Manifesto, Julian Rosefeldt al Palazzo delle Esposizioni di Roma

by Marianna Dell'Aquila

Jean Luc Godard diceva “Non importa da dove prendi quello che prendi, ma dove lo porti”. Allora la prima cosa che ci si domanda è come classificare Manifesto di Julian Rosefeldt in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 22 aprile. Non è una mostra di quadri o sculture, non è neanche una videoinstallazione, ma allora cos’è? Manifesto è un’opera realizzata dal regista berlinese nel 2005, un film composto da tredici cortometraggi, ognuno della durata di dieci minuti e trenta secondi. Il titolo prende spunto dai manifesti culturali e artistici del Novecento con i quali artisti giovani e ribelli provavano a chiudere con il passato per rifondare un nuovo linguaggio, una nuova arte, nuovi mezzi espressivi e culturali. Il film di Julian Rosefeldt viene però frammentato nelle sue tredici unità filmiche o ognuna di esse, apparentemente dissociata dalle altre, è collocata nella grande sala tonda del Palazzo delle Esposizioni per ridisegnare completamente lo spazio.

Dadaismo, Surrealismo, Futurismo, Pop Art, Architettura e Cinema sono solo alcuni dei Manifesti a cui Julian Rosefeldt ha attinto per creare il copione/i copioni del suo film. Ogni copione infatti è composto da un collage di parole e proclami estrapolati dalle dichiarazioni degli autori dei manifesti del Novecento. Queste parole sono affidate alla voce dell’attrice australiana Cate Blanchette che interpeta, con una straordinaria capacità camaleontica, tredici differenti personaggi tra i quali solo uno maschile. L’attrice recita il copione in un contesto apparentemente dissociato dalle parole che pronuncia. Allora la vediamo travestita da barbone mentre si muove in una discarica di rifiuti e recita in manifesto del Situazionismo con le parole di Lucio Fontana o Gay Debord, nei panni di una broker mentre pronuncia le parole che Tommaso Marinetti e Umberto Boccini scrissero per il manifesto del Futurismo oppure come oratrice ad un funerale mentre recita le parole apparentemente senza senso di Tristan Tzara, Francis Picabia e molti altri scritte per il manifesto del Dadaismo.

Ma se da un lato emerge l’indagine che di Julian Rosefeldt ha fatto in ambito storico-artistico, dall’altro vediamo che lo strumento che lui indaga di più è proprio il cinema. Non solo perché Manifesto è un film, ma perché l’opera è ricca di citazioni e di rimandi ad elementi tipicamente cinematografici, come il teatro di posa e le macchine da presa in Fluxus e Arte concettuale in cui Cate Blanchett recita prima nei panni di una severa coreografa alle prese con le prove di danza, poi nel doppio ruolo di cronista da telegiornale e reporter. Il cinema torna nell’omonimo cortometraggio dedicato ai proclami di Jim Jarmusch, Lars Von Trier e Werner Herzog, ma anche in Suprematismo dove i riferimenti al film 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick sono chiari ed evidenti. Qui vediamo l’attrice australiana nei panni di una scienziata che si muove nelle stanze di un laboratorio hi-tech in cui è conservato anche un monolite identico a quello del film del 1968.

Manifesto è un collage di parole, suoni e immagini in cui lo spettatore è invitato ogni volta ad indagare qualcosa di diverso di quello che Julian Rosefeld ha definito “call of action”, una chiamata all’azione, un atto di fiducia riposto nella possibilità di cambiare il mondo, invertirne le regole.

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