“Plasmato dal fuoco”, a Palazzo Pitti un viaggio nello splendore del bronzo dei Medici

by Michela Conoscitore

Il bronzo è tra i metalli più adoperati in ambito artistico, poiché la sua malleabilità permette allo scultore di piegarlo al suo desiderio, per forgiarlo secondo il suo disegno e conferendogli la lucentezza adatta. Quel che molti non sanno sulle sculture in bronzo, lo può svelare la mostra ospitata a Palazzo Pitti, fino al 12 gennaio 2020: Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici è un vero e proprio ‘forziere’ di tesori, ricolmo di meravigliose opere d’arte provenienti dai musei di tutto il mondo.

La mostra, curata dal direttore del museo degli Uffizi, Eike Schmidt, con Sandro Bellesi e Riccardo Gennaioli, vanta prestiti da musei come il Victoria and Albert Museum di Londra, il Getty di Los Angeles, i Musei Vaticani, il Louvre e il Prado di Madrid. Inoltre, proprio in occasione della mostra sono stati effettuati dei ritrovamenti di opere, adesso in esposizione a Pitti, di cui si erano perse le tracce come le copie delle statue antiche della Tribuna del Buontalenti ad opera del Foggini e di Cipriani, riscoperte al Ministero dell’Economia e delle Finanze della Capitale.

L’allestimento scenografico della mostra si serve di luci e ombre per far emergere le opere, con quella tipica lucentezza timida e non ruffiana, come magari può essere l’oro, e apprezzarne la preziosità e i particolari. I soggetti che animano il percorso espositivo sono un’interessante commistione di sacro e profano, mito pagano e credenze cattoliche sembra si diano la mano per raccontare al visitatore la maestria degli artigiani.

Fautori di questo exploit delle opere in bronzo tra fine Cinquecento e Settecento sono i granduchi di Toscana, i Medici, che nel corso dei secoli hanno trasformato le pregevoli creazioni dei loro artisti di corte in status symbol invidiati e desiderati da individui comuni e teste coronate. Il gusto mediceo dettò legge, unificando una visione artistica che si sarebbe diffusa in tutta Europa, infatti entrare in possesso di opere tali, non era per tutti. Spettava al Granduca l’assenso per la committenza di un’opera bronzea che avrebbe varcato i confini della Toscana. Questo significa precorrere i tempi: i Medici avevano già compreso la potenzialità della manifattura made in Italy, e di conseguenza valorizzata rendendola un brand di lusso.

Il primo nucleo di opere che si incontra, iniziando la visita nelle sale del tesoro dei Granduchi, sono quelle dell’artista fiammingo Giambologna: tutto cominciò con lui, e alla sua morte lasciò a Firenze in eredità, allievi che riuscirono ad eguagliare il suo genio. Il San Giovanni Battista, restaurato in occasione della mostra, così semplice e lineare nella trasposizione del Giambologna, è affiancato al Nettuno, copia della statua protagonista della fontana a Piazza Maggiore a Bologna, sacro e profano che si incontrano e scoprono di somigliarsi, effettivamente: stessa dinamicità, uguali pose plastiche e naturali al tempo stesso, per raccontare non soltanto di una moda, ossia quella delle sculture in bronzo, ma anche di una abilità che, come quella dell’artista fiammingo, ha lasciato notevoli testimonianze nell’arte italiana. Altra opera del Giambologna che davvero toglie il fiato è il Crocifisso, esposto poco lontano dalle due opere sopracitate: per quanto possente, il lirismo della figura del Cristo è reso dalle forme morbide e dai lineamenti raffigurati, che più che fusi nel fuoco, sembrano ispirati a delicati dipinti ad olio. Sempre del Giambologna, per la prima volta in esposizione, anche una Venere al bagno che richiama l’arte classica, con barlumi di modernità barocca.

Crocifisso, Giambologna

A raccogliere l’eredità del maestro, furono Pietro Tacca, autore tra l’altro del Porcellino al Mercato Nuovo, e Antonio Susini, allievi del Giambologna. A seguire figli e nipoti si succedettero, tramandosi i segreti del mestiere, e furono affiancati da altri artisti come Soldani Benzi, i già citati Foggini e Cipriani, e ancora Giuseppe Piamontini, Giovacchino Fortini, Antonio Montauti, Agostino Cornacchini, Lorenzo Merlini, Girolamo Tacciati e Giovan Camillo Cateni.

Proseguendo nelle mode e nelle correnti artistiche, il bronzo fiorentino si sposò con soggetti e materiali nuovi: divennero famose le statue equestri di Giovan Battista Foggini, a cui furono commissionati i bronzetti del re Carlo II di Spagna e dell’imperatore Giuseppe I d’Austria. Oppure le medaglie, portatrici oltre che di valenza artistica anche di quella storica, poiché ritraggono importanti personalità dell’epoca. Il granduca Cosimo III mandò Massimiliano Soldani Benzi in Francia, per specializzarsi nella lavorazione delle medaglie, poiché la richiesta da committenti fiorentini e non era in costante aumento. In ultimo, le pietre dure furono associate al bronzo, dando vita ad opere pregevoli e uniche come la Placca con Annunciazione, sempre di Foggini, del 1722.

Con la mostra Plasmato dal fuoco è stata concessa nuova vita e visibilità a queste opere, e ai loro autori, permettendo così di scoprire non soltanto oltre un secolo di bellezza forgiata nel bronzo, ma anche il canone dettato dai Medici, che hanno proseguito a dominare, dopo il Rinascimento, l’Europa con il loro mecenatismo lungimirante e d’avanguardia.

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