World Press Photo, il fotogiornalismo in mostra al Margherita: intervista a Vito Cramarossa

by Ines Pierucci

La luce della fotografia è ciò che disegna la realtà. La sera del 12 giugno del 2018 John Moore stava fotografando gli agenti statunitensi alla frontiera nel confine tra Stati Uniti e Messico, dove perquisivano migranti e li caricavano su un furgoncino. Venivano dall’Honduras e viaggiavano da circa un mese. Tra i tanti migranti una donna dovette lasciar scendere sua figlia dalle sue braccia per essere perquisita. Yanela è il nome della piccola di poco più di due anni che, nella foto vincitrice di World Press Photo 2019, piange disperatamente tra le gambe della mamma e quelle del poliziotto che sta perquisendo la donna.

Esposta nella sezione storie di attualità, tra le altre dedicate all’ambiente e natura, ritratti, notizie generali, sport e progetti a lungo termine, questa immagine tocca il cuore di tutti. “Da un aspetto più umano ad una storia più ampia, la paura di un volto umano che ci collega ad una questione più grande”. Per descrivere l’opera vincitrice non ci sono parole più incisive di quelle del suo fotografo riportate nell’audio guida.

“La fondazione World Press Photo crede nel potere delle immagini e nell’importanza di mostrare, e di osservare coi propri occhi, narrazioni visive di qualità”. Benvenuti alla più importante mostra di fotogiornalismo internazionale, allestita al Teatro Margherita di Bari, fino al 23 giugno 2019.

Il Direttore artistico della mostra, nonché presidente dell’Associazione CIME – Culture e Identità Mediteranee è Vito Cramarossa. Da sempre si occupa di promozione del territorio all’estero e sin dal 2013 ha avuto l’intuizione di portare a Bari, nella sua città, World Press Photo. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui sulla Terrazza vista mare del Teatro. Il Margherita fu costruito nel 1914 su pilastri fondati nel mare e restituito da poco alla città, dopo due anni di lavori, grazie ad un restauro fedele alle influenze stilistiche che richiamano all’Art Nouveau con il quale fu concepito. L’allestimento è nel foyer del teatro, ancora in fase di restauro e riconversione in museo di arte contemporanea, essenziale e rispettoso nei confronti dei lavori esposti nonché arricchito da alcuni rosoni a mezzaluna di luminarie.

Come siete diventati il riferimento italiano di questo grande progetto internazionale?

L’incontro con gli organizzatori olandesi di World Press Photo è nato casualmente a Bruxelles dove abbiamo organizzato altri eventi con la nostra associazione CIME. La prima volta che abbiamo proposto la mostra al Comune di Bari fu nel 2013 e l’utilizzo del teatro Margherita fu concesso a patto di un accesso libero, perché allora lo spazio non era ancora del tutto agibile. Contammo 30mila presenze, attratte non solo dalla mostra ma probabilmente dalla riapertura estemporanea del Teatro. Gli anni successivi, in attesa del completamento dei lavori, abbiamo allestito la mostra nella Sala Murat. Il successo sempre crescente degli anni a seguire fu dettato anche dal fatto che all’interno dell’esposizione abbiamo sempre ospitato dibattiti e altri eventi che contaminano l’arte fotografica. Del nostro successo se ne sono accorti anche i colleghi olandesi i quali ci hanno suggerito la scommessa di provare ad aprire a Palermo e a Torino, due piazze che hanno reagito benissimo, con un successo di pubblico straordinario. A Torino ci consegnarono le chiavi del Maschio nel 2016. Quest’anno andremo anche a Matera Capitale Europea della Cultura. Siamo diventati così i partner con maggior numero di mostre in Italia.

Perché organizzate la mostra di World Press Photo?

Una mostra come World Press Photo non può che provocare esternalità positive e riflessioni importanti e siccome tra gli obiettivi di CIME c’è quello di creare per il tramite della cultura lo sviluppo del territorio, abbiamo creduto subito in questo progetto. L’intento, sin dall’inizio, era quello di organizzare qualcosa che alimentasse lo spirito critico della comunità.

Dopo tante città italiane che ospitano la mostra, la politica italiana potrebbe essere al centro delle foto delle prossime edizioni di World Press Photo?

Nonostante il foto racconto di quest’anno su Trump e Macron, la politica non è tra gli intenti della fondazione World Press photo, obiettivo della Fondazione è raccontare storie attraverso il fotogiornalismo e spesso sono storie lontane non solo fisicamente ma anche dal punto di vista culturale e sociale, molto diverso dal nostro.

Qual è il rapporto con la città di Bari dove è nato il progetto?

Non è stato semplice, inizialmente abbiamo investito nel progetto con le risorse private perché ci abbiamo creduto tantissimo. Negli anni poi abbiamo trovato sponsor inizialmente locali e poi dall’anno scorso anche nazionali come FCA, perché essendo molto costosa soprattutto ai fini dei diritti è una mostra che non si sostiene con il solo sbigliettamento. Le amministrazioni pubbliche ci hanno sostenuto nel tempo perché hanno capito l’importanza del progetto. Se Lonely Planet dice che siamo una città da visitare un motivo ci sarà e sicuramente è il risultato del lavoro realizzato negli anni e che speriamo venga ripagato anche in futuro perché anche il territorio ne ha bisogno.

Dopo il reportage di guerra, da quest’anno si è aggiunta la sezione ambientale che ha allargato l’orizzonte tematico del concorso. Come mai?

Alla categoria natura si è aggiunta quella dedicata all’ambiente. Sicuramente è un tema ritenuto fondamentale nell’agenda mondiale, dunque, ineludibile soprattutto per il mondo dell’informazione fino al punto di creare una categoria che mancava.

Qual è il futuro della cultura a Bari?

Bisogna avere i mezzi, una strategia e fare sistema. Questi tre elementi potrebbero creare un importante meccanismo virtuoso per aggiungere contenuti ai molteplici contenitori culturali che stanno riaprendo in città. Il fatto di aver potuto essere ospitati in un posto prestigioso come il Margherita ci ha permesso di rimanere a Bari e di non spostarci in un’altra qualsiasi città dell’area metropolitana. Non temiamo la concorrenza, anzi che ben venga perché più mostre e più attività culturali ci sono più si alza il livello qualitativo dell’offerta culturale. La partnership pubblico privato è un’altra sfida importante che permetterebbe da un lato di professionalizzare le attività culturali e dall’altro di ridurre l’assistenzialismo pubblico. Le realtà territoriali devono crescere anche nel trovare nuovi sponsor e nuovi fondi come quelli europei. Con CIME stiamo cercando di ampliare il progetto di World Press Photo per parlare di questi temi nelle scuole che ospitano le generazioni future, non solo durante la mostra ma tutto l’anno.

Quali sono le prossime tappe di world press in Italia, organizzate da CIME?

CIME non si ferma a World Press Photo, ma siamo pronti a sperimentare nuovi progetti che suscitino molteplici stimoli. Subito dopo la chiusura di Bari, il 23 giugno, apriremo World Press Photo a Matera da subito dopo la chiusura di Bari fino a metà luglio, a Palermo dal 5 settembre al 6 ottobre, a Torino dal 29 settembre al 18 novembre e a Napoli dal 16 ottobre al 18 novembre.

* la foto in apertura è di Rosaria Pastoressa

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