Questo è il giardino che dobbiamo ammirare. Nella Biblioteca Magna Capitana di Foggia le opere di Nicola Genco

by Claudio Botta

Per Aldo Patruno, direttore del Dipartimento Turismo e Cultura della Regione Puglia, «il giardino dell’Eden è pieno di libri, così lo immagino». A qualche giorno di distanza della presentazione a Bari della rete bibliotecaria pugliese, una mostra a Foggia fornisce un esempio concreto di contaminazione artistica, di interazione e di «welfare culturale» (copyright Grazia Di Bari, consigliera delegata alla Cultura della Regione): le opere di Nicola Genco, pittore, scultore, designer, grafico, artista a tutto tondo, esposte nella sala narrativa della biblioteca provinciale Magna Capitana, uno dei contenitori culturali più importanti, quotidianamente frequentato da un’utenza di vitale importanza per il presente e il futuro di una comunità perennemente sospesa tra stimoli preziosi da raccogliere e occasioni perdute.

‘Questo il giardino’, il titolo scelto per una personale di grande spessore, non soltanto dal punto di vista estetico, e passione civile e umana: una serie di opere collocate tra gli scaffali e i libri, non semplici, eleganti, raffinati complementi di arredo ma elementi di ulteriore stimolo e riflessione. Fiori stilizzati realizzati con tecniche particolari, chine cinesi e gouache su carta, dalla doppia chiave di lettura, illustrata direttamente dal suo creatore: «Il giardino è la metafora di tutto quello che ci circonda, da questo piccolo ambiente all’intero pianeta. Un fiore si semina, ma poi va curato con cura, altrimenti si perde: allo stesso modo, dobbiamo essere consapevoli, responsabili della bellezza che abbiamo intorno, perché basta poco per rovinarla», la prima. «Per realizzare le tavole ho usato inchiostro, pennello e acqua, non è servita la traccia di matita. La creazione nasce quindi dal collegamento tra il cuore e la mano, che porta l’acqua a far nascere il fiore. E’ filosofia zen che ci porta ai giorni nostri, ci ricorda che è il momento di fermarsi, di prendere un bel respiro e lasciarsi trasportare dalle nostre emozioni. Fermarsi prima che sia troppo tardi», la seconda. E così un fiore rosso sanguinante racconta meglio di infinite altre immagini il mondo travolto dal covid o sconvolto per le guerre, il senso di isolamento e quello di smarrimento vissuti in questi ultimi, tormentati, indecifrabili anni, la natura devastata, i rapporti sempre più complessi.

Ma quello stesso fiore in una biblioteca rappresenta un elemento di speranza. «Dalla pandemia qualcosa è cambiato, in particolare per i ragazzi», sostiene Grazia Di Bari: «Occorre trovare un linguaggio per arrivare a loro, e per questo sono importanti, decisivi i luoghi di aggregazione come le biblioteche; e i contenitori devono diventare anche e soprattutto attrattori culturali, presidi di legalità e socialità. L’impegno della Regione va in questa direzione, che va perseguita senza lasciarsi scoraggiare magari dalle poche presenze, ma questi luoghi devono essere visti e vissuti non come un obbligo ma un’opportunità. Migliorare la vita dei cittadini attraverso la cultura» l’obiettivo e l’ambizione dichiarata, e altrettanto determinante diventa l’impegno sul territorio di chi è chiamato a tradurre in realtà le scelte e gli indirizzi della politica. Gabriella Berardi, la direttrice della biblioteca, ha rimarcato la collaborazione con Polo bibliomuseale e la Regione: l’iniziativa quindi non è estemporanea, ma rientra in un gioco di squadra. Idealmente annunciato all’ingresso della sala da un’altra opera di Genco, La saggezza dell’albero, un ulivo stilizzato (per lui «simbolo della nostra storia, cultura, terra, e della nostra fragilità, dei nostri errori, delle nostre ferite come la xylella»), il tronco realizzato in filo di ferro, le foglie ricavate da pagine di libri, ognuna contenente quindi lettere, parole, storie millenarie e vicine ai giorni nostri. La scultura stata esposta nell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino per rappresentare la Puglia in modo suggestivo nella sua civiltà e nei suoi paesaggi, nelle sue radici e tradizioni e nei cambiamenti, riscuotendo un grande successo; così come erano stati particolarmente apprezzati, nello stesso contesto l’anno precedente, i 200 papaveri in ceramica bianca sempre realizzati dall’artista e collocati nello stand istituzionale dell’ente, metafora di fragilità e delicatezza, ma anche di bellezza e arricchimento da estendere al contesto circostante («al ritorno a Bari nei corridoi e negli uffici del Dipartimento sono stati per mesi l’oggetto del desiderio di chiunque li abbia visti» ha confessato Patruno).

Le tavole della mostra sono nate «dalla necessità di riflessione in momenti particolari della mia vita, soprattutto negli ultimi anni», la confessione durante l’inaugurazione, arricchita dalla presenza del poeta sanseverese Raffaele Niro, che ha rimarcato come «ognuno di noi è un singolo individuo, abbiamo dimenticato però di essere parte di una comunità» e come l’umanità si stia «distaccando da se stessa, si stia allontanando dalla natura» prima di leggere alcune delle sue opere legate e complementari alle tematiche di fondo, asciutte («in poesia la parola è sottrazione») e incisive come quei bellissimi fiori intorno («la tecnica utilizzata richiede molto esercizio, e permette diverse variazioni su tema. Si parte da un immaginario realistico per arrivare poi a sintesi, alla pulizia del tratto e del pensiero» la spiegazione).

Un esempio potente di arte, di cultura come cura dell’anima e fonte di riflessione, a disposizione di un’utenza che si spera numerosa fino al prossimo 30 aprile.

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