“Non ci sono confini nitidi tra le arti”. Antonio Marras racconta “Averti addosso. Il teatro che abito”

by Anna Maria Giannone

È difficile definire Antonio Marras. Di certo conosciuto in tutto il mondo per la sua moda, non ha mai abitato un solo linguaggio, spostandosi, cucendo e mettendo assieme forme artistiche diverse. Uno sconfinamento continuo che è cifra di tutta la sua espressione artistica. Non sorprende dunque che la presentazione della sua sfilata primavera/estate 2020 porti in scena all’Elfo Puccini di Milano la storia d’amore fra una principessa giapponese e un pastore sardo, che il Teatro Massimo di Cagliari ospiti in stagione la sua opera prima come regista, che la Triennale di Milano gli dedichi una mostra antologica.

Raggiungiamo telefonicamente Marras mentre in auto sta attraversando la Puglia, in compagnia del  presidente della Fondazione Dioguardi  Francesco Maggiore, per arrivare in Salento, e poi a Bari. Qui mercoledì 4 dicembre coinvolgerà la città in una performance ideata in occasione della riapertura del Teatro Piccinni. Averti addosso. Il teatro che abito è il titolo del progetto, promossa dall’Assessorato alle Politiche culturali e turistiche del Comune di Bari, in collaborazione con Fondazione Gianfranco Dioguardi, Fondazione Giovanni Paolo II e Spazio Murat, che inviterà tutti i cittadini a fare proprio un pezzo del teatro, finalmente restituito alla città dopo nove anni di chiusura per i lavori di restauro. Scampoli di tessuto rosso, lo stesso che ricopre le pareti e gli arredi del teatro, saranno applicati sugli indumenti che ogni cittadino vorrà portare nello spazio della Sala Murat, dando vita a un grande rituale collettivo di riappropriazione. “Sparpagliandosi in piccoli ritagli, frammenti, brandelli – racconta Marras –  la stoffa rossa si eleva a  potenza, diventa altro per continuare a viaggiare, a spostarsi, a raccontare ancora la vita del teatro  che altro non è che la storia della nostra vita”.

Il suo lavoro è un dialogo costante tra moda, arti visive, teatro, cinema, musica e danza. Da dove nasce questa esigenza di contaminazione?

È un processo che sperimento da sempre. Non ho mai pensato ci fossero confini nitidi fra le arti. La moda è stata fin da subito un pretesto per avvicinarmi e dialogare con altre forme, per invadere in maniera pacifica altri linguaggi. Non avevo nessuna velleità di fare lo stilista, mi definisco un uomo prestato agli stracci. In realtà ho sempre provato a creare un dialogo fra musica, teatro, arte, cinema. Tutto mi riconduce e a tutto.

In questo dialogo con le altre arti, il teatro ha assunto nell’ultimo periodo un ruolo rilevante. Nel 2018 ha debuttato la sua prima regia teatrale con Mio cuore io sto soffrendo. Cosa posso fare per te. Come è andata?

Questo lavoro non ha ancora trovato una classificazione: è un insieme di attori straordinari che, con grande entusiasmo, ha accettato di sperimentarsi con me in questa avventura. È uno spettacolo molto travagliato, sofferto, fatto di tagli, addii, amputazioni. I performer mettono in scena dialoghi, movimenti, situazioni differenti che raccontano quattordici  tasselli di un esistenza, fino alla conclusione con la canzone che dà il titolo al lavoro, cover di un successo americano cantata da Rita Pavone. Volutamente ho scelto di non avere in scena abiti, i performer sono in mutande e reggiseno, non ho voluto portare riferimenti al mio  lavoro nella moda. Il percorso dello spettacolo continua a New York, dove sarà in scena a maggio 2020 a La MaMa.

A Bari sarà coinvolto nella grande festa di riapertura del Teatro Piccinni. Come è nata l’idea dell’intervento Averti addosso?

Il teatro mi ha affascinato da sempre, è un  luogo magico, come il cinema, in cui puoi avventurarti in altre storie e dimenticarti della realtà. Per questo quando Ines Pierucci (Assessore alla Cultura del Comune di Bari) mi ha parlato della ripertura del Teatro Piccinni ho accettato con molto entusiasmo di esserci. Quando è venuto fuori che una parte della tappezzeria era avanzata dopo il restauro,mi ha subito affascinato l’idea di poter fare un lavoro che la utilizzasse.  Con Francesco Maggiore abbiamo ideato questo esperimento che è Averti addosso. Il teatro che abito: rettangoli di tessuto che ricoprono le pareti del Piccinni saranno applicati sugli indumenti che la gente vorrà portarci. In questo modo ognuno potrà avere con sé un pezzo di teatro. La cosa che mi interessa, come sempre, è  coinvolgere la comunità, renderla partecipe della riapertura di un luogo così importante, che magari molti baresi non hanno ancora mai visto. Un teatro che riapre e torna a vivere, in un epoca di tagli alla cultura, regala un’emozione fortissima.

In passato ha già ideato azioni di relazione fra luoghi culturali e comunità. Come ha lavorato nel cantiere evento del Teatro Lirico di Milano?

È stata un’operazione promossa dalla Fondazione Dioguardi, con il suo presidente Francesco Maggiore che ne è stato il deus ex machina. Un giorno mi ha chiesto di fare un disegno per la facciata del Teatro Lirico, non credevo sarebbe stato realizzato, mi sembrava impossibile. Poi invece quel disegno è stato su quella facciata per tre anni. Il titolo del progetto era Come è bella la città, un omaggio a Giorgio Gaber, un modo per invitare la gente ad entrare a teatro e allo stesso tempo per far uscire in strada  i personaggi del teatro. Un gesto di apertura: in questo momento più che mai il ruolo dell’arte deve essere quello di accogliere anziché erigere muri e respingere.

Come crede che luoghi culturali possano essere aperti  e attrattivi per  tutti, senza esclusioni?

Un teatro, un museo non possono essere frequentati  dalle giovani generazioni solo in gita scolastica. Fin da piccoli bisogna vivere i luoghi di cultura in maniera attiva. È  necessario che questi  siano territori in cui sperimentare, confrontarsi, entrare in rapporto con le opere. Un museo non può rimane là fermo e imbalsamato, deve creare occasioni in cui le persone possano interagire, deve essere un luogo in cui succedono cose, in cui si può anche vedere e sentire altre forme artistiche. Succede adesso nei grandi musei dove è possibile frequentare eventi di generi molto diversi. Questa modalità l’ho sperimentata personalmente nella mia mostra ospitata per quattro mesi alla Triennale di Milano: ogni settimana erano programmati eventi serali, viste guidate, presentazioni. Lo stesso vale per un teatro, non può solo essere un luogo di programmazione di spettacoli.

Ricorda la sua prima volta a teatro?

Le racconto una delle mie primissime volte a teatro,  era uno spettacolo portato in scena dal  Teatro dell’Elfo, Sogno di una notte di mezza estate, con Ferdinando Bruni nei panni di Puck. Dopo trent’anni Ferdinando Bruni, direttore attuale del Teatro dell’Elfo, ha recitato in uno spettacolo mio. Una cosa bellissima. È vero, come si dice, che i sogni son desideri.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.