Viaggio verso l’immortalità: mummie e strumenti di imbalsamazione nella mostra a Firenze

by Michela Conoscitore

Se siete a Firenze, e magari dopo aver assimilato tutto quel che c’è da assimilare sul Rinascimento, vi va di cambiare ‘epoca’ storica, allora non potete perdervi la mostra sull’antico Egitto al Museo Archeologico Nazionale, nella bellissima cornice di piazza Santissima Annunziata. Qualcuno potrebbe dire che su questa antica civiltà si sa anche troppo, ormai. Invece la mostra, concepita ormai vent’anni fa da Maria Cristina Guidotti, curatrice scientifica dell’allestimento, cerca di mettere in evidenza uno degli aspetti più peculiari e affascinanti della civiltà di Tutankhamon: l’imbalsamazione e la vita oltre la morte. Mummie – Viaggio verso l’immortalità, sarà visitabile fino al 2 febbraio del 2020, offrendo al visitatore la possibilità di ammirare pezzi importanti, provenienti dai depositi del museo.

La passione per l’antico Egitto esplose, in tutto il mondo, in seguito alla spedizione di Napoleone Bonaparte, nel 1798: al seguito dell’imperatore, uno stuolo di studiosi e ricercatori che stilarono la Description de l’Égypte, pubblicata nel 1809, che iniziò a svelare i tanti misteri che avvolgevano questa antica civiltà. A seguire, nel 1822, la decifrazione dei geroglifici egizi ad opera sempre di un francese, Jean-François Champollion, scoperta che ulteriormente contribuì a chiarire ambiti di vita importanti degli antichi abitanti della valle del Nilo.

Oltre alla febbre che contagiò tutti, poiché l’antico Egitto esercitò un grande potere sull’immaginario comune, con il suo bagaglio di leggende e maledizioni, la comunità scientifica si dedicò allo studio dei reperti, i quali trovarono ‘casa’ nel primo museo al mondo, a loro interamente dedicato: il Museo Egizio di Torino. Secondo solo a quello de Il Cairo, fu il primo ad essere istituito nel 1824. Però, non tutti sanno che un altro importante nucleo di reperti egizi, in Italia, è conservato proprio presso il Museo Archeologico di Firenze: istituito nel 1855, in esposizione reperti che furono raggruppati in seguito a varie acquisizioni ad opera del granduca Pietro Leopoldo di Toscana, e alla spedizione di Ippolito Rosellini proprio con Champollion, risalente al 1828-29.

All’inizio del percorso espositivo, il prezioso sarcofago del sacerdote Padimut, che catapulta fin da subito il visitatore in un’atmosfera rarefatta e irreale, quasi si stesse varcando la soglia di un laboratorio di imbalsamatori, per carpirgli segreti e impossessarsi di leggende millenarie. La procedura di imbalsamazione dei corpi, infatti, è una caratteristica del culto dei morti egizio: i defunti, una volta passati ad Occidente, come il sole che tramonta, dovevano innanzitutto tener cura del proprio corpo, poiché se questo andava incontro a corruttele non potevano accedere al regno di Osiride, divinità del mondo dei morti.

La procedura di imbalsamazione dei corpi era presieduta da sacerdoti specializzati in questa pratica, che curavano attentamente ogni minimo aspetto del processo, affinché tutto andasse a buon fine. Gli strumenti preposti, per la verità pochi e semplicissimi, è possibile ammirarli tra i reperti in mostra: con un uncino si rompeva l’osso etmoide, posto all’altezza della cavità nasale, per far fuoriuscire il cervello, unico organo del corpo ad essere gettato, perché per gli antichi egizi sede dell’anima e dell’intelligenza era il cuore. Proprio il muscolo cardiaco veniva lasciato al suo posto, irraggiungibile per gli imbalsamatori dal taglio effettuato lateralmente sul fianco del defunto, dal quale però si tiravano via le restanti viscere, raccolte nei vasi canopi e messe ad essiccare, come il resto del corpo, nei sali di natron per settanta giorni.

Nella seconda parte del percorso espositivo, spazio dedicato agli oggetti che accompagnavano nella tomba la mummia, alcune di queste affascinanti esposte nella mostra, sottoposte ad analisi che ne hanno svelato i segreti, e che l’avrebbero aiutata nella nuova vita: utensili per coltivare i campi, arredamenti, vestiti, stoffe, sandali, gioielli, cibo, e gli ushabti, ovvero statuette che avrebbero servito il defunto nell’aldilà. Inoltre, una serie di amuleti erano posti tra le bende di lino della mummia, per proteggerla durante il viaggio nell’oltretomba.

Se gli imbalsamatori avevano portato a termine correttamente la procedura di mummificazione, avrebbero permesso al defunto di iniziare il suo viaggio nell’aldilà: dopo aver attraversato regioni popolate da mostri e aver superato numerosi pericoli, sarebbe arrivato al cospetto di Osiride, per la pesatura dell’anima. Il Ka, così veniva chiamata la parte spirituale dell’essere umano dagli antichi egizi, veniva posto su una bilancia, mentre sull’altro piatto una piuma, Maat, simbolo di purezza e innocenza. Se l’anima del defunto avrebbe superato il peso della piuma, Osiride avrebbe dato in pasto al coccodrillo Ammit il cuore del defunto, impedendogli di andare oltre.

Infatti, quel che emerge dalla visita alla mostra è che per gli egizi era assolutamente necessario assicurarsi un posto nell’aldilà, altrimenti l’anima sarebbe stata costretta a vagare nelle tenebre, senza mai trovare riposo e in balia delle forze oscure. 

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