Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria in mostra a Jesi

by Alessandra Belviso

Tina Modotti è una delle prime donne fotografe della storia. Ed è anche una delle fotografe più importanti al mondo. Eppure, non è mai stata in un istituto d’arte e non ha mai frequentato una scuola di fotografia. Ha avuto un amante fotografo e in un anno è diventata fotografa. Nel 1923 ha scattato le sue prime foto e nel 1924 già esponeva in una mostra collettiva a Palacio Mineria di Città del Messico.

La fotografia è stato il mezzo che ha privilegiato per dar sfogo al suo innato talento artistico, ma la sua vita è stata tutta improntata sulla necessità di esprimersi, tanto che prima di approcciarsi alla fotografia è stata un’attrice hollywoodiana oltre che modella. Il fascino dei suoi occhi malinconici e la sua forte espressività le hanno aperto le porte del cinema senza che, ancora una vota, avesse mai studiato recitazione.

La sua vita romanzesca, le sue passioni e il suo impegno politico di rivoluzionaria rendono Tina Modotti un personaggio affascinante del quale è interessante conoscere non solo la sua produzione fotografica di grandissimo valore artistico, ma anche le sue vicende private, strettamente legate alla sua arte.

La mostra a lei dedicata a Jesi nella sede di Palazzo Bisaccioni è progettata proprio su questo duplice piano, artistico e biografico e ripercorre in sei tappe le origini, il cinema, la fotografia, i luoghi, le passioni e la politica di Tina Modotti. Sessanta fotografie provenienti dalla Galleria Bilderwel di Berlino di Rehinard Shultz, curatore della mostra, si susseguono nel percorso espositivo di Francesca Macera che per l’esposizione inaugurata lo scorso week end e visitabile con ingresso gratuito fino al primo settembre ha voluto scegliere gli scatti più rappresentativi della produzione fotografica e della vita di questa straordinaria artista.

Assunta Adelaide Luigia Modotti nacque a Udine nel 1896 in una famiglia povera.  A due anni suo padre la portava sulle spalle ai cortei e alle manifestazioni organizzate per il Primo maggio. A dodici anni lasciò la scuola e andò a lavorare nelle Filerie Raiser, per rendere migliore la tavola dei suoi fratelli più piccoli. A sedici anni raggiunse il suo papà e la sorella emigrati in America, spinta dalla sua innata ansia di scoperta. Da questo suo primo viaggio inizia quello che sarà il viaggio della vita di Tina, quello che la porterà dalla vita di operaia a Udine alla rappresentanza del Soccorso Rosso Internazionale durante la guerra civile spagnola. 

La vita artistica di Tina Modotti ha inizio a San Francisco, una città che per lei era magica, ricca di luce, libertà e nuovi stimoli culturali. Lì poté conoscere l’arte cubista e futurista, gli impressionisti californiani e le opere di Duchamp, che influenzeranno il suo primo periodo artistico. Ma la carriera artistica di Tina, come accennavamo prima, iniziò con la recitazione a Los Angeles. Erano gli anni del cinema muto e di Rodolfo Valentino e per Tina non fu difficile entrare a Hollywood, con il suo sguardo affascinante e la sua bellezza italiana, tanto in voga in quegli anni. 

Ma dopo appena tre film il cinema non le dava più stimoli e nel 1923 si trasferì in Messico e dedicò ad altro. Posò come modella per Weston e fa parte di questo periodo la foto di nudo sull’azotea che tanto rivela di lei e del suo rapporto viscerale con la realtà messicana: adagiata sulla terrazza, con la pelle inondata dalla luce del sole, trasmette una naturalezza della trasgressione ed un sensuale abbandono ad una realtà illuminata dal sole e priva di ombre. Dal rapporto con Weston, del quale divenne amante, acquisì la padronanza della macchina fotografica, un mezzo espressivo che l’aveva sempre affascinata. Nel 1929 si inaugurò la sua prima mostra personale nella Biblioteca Nazionale di Città del Messico.

Tina iniziò a fotografare in un primo momento forme come bicchieri, calle, rose, racchiuse in strette inquadrature, che isolate dal contesto apparivano assolute e plastiche. Con lo stesso procedimento iniziò a fotografare la grafica dei fili elettrici o la geometria di una scala, con uno sguardo capace di rivelare realtà fotografiche che superano le capacità parziali dell’occhio.  In questo tipo di tecnica sono evidenti le influenze del Cubismo, del Futurismo e del Surrealismo. Inoltre la fotografia di Tina in quei primi anni risentì notevolmente del diretto contatto con la pittura dei muralisti, protagonisti del Rinascimento messicano. 

In quel periodo il Messico era appena riemerso da una sanguinosa rivoluzione e pervaso dall’ardore della costruzione di una società utopica. Gli artisti, tra i quali Frida Khalo con la quale Tina strinse un intimo rapporto di amicizia, avevano partecipato attivamente ai movimenti rivoluzionari combattendo nelle fila dei guerriglieri e, rientrati dall’esilio realizzarono variopinti murales su palazzi, chiese e caserme. Per le strade e nei salotti animati da artisti e intellettuali si respirava un’aria di grande eccitazione e fermento e in quel periodo Tina scoprì l’attivismo politico, tanto che nel 1927 si iscrisse al Partito Comunista Messicano. Con la fotografia si auspicava di fare la sua parte nella rivoluzione: le immagini scattate negli anni 1927 e 1928   con i simboli del partito, composti da elementi caratteristici della cultura messicana, con una forza grafica che in quel medium non aveva precedenti, mostrano come il linguaggio della fotografia fu messo a servizio della propaganda politica, per l’affermazione dei nuovi valori della società.  Molte di queste foto vennero utilizzate su giornali e riviste come El Machete.

Ma poi la sua arte fu totalmente catturata dalla realtà politica e sociale e la sua Graflex divenne un occhio spietato sulla miseria e la sofferenza. Nonostante il vivace clima culturale, la società messicana continuava infatti ad essere caratterizzata da grandi contrasti sociali, con gravi situazioni di indigenza e miseria. Tina, per le sue origini, comprendeva benissimo il crimine rappresentato dalla miseria e le sue fotografie lo urlavano senza pietismo e con grande dignità. Si convinse che compito della fotografia fosse imprimere sulla lastra la realtà, su commissione di Annita Brenner intraprese un viaggio per il Messico e cominciò a fotografare campesinos alle manifestazioni, volti cupi, mani consumate dalla fatica e dal lavoro, bambini dallo sguardo spento dalla miseria. La serie che più appare vicina al reportage è quella che dedicò nel 1929 alle donne indigene di Tehuantepec, simboli dell’identità messicana. Progressivamente per Tina la fotografia divenne solo un mezzo e quando raggiunse il momento più alto della sua esperienza artistica, l’abbandonò i nome di una rivoluzione non solo artistica ma anche sociale e politica.

Nel 1928 conobbe l’amore della sua vita, Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, al quale dedicò tanti suoi scatti ma lui cadde vittima di un attentato politico e morì tra le sue braccia. Dopo la morte del suo grande amore Julio Antonio Mella, al quale dedicò diversi scatti, la militanza divenne per Tina l’unico rifugio in grado di proteggerla dalla profonda tristezza che le pervadeva l’animo. Nel 1930 lasciò la Germania e la fotografia per intraprendere diversi viaggi in Europa svolgendo incarichi per il Soccorso Rosso. Nel 1940 tornò in Messico, dal quale era stata precedentemente espulsa perché accusata insieme ad altri militanti dell’attentato al presedente Rubio lì terminò i suoi giorni. Morì due anni dopo su un taxi mentre tornava a casa.  Sulla sua tomba, un poema scritto per lei da Pablo Neruda.

Le fotografie di Tina Modotti hanno lo straordinario risultato di sintetizzare la potenza dell’arte a contatto con la forza della realtà messicana e oggi sono conservate nei più importanti musei del mondo tra i quali la George Eastman House di New York e la biblioteca nazionale degli Stati Uniti a Washington.

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