Meraviglie e leggende nella Cappella Sansevero di Napoli

by Michela Conoscitore

Napoli è legata a doppio filo al concetto di rinascita. Il suo stesso toponimo, derivante dal greco, Neapolis (città nuova), sottintende la precedente esistenza di un altro insediamento, la cosiddetta Palepolis (città vecchia), che sorgeva nell’area tra l’isolotto di Megaride e il monte Echia. Napoli, quindi, (ri)nacque, e quella fu una delle sue numerose rigenerazioni che continuarono a susseguirsi nel corso dei secoli. Sempre alla rinascita, e al rinnovamento della vita nella luce della conoscenza, dopo un arduo processo di evoluzione, è ispirato uno dei musei più famosi e apprezzati della città partenopea: la cappella Sansevero.

Cosa attira così tanti turisti a questa piccola cappella, situata tra gli affascinanti vicoli del centro storico di Napoli? Sicuramente, oltre alle rare bellezze che il museo contiene, ad intrigare i visitatori è anche la personalità eccentrica e carismatica del suo ideatore: il principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Probabilmente, il di Sangro è tra gli intelletti più illuminati che Napoli può annoverare tra i suoi ‘figli’. Intorno alla figura del principe, nel corso dei secoli, sono sorte svariate leggende, alimentate da quell’alone di mistero che lo stesso Raimondo ha, probabilmente, fomentato. Cresciuto col nonno, orfano di madre e col padre spesso lontano dall’Italia, il principe ha fatto propri i dettami dell’Illuminismo, massone tra i più ferventi (nel 1750, assunse il titolo di Gran Maestro della massoneria napoletana) e dedito all’alchimia, oltre che studioso appassionato, scrittore, accademico e inventore. Così lo descrive Benedetto Croce, nel suo Storie e leggende napoletane:

E il principe di Sansevero, o il ‘Principe’ per antonomasia, che cosa altro è in Napoli, per il popolino delle strade che attorniano la Cappella dei Sangro, ricolma di barocche e stupefacenti opere d’arte, se non l’incarnazione napoletana del dottor Faust o del mago salernitano Pietro Barliario, che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura o compiere cose che sforzano le leggi della natura?

Quando varca la soglia d’ingresso della cappella settecentesca, il visitatore, accolto da una penombra suggestiva, è subito spinto alla contemplazione e allo stupore: a dominare, posti scenograficamente al centro dell’ambiente in un mirabile e sapiente colpo d’occhio, si possono ammirare, oltre al prezioso Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, la ‘star’ del museo, le statue della Pudicizia e del Disinganno, poste ai lati del Cristo.

La scultura della Pudicizia, opera di Antonio Corradini, fu dedicata dal principe di Sansevero alla madre, Cecilia Gaetani, scomparsa prematuramente appena un anno dopo la nascita del di Sangro. Il velo che copre la figura, finemente scolpito, e la lapide spezzata, posta ai piedi della statua, indicano il dolore di un figlio che non ha mai potuto conoscere la propria madre. Il Disinganno, invece, è dedicato al padre del principe, Antonio, che dopo la morte della moglie, visse un’esistenza sregolata. Tornato a Napoli, in età matura, si pentì e decise di intraprendere la vita sacerdotale. La scultura, di Francesco Queirolo, raffigura un uomo che si libera dalle maglie di una rete, che simboleggia il peccato. Ad attenderlo, un genietto alato che rappresenta l’intelletto, con l’intento di aiutare l’uomo a riacquistare la sua libertà.

Le altre statue che abbelliscono la cappella rappresentano le restanti Virtù, e sono dedicate alle consorti della famiglia di Sangro: dall’Amor Divino al Decoro, dal Dominio di Se Stessi all’Educazione e alla Liberalità, fino allo Zelo della Religione, la Soavità del Giogo Coniugale e la Sincerità. In ultimo, al termine di questa parata di magnificenze, c’è il capolavoro del Sammartino, invidiato anche da Antonio Canova, che avrebbe voluto acquistarlo. Alla straordinarietà dell’opera sono legati vari racconti, soprattutto per quanto riguarda il delicato velo che ricopre per intero la scultura. Si narra che grazie alla sua abilità alchemica, il principe di Sansevero fosse riuscito a marmorizzare effettivamente il velo, e a porlo quindi sulla statua del Sammartino. Ovviamente, sono solo dicerie, recenti studi hanno dimostrato l’effettiva natura marmorea del velo e, di conseguenza, l’immensa bravura dell’artista che l’ha scolpito.

Tutto il tempio dei di Sangro è in pietra, compresa la pala d’altare di Francesco Celebrano, con le figure che strabordano dalle cornici, a mimare il dinamismo della scena ritratta. Questo perché la cappella Sansevero racchiude numerosi simboli massonici, essa stessa è un percorso iniziatico dove la statua del Cristo rappresenta il culmine della conoscenza e la rinascita per il massone. Gli adepti si definivano anche muratori, il cui lavoro consiste proprio nel plasmare la pietra, per darle la forma definitiva a cui è destinata. Metaforicamente simboleggia, appunto, il raggiungimento della conoscenza. Oltre alla pietra delle sculture, c’è anche lo stupefacente affresco della volta, opera di Francesco Maria Russo, che raffigura La Gloria del Paradiso o del Paradiso dei di Sangro. Datato 1749, con i colori ancora fulgidi, si pensa che il pittore abbia adoperato una speciale mistura ideata proprio dal principe alchimista, che spiegherebbe la durevole vivacità.

Incamminandosi poi verso il passetto, sul versante destro della cappella, superando la tomba del principe Sansevero con la lapide commemorativa (Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere, recita l’epitaffio), si giunge all’ambiente sottostante che custodisce le straordinarie macchine anatomiche, testimonianza dell’interesse del principe anche verso la scienza. Originariamente custodite negli appartamenti personali del Sansevero, nel palazzo di famiglia, furono poi trasferite presso la cappella per proteggerle e preservarle. I due scheletri, un uomo e una donna, furono ideati dal medico palermitano Giuseppe Salerno, a metà Settecento. Anche le macchine anatomiche, che riproducono il sistema arterovenoso umano nel dettaglio, furono oggetto della fama ‘diabolica’ del principe mago: la perfezione di vene e arterie sarebbe dovuta ad un’iniezione di mercurio, tramite la quale il di Sangro avrebbe ottenuto la metallizzazione dei vasi sanguigni. In realtà, la ricostruzione è stata possibile grazie all’utilizzo di vari materiali come la cera d’api e dei coloranti. Le macchine anatomiche, a duecentocinquanta anni di distanza, testimoniano le già avanzate conoscenze dell’epoca, in ambito anatomico.

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