“Pittura e poesia. Ungaretti e l’arte del vedere”, in mostra i dipinti dei pittori protagonisti del ‘900 che il poeta ha conosciuto e interpretato con i suoi versi

by Valeria Nanni

Pochi hanno saputo sentire il sapore del ‘900 come Ungaretti. Un poeta, letterato, compositore della parola come fosse plasmabile con la realtà del visibile e con quella intangibile delle sensazioni. E la mostra “Pittura e poesia. Ungaretti e l’arte del vedere” inaugurata a Firenze il 16 maggio fa scorrere fino la 12 luglio dipinti di pittori protagonisti del ‘900 che Ungaretti ha conosciuto e interpretato con la poesia. Così adesso alla Galleria Tornabuoni Arte, presentatrice della mostra, c’è lui a guidare l’esposizione, con la sua poetica che illumina i cartelli descrittivi delle opere. Lui, Ungaretti, nostra eredità per verbalizzare la modernità. Lui uno di quelli che poteva di “io c’ero”. Vediamo come.

“Ero a Parigi quando nacque il Cubismo – scrive Ungaretti in Lettera a Bruna Bianco nel 1968 – C’era Soffici a Parigi, amicissimo di Picasso, e in quel momento con Soffici, Braque, Picasso ci vedevamo tutti i giorni, anche se ero più giovane di loro”. Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto. Quando si trasferisce in Europa la sua prima tappa è Parigi, capitale europea culturale e artistica. Qui incontra Soffici, Carrà, Marinetti, Picasso, Braque, artisti che, lui stesso dirà, furono fondamentali per la sua poesia. Il Legame con artisti presentati in mostra e la scrittura d’arte di Ungaretti, attraversa tutto il suo percorso letterario. Ritroviamo citazioni che riguardano tutte le arti, anche se egli esprime particolare riguardo per la pittura. Se osserviamo i quadri con i suoi occhi impariamo la poesia nell’arte. In mostra abbiamo Alberto Burri di cui Ungaretti fornice un viscerale ritratto.

“Burri. Il medico, poi pittore reduce della prigionia nei campi di concentramento nazisti che con quell’orrore negli occhi vuota nelle sue opere il bubbone infernale, ne mostra in mezzo ai lutti l’ingiusto creatore di sangue e di fuoco voluto dall’inferno, e mostra come la fiamma della libertà domini alla fine anche il più atroce sadismo”. Ungaretti guardava e interpretava un quadro con sensibilità e fantasia eccezionali, eppure non si considerò mai un critico d’arte. Suppliva la mancanza della tecnica artistica con la poesia. Interpretava poeticamente il segno artistico, con la parola.

Si dedica alla “Poetica degli effetti, dall’occhio all’idea, dall’occhio al pensiero – spiega la critica letteraria Alexandra Zingone, profonda conoscitrice di Ungaretti e curatrice della mostra alla Tornabuoni Arte di Firenze – Il pensiero visivo orienta buona parte della poesia di Ungaretti per una ragione biografica – nasce in Egitto – al limite del deserto. Il miraggio del deserto è il primo stimolo alla poesia. Il miraggio è lo spazio, ed è ingrediente essenziale alla arte poetica. Imparare a vedere l’invisibile nel visibile fu il merito degli artisti della modernità, partendo dai sensi, dalla vista per andare oltre, su altre dimensioni reali. Come l’arte astratta”.

Relazione tra poesia e pittura, oltre a dare il titolo alla mostra è anche il titolo di un saggio di Ungaretti, dove le due arti sono in relazione. “La parola implica una riflessione – spiega ancora la curatrice – la pittura invece si muove da un punto anteriore rispetto al verbale. Il segno viene percepito dall’occhio, ma è ancora un gesto muto. La pittura aspetta la parola. Letteratura e arte si incontrano, tra loro ci sono corrispondenze e cangianze che le mettono in continuità l’una all’altra. La prospettiva del senso vitale del linguaggio dialoga con le differenze, col l’energia vitale. La differenza è solo nella forma di espressione. La pittura è linguaggio essenziale, linguaggio di poesia”.

Come se per diventare pittore servisse la complicità del poeta. Vediamo se è vero. Leggiamo cosa dice Ungaretti delle avanguardie artistiche Cubismo e Futurismo. “Picasso è il disegnatore più straordinario, più inesauribile di risorse che ci sia mai stato. Ma che nichilista, che disegnatore dell’uomo, che furibondo amante del mostruoso, del disastro!”. Carrà invece è “uno dei promotori del futurismo pittorico. È condotto a scoprire Giotto e il valore del primitivo in arte dalle sue stesse ricerche di modernismo esasperato. Carrà scopre il valore, la magia del sogno in pittura, ma accorgendosi subito che il sogno è inizio di memoria, che la realtà non può avere umanamente profondità se non di tempo, di memoria”.

Ungaretti era molto amico di Modigliani, conosciuto prima della Prima Guerra mondiale. “Nel 1919 mi sono sposato – scrive – e andammo a vivere in una strada dove c’era una trattoria. Ai pasti incontravo quasi ogni giorno Modigliani, non smetteva di disegnare la gente che era lì quando gli balenasse in mente e lasciava sulla tavola quei pezzetti di disegni, poi venduti, penso, dalla proprietaria del locale. Insomma eravamo lì con mia moglie e Modigliani alla stessa tavola”.

La luce è altro elemento fondamentale nella poetica di Ungaretti ugualmente come per i pittori di avanguardia come matrice visiva e visionaria insieme. Aspetto che gli fa apprezzare tantissimo il futurista Balla. “Sotto il segno della luce è sorto Balla. A volte quasi un divoratore della luce, il miracolo del moto dell’apparizione rivelatrice della luce. Disintegrazione della luce in colori offerti dagli oggetti osservati, per indurla a potersi riedificare nel medesimo attimo quale integrità della luce. Incendi del colore tutta questa materia risolta sulle tele in colori, in zuffa di colori che non ha che una mira, divenire”.

Intorno all’arte del vedere e alla luce si articola poi la relazione tra Ungaretti e il pittore Dorazio, del quale in mostra abbiamo due inediti quadri di piccole dimensioni dove sul retro è leggibile la dedica del pittore a Ungaretti chiamato affettuosamente “Ungà”. Ungaretti imprime un’impronta nel linguaggio della poesia successiva, ma anche nel linguaggio visivo di Dorazio per il quale il poeta sarà una guida, un esempio da seguire, un modello e fonte di molti orizzonti. Le parole sono come i suoni e i colori. Vedere non è fidarsi delle apparenze ma insegnare all’occhio a servirsi di quelle armi mentali che servono alle apparenze.

In mostra sono esposti così opere di Giacomo Balla, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Gino Severini, Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico, Ottone Rosai, Alberto Burri, Piero Dorazio e altri protagonisti delle avanguardie del ‘900, chiamati da Ungaretti poeti, perché artisti.

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