wi-fi, per farle un esempio semplicissimo. Adesso c’è il Wi-fi, siamo molto attivi sui social network, in meno di tre mesi siamo diventati l’ente culturale più social d’Italia, abbiamo attivato anche un profilo su Spotify con le nostre playlist musicali. Tutto questo ci porta a riflettere sul concetto di ‘contemporaneo’: se un luogo come questo non dialoga con la lingua del suo tempo, con la gente del suo tempo diventa una cattedrale nel deserto. A maggior ragione se si trova in una città di mare del sud Italia, straordinariamente abituata agli approdi e alle migrazioni.

Si è appena insediato, come nuovo direttore artistico, Kathryn Weir, prima donna a ricoprire questa carica. Con la sua nomina, Presidente, cosa accadrà al Madre?

A breve, per la prima volta, verrà presentato il cartellone degli eventi, e da Kathryn ci aspettiamo che si spinga oltre l’apertura ai nuovi linguaggi. Come le ho detto prima, il Madre ha avuto diverse vite: la nascita, quindi la grande collezione d’autore, poi una seconda fase che ha visto sperimentazione e ricerca, e adesso con la Weir mi aspetto che il Madre cammini e danzi nel mondo, il museo deve avventurarsi fuori. Cosa che in questi quindici anni non ha fatto, perché si stava creando un percorso. Kathryn è la prima donna, per giunta straniera, a ricoprire questo ruolo: nata ad Oxford, ma di origini australiane, carriera francese dove è residente. Direttrice del Dipartimento di Cultura del Centre Pompidou, ha firmato Cosmopolis che è questa piattaforma straordinaria che ha lanciato il Pompidou nel mondo, contaminando e ibridando i linguaggi. Kathryn rappresenta molto lo spirito del nuovo Madre.

Lei presidente, la prima donna a ricoprire questa carica, poi ricordo la vicepresidente Maria Letizia Magaldi, adesso si è aggiunta Kathryn Weir. Il resto dello staff del Madre è quasi tutto al femminile: perché questo ‘organico’ in rosa al museo?

 Io non sono per le quote rosa, diciamo che per quindici anni c’è stato uno staff tutto al maschile al Madre. Adesso la direttrice artistica è una donna, ma ha vinto una selezione durissima con candidati molto blasonati che hanno partecipato al concorso. Kathryn ha vinto perché il suo era il progetto più bello. Per un caso, c’è stata una ‘selezione naturale’ di persone che gravitavano attorno al Madre, e quindi fortuitamente molte di loro sono donne. Io spero che arrivi un tempo, nel nostro Paese, in cui non ci meraviglieremo più che ci sono donne alla guida di grandi istituzioni, che ci siano donne nella stanza dei bottoni, che sia una donna a guidare la Biennale di Venezia, che ci sia una donna sul podio in una direzione d’orchestra. Spero di vivere in una nazione che, fra pochi anni, ci consegnerà la prima Presidente della Repubblica o la prima Presidente del Consiglio donna perché, purtroppo, nei ruggenti Venti-Venti ci ritroviamo ancora troppo spesso a festeggiare la nomina di una donna in un ruolo istituzionale importante. E questo la dice lunga.

Il Madre e Napoli: quale legame intercorre tra un museo d’arte contemporanea e una città le cui radici affondano nell’antichità classica?

Non sono napoletana, e non sono campana. Sono una nordica che vive qui da tanti anni. Secondo me è un luogo comune intendere Napoli, per certi versi, come una città classica per quanto riguarda appunto la musealità, ma anche la musica perché non dimentichiamo che il teatro San Carlo è il più antico d’Europa, fondato nel 1737. Chi definisce Napoli una città ‘classica’, possiede uno sguardo parziale. La città è da sempre un laboratorio. Per la musica, mentre nel mondo andava il melodramma aulico di Monteverdi, qui si sperimentava l’opera buffa che scardinava completamente i codici, perché le storie del popolino entravano di diritto sul palcoscenico e strappavano i sipari di velluto creando un nuovo genere. Napoli, quindi, è anche arte contemporanea, non dimentichiamo chi è stato Lucio Amelio e tutta una serie di artisti che hanno sperimentato i linguaggi contemporanei qui a Napoli. Lo stesso Mapplethorpe, che ho citato prima, era molto legato alla città e al periodo vissuto qui in compagnia di Amelio. Quindi questa è una città degli opposti: fortemente e musicalmente classica, archeologicamente contestualizzata all’interno di uno dei percorsi ‘gold’ del mondo. Allo stesso tempo, però, ha tutta una cifra underground, contaminante e contaminata, che ha fatto sì che da questo territorio, dalla canzone napoletana siano nate l’arte povera, le avanguardie di Achille Bonito Oliva. Tutta una serie di fermenti che hanno influenzato le generazioni successive.

Come si è aperto il museo al mondo esterno?

Su questo ho imperniato la mia presidenza, ovvero il progetto Madre per il Sociale, il primo anno abbiamo organizzato la prima factory per i ragazzi: supportati da dieci aziende che ci hanno aiutato a realizzare questi percorsi, duemila di loro, provenienti da diciannove quartieri della città, da Secondigliano a Posillipo, da Chiaia a Scampia, hanno partecipato alle attività e hanno vissuto con noi. Questo progetto ha fatto sì che solo nel primo anno siamo passati dai 65 mila visitatori, di cui 14 mila paganti, ai quasi 102 mila frutto di questo anno intenso di lavoro con l’inclusione sociale. La profilazione del pubblico giovanile è aumentata del 48% rispetto ai cinque anni precedenti. Le cifre sono crudeli, ma ci dicono delle cose, ovvero che il Madre è andato oltre le sue mura. L’inclusione è una cosa molto seria, non è uno spot. Non è invitare un pubblico negletto e marginale ad una festa, e dargli l’ammissione alla festa per un giorno. L’inclusione è diversa dall’accoglienza, perché quest’ultima è momentanea, l’inclusione, invece, è un’azione strutturata. Il Madre rende i suoi visitatori, attori di un percorso. Questo è un museo integrato, partecipato, quindi un museo- comunità.

Presidente, qual è il bilancio di questi primi quindici anni di vita del Madre?

Penso che il museo Madre abbia un bilancio più che positivo perché ormai è riconosciuto dal punto di vista del capitale reputazionale. Pur non essendo statale, è un museo nazionale. Penso che il Madre sia stata un’intuizione straordinaria, portata avanti in modo rispettosissimo dai governatori che sono seguiti, ognuno dei quali ha dato un suo apporto, ognuno di loro ha trasformato il Madre in un luogo sempre diverso, facendolo avanzare e, sicuramente, è diventato un’istituzione. Nessuno si sognerebbe di chiudere questo museo, perché non è una mera operazione partitica o politica. È radicato nel suo territorio, ed è considerato il museo dell’arte contemporanea in Campania.

Sul terrazzo del museo, staziona l’iconica installazione di Giovanna Bianco e Pino Valente che riprende il celebre saggio di Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli. Parafrasandolo, al termine dell’intervista, penso che il Madre non bagna Napoli, la inonda.

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