Wang Guangyi, in mostra la tradizione cinese e la filosofia dipinta a Palazzo Pitti

by Valeria Nanni

Una mostra esistenzialista si apre Palazzo Pitti a Firenze. Irrompe nella storia occidentale e rinascimentale un artista dalla filosofia dipinta, che indaga sulla percezione dei fenomeni naturali, che si presenta come filosofo della soglia del pensiero tra il visibile e l’oltre, viene dalla Cina e si chiama Wang Guangyi. Espone 28 dipinti disposti per 4 tappe per presentarci la parte oscura dell’esistenza di tutti noi, e non per forza negativa, semplicemente nascosta e da scoprire. Così fino al 10 dicembre la reggia medicea accoglie “Obscured Existence”, questo il titolo dell’esposizione.

“È un grande onore per noi di avere Wang Guangyi, tra gli artisti più celebri della Cina – afferma il direttore degli Uffizi Eike Schmidt – Nella sua opera unisce sia la tradizione pittorica cinese che quella occidentale e in particolare quella italiana rinascimentale. Sono tutte opere nate degli ultimi 4 anni mai esposte precedentemente. L’autoritratto che si vedrà nell’ultima stanza della mostra, resterà come arricchimento della collezione di autoritratti delle Gallerie degli Uffizi, raccolta che si dimostrò internazionale sin dall’inizio nelle intenzioni del cardinale Leopoldo dei Medici che la concepì”.

Sono tutte opere d’arte che parlano una filosofia dipinta, per questo l’intervento di filosofi e critici è fondamentale per approfondirne il senso. “La sua ricerca è talmente intrisa di significati filosofici – spiega Demetrio Paparoni, curatore della mostra e critico d’arte – che le due materie, arte e filosofia, si intersecano. La sua conoscenza riguardo la Storia dell’arte occidentale inizia nel 1985 quando furono tradotti in cinese i libri dello storico dell’arte Ernst Gombrich. Fu questa una grandissima rivoluzione intellettuale in Cina che ha contribuito a creare una relazione con il nostro mondo. Matura così in lui l’attenzione allo lo sviluppo dei fenomeni. Infatti Wang Guangyi è fondamentalmente kantiano, interessato alla struttura del pensiero, al come percepiamo le cose e perché. Si chiede cosa nasconde quello che è intorno a noi. Questa è una mostra molto particolare concepita espressamente per gli Uffizi. Ma lui è multimediale. Non ha seguito il suo successo commerciale in virtù del rinnovamento artistico continuo. Si pensi ai lavori che ha fatto sull’uso del passaporto, alle riflessioni sulla propaganda cinese sulla Guerra Fredda, sui rapporti con la Russia, e sulla fede”.

Ritroviamo così elementi taoisti accostati a lavori su simboli come la Coca Cola, ovvero quadri che sembrano ai nostri occhi pop ma non lo sono. Sono lavori sull’ideologia che ci propone un mondo diverso e migliore. Ma lui si chiede noi che rapporto abbiamo con la fede e come si sviluppa la nostra vita attorno alle cose più banali. Pone l’accento sulla ritualità, vuole che non si perda, che venga anzi elevata a significato esistenziale. “Ha reinterpretato un tema biblico come l’Ultima Cena in un quadro enorme che poi diventa un grande quadro cinese – continua il curatore Demetrio Paparoni – L’artista ci vede una ritualità pazzesca anche nell’essere a tavola tutti i giorni. Trova il sacro che si nasconde dietro le piccole cose, anche in momenti intimi con l’andare in bagno. Tutto questo si lega alla tradizione cinese. L’idea dell’acqua che entra nelle case è accettazione della vita che scorre”.

Wang Guangyi fa dell’indagine dei fenomeni uno stile di vita. Il curatore della mostra racconta come durante l’allestimento hanno avuto modo scoprirlo. “Per le tele grandi abbiamo dovuto fare dei telai apposta in loco. È successo che per sbalzi termici le tele non combaciavano con il telaio. E mentre eravamo intenti a capire come risolvere il problema lui ci ferma spiegando che è meglio lasciare che le cose vadano come devono andare. Lui riesce ad apprezzare quello che la vita ci offre anche nel tirare le tela sul telaio. Certo c’è un po’ di mistica in tutto ciò, ma a questo punto, perché no”.

Nell’interpretazione ci viene in aiuto il pensiero del filosofo Elio Cappuccio che segue Wang Guangyi da un po’ di tempo. “In lui pensiero e immagine si intersecano. Ritroviamo il pensiero di Immanuel Kant, Ernst Gombrich e Arthur Danto. Lavora introno alla riflessione sulla percezione. C’è un’espressione di Danto secondo cui a mutare nel corso del tempo non è stata l’anatomia dell’orso ma la storicità dell’orso. Questo significa che la cultura ci condiziona fortemente. Ciò caratterizza il lavoro Wang Guangyi quando si accosta all’immagine”.

Molti dei suoi lavori esposti sono immagini anche a volte conosciute nella storia dell’arte come la Medusa di Caravaggio, e lui le pone in secondo piano alla griglia. All’occhio dell’occidentale le ha imprigionate, ma secondo l’ideologia orientale la griglia rivela l’altrove. “Lui dice che quando la griglia è posta in evidenza è rivela il tentativo della cultura di dare ordine alla vita”. Vita e forma sono antitetiche. “La forma blocca la vita che invece è un fluire. I fenomeni culturali sono tonalità emotive piuttosto che dei fenomeni da definire in modo chiaro. Quando la griglia non è in evidenza nasconde l’essenza del reale”.

A questo punto scomodiamo pensatori antichi come Platone. “La griglia è l’elemento geometrico, per Platone la realtà rispondeva ad un riflesso delle idee e numeri, l’esattezza dell’Iperuranio. La realtà nostra è un riflesso di tutto questo”. La filosofia idealista tedesca ci aiuta meglio a comprendere un artista esistenziale come Wang Guangyi, Emmanuel Kant in primis. “In Kant la conoscenza certa è quella riconducibile al fenomeno. La conoscenza teoretica è quella della fisica di Newton, Galileiana. Kant stesso dice che non possiamo escludere che al di là della realtà fenomenica esiste una dimensione altra ma non ne possiamo dare dimostrazione teoretica, perché manca il dato sperimentale. C’è tensione verso il noumeno che è oggetto del pensiero ma non può essere definito in una dimensione sperimentale, non ne possiamo dare prova. Dio è un postulato della ragione. Possiamo postulare l’esistenza di Dio ma non ne possiamo dare una dimostrazione. Dobbiamo accettare la dimensione della fede senza poterne dare dimostrazione.

In quanto filosofo della soglia, ci parla della condizione naturale e dell’oltre. Wang Guangyi è anche un filosofo che ci consente di parlare dal sensibile intellegibile, ed è un artista che fa questo attraverso immagini che ci parlano di un pensiero dell’oltre passamento. “Perché se ciò di cui possiamo avere certezza e ciò che si riconduce nell’ambito del sapere sperimentale, l’Oltre, in quanto non si riconduce al sapere sperimentale, è indimostrabile e rappresenta la verità. Wang Guangyi si muove esattamente in questa dimensione. Ritroviamo il pensiero anche di un filosofo italiano contemporaneo, Giorgio Gamben, che ha scritto sulla nuda vita. In essa siamo tutti uguali. L’artista gioca moltissimo su questo, che può significare offendere la condizione naturale dell’uomo o invece trovare ciò che è comune a tutti per sentirci comunemente vicini. Ecco cosa fa l’artista, perciò i volti non sono ben determinati, perché ciascuno di noi potrebbe essere quel soggetto.

Wang Guangyi presenta se stesso come un viaggiatore che incontrò Firenze 30 anni fa e fu suggestionato dai capolavori nelle collezioni degli Uffizi. “Per me – dice – è stato come se mi avessero illuminato il cuore questi dipinti, e dopo 30 anni ritorno qui oggi col gradissimo onore di avere la possibilità di mostrare le mie opere. È stato il mio sogno come immagino possa essere il sogno di tutti gli artisti del mondo. Sono nato e cresciuto nel nord est della Cina, un luogo che ha avuto una grande influenza su di me e sulla mia arte. È un luogo nel quale sono radicate molte credenze di rito sciamanico, credenze di tipo panteista. Anche loro hanno profondamente influenzato il mio lavoro. Come artista mi trovo in una condizione di confusione e smarrimento di fronte alla grandezza della storia e dell’arte e al complicato modo di essere nella vita quotidiana”.

“Attraverso questi lavori che vedrete nella mostra ho tentato di guardare alla storia e alla realtà con lo sguardo dello sciamano per riconnettermi a queste fedi che hanno caratterizzato la mia infanzia e gioventù. Vorrei regalare un’esperienza di visione in cui lo spettatore non sia semplicemente uno spettatore ma diventi anche un soggetto stesso dell’opera. Per cui quando una persona guarda l’opera non ci sia un oggetto ma due soggetti che interagiscono. All’interno di questo tipo di narrazione possiamo chiederci se il tipo di felicità alla quale possiamo ambire si possa trovare solo all’interno di quella che io chiamo esistenza nascosta, “Obscured Existence”.

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