Le tre pietà di Michelangelo e il potere curativo dell’arte in una mostra

by Valeria Nanni

Capita a tutti di essere stati faccia a faccia col dolore e con il desiderio di essere sostenuti, cullati come bambini, rassicurati da una speranza forte che si oppone contro l’evento distruttivo. Così a noi tutti dal 24 febbraio al 1 agosto è offerta la possibilità di essere faccia a faccia davanti alle tre pietà scolpite da Michelangelo Buonarroti, accostate insieme per la prima volta in assoluto nella storia, grazie ad una mostra nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze intitolata appunto “le tre pietà di Michelangelo”. Perché l’arte oltre a far discutere ha un potere curativo, ovviamente non sempre, a volte, e soltanto di fronte a capolavori venuti fuori da una mano geniale.

Michelangelo palava di se stesso con le sue sculture, e con le stesse parla a tutti. Nessuno escluso. La tenerezza è scavata nel sasso che diventa pietà. È questo è il primo gruppo scultoreo che Michelangelo scolpisce a 24 anni, oggi conosciuto come la Pietà Vaticana. Visibile in mostra a Firenze attraverso un calco dell’originale, perfettamente e modernamente eseguito. A seguire, è l’identificazione di sé, con l’avvicinarsi dell’epilogo della sua vita, cosa che l’artista fa venir fuori nella Pietà conservata a Firenze conosciuta come Pietà Bandini. Opera ovviamente mostrata in originale. L’ultimo respiro della vita dell’artista è invece immaginato nella Pietà Rondanini conservata a Milano, l’ultima Pietà da lui scolpita ormai anziano e prossimo alla morte, dove il corpo della madre è tutt’uno con quello del figlio, a emozionante conclusione del proprio ciclo vitale. Anche per la sua fruizione così ravvicinata ci si è affidati ad un calco perfettamente messo a punto per la mostra.

Tre città, Roma, Firenze e Milano si incontrano al Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, in un intreccio di sguardi tra sculture, in una visita unica, un percorso spirituale che attraversa tutta la vita di Michelangelo Buonarroti, il quale ha fatto da ponte tra queste tre realtà italiane, riunite nella presentazione alla stampa dell’evento. Gustiamo e compiamo questo itinerario ideale attraverso le parole degli esperti.

Dapprima il sottotitolo, Non vi si pensa quanto sangue costa, suggerisce che “è una mostra in chiave spirituale – come illumina Monsignor Timothy Verdon, Direttore del Museo dell’Opera del Duomo – la frase è tratta dal 29° canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri. Michelangelo stesso ci ha fornito la chiave di lettura. Egli scrive questa frase sul disegno preparatorio dell’opera, consegnato alla committente e amica Vittoria Colonna”. Lo scrive proprio sull’asse verticale della croce che fa finire dietro la figura della Madonna, in modo che la scritta parta visivamente e concettualmente dalla testa di Maria. Si offre al visitatore dunque “una possibilità di riflessione sulla sofferenze in ottica cristiana, dunque verso la risurrezione”.

C’è di più. La mostra offre l’occasione per una riflessione esegetica. “Volevo fare l’esegeta biblico ed in effetti ho potuto farlo per 20 anni, poi sono diventato vescovo – sono le parole di S.E. Cardinel Giuseppe Bettioli – il tema della Pietà non appartiene alla letteratura biblica. L’immagine di Maria che sorregge tra le braccia il figlio senza vita fa parte della tradizione popolare cristiana. Nel Vangelo di Giovanni si parla di Maria che è sotto la croce la quale riceve le parole del figlio: Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre. E quel figlio era il discepolo Giovanni, ai piedi della croce insieme a Maria. Nel discepolo prediletto da Gesù si immaginano tutti i credenti. Siamo dunque stati affidati a Maria. C’è una continuità tra Maria che accoglie Cristo e Maria che accoglie noi. E Maria è anche la chiesa, dunque la Pietà è l’immagine di Maria che come la Chiesa accoglie i suoi fedeli, da morti li riconsegna alla vita, nella risurrezione del battesimo. Guardando la pietà Rondanini c’è una forte adesione del figlio alla Madre. Nell’unità tra Maria e il Cristo morto, c’è l’unità tra noi e lei”. Nella Pietà la posizione di Maria che sorregge il copro del figlio suggerisce un’adesione al ventre, “fonte generatore di vita” come descritto dal cardinal Bettiolli. Maria dona Gesù a Betlemme e lo mostra dopo la morte a Gerusalemme, in un cammino di vita per la vita.

Chi suggerisce la bellezze e la perfezione della Pietà Vaticana è Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, citando le parole di Giorgio Vasari. “E’ un miracolo che un sasso da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formar nella carne…”. La Pietà Vaticana è la prima scolpita da Michelangelo, e poi diverrà modello iconografico, farà scuola tra gli artisti, espanderà meraviglia e coinvolgimento. “Michelangelo impressiona la società del tempo con una giovanissima madre”.

Il coinvolgimento emotivo è garantito. “Noi tutti storici dell’arte – dice Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze – di fronte a questi 3 capolavori facciamo un passo indietro. Non parlano solo alla mente, ma producono empatia interiore totalizzante. Ci rendono partecipi della sofferenza dell’umanità intera. Ci ricordano che siamo tutti confratelli nei sentimenti di pietà e compassione. Nell’ultimo istante della vita anche il personale ospedaliero riferisce che la maggior parte dei pazienti ricordano la propria madre. Michelangelo era un uomo di fede, neoplatonico sì, ma cristiano. Vede nel corpo e nello spirito umano il mistero dell’incarnazione di Dio. Nella sua vita di artista abbandona la bellezza classicheggiante visibile in opere come la Pietà Vaticana, e approda alla bellezza contemporanea. Nella Pietà Rondanini abbiamo il definitivo tramonto delle figure. Oltre la bellezza, vediamo la tensione spirituale ed affiora la dimensione mistica di Michelangelo. Egli non è solo rinascimento, ma l’uomo artista, che dialoga con Dio attraverso Gesù”.

“Una mostra che vuol essere un segno di speranza e ritorno alla normalità” come sottolinea Luca Bagnoli, presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, opponendosi ad un periodo di solitudine e individualismo, legato alla situazione pandemica attuale, fonte di sofferenza patita. Per questo “La mostra non è un lavoro individuale ma di collaborazione tra noi e Musei Vaticani, Fabbrica di San Pietro, Castello Sforzesco di Milano, e rimanendo a Firenze, Comune e Museo Novecento”. Una mostra che nasce dopo una situazione di crisi pandemia soprattutto relativa al biennio 2020/21. “Periodo che ha fatto riflettere su flussi turistici e sulla qualità del turista. “Manterremo i numeri chiusi a tutela del patrimonio – continua Luca Bagnoli – affinché il turista possa trasformarsi in consumatore consapevole”.

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