“Alla fine dell’epidemia all’Italia servirà un po’ di amor proprio per la ripresa”. Intervista a Dino Amenduni

by Antonella Soccio

Solo dopo l’ultimo decreto, il Governo Conte sembra aver uniformato la sua comunicazione ufficiale ai tempi del Coronavirus. Per chi studia o si occupa di comunicazione politica quelli della epidemia da Covid-19 sono giorni fuori dall’ordinario, in cui in pochissime ore si applicano manuali e si distruggono certezze.

Noi di bonculture per comprendere meglio ciò che sta accadendo abbiamo chiesto l’ausilio di Dino Amenduni, editorialista di Repubblica, comunicatore, pianificatore strategico, spin doctor e socio di Proforma, l’agenzia di comunicazione politica e di impresa tra le più brillanti e importanti del Paese.

Lo abbiamo intervistato.

Amenduni, come siamo arrivati a questa situazione con tutta l’Italia zona rossa e con messaggi che solo da qualche ora sono univoci e omogenei?

Si è creata quella che secondo la definizione recente coniata da Treccani si chiama infodemia, ossia l’equivalente informativo di una epidemia, per cui le fonti informative sono molte e arrivano da luoghi non verificati e in cui esistono alcuni conflitti tra i livelli informativi, che aumentano la sensazione da parte del destinatario dell’informazione che sia praticamente impossibile attingere ad una sola fonte.

Questa propagazione di informazioni confuse viene favorita da tre tipi di conflitti, tra organismi che in teoria avrebbero dovuto o dovrebbero creare un meccanismo di omogeneità nel reperimento delle informazioni. Nel corso di queste settimane e non soltanto tra sabato e domenica quando è stato annunciato il decreto c’è stato il primo conflitto, che è quello tra i livelli dello Stato, per cui abbiamo visto spesso il Governo contraddire le Regioni su alcune decisioni, oppure i Comuni che hanno fatto ordinanze individuali senza coordinarsi con gli altri Enti locali accanto o alcune decisioni prima dell’estensione della zona rossa- era capitato un paio di settimane fa che le Marche avevano deciso di chiudere le scuole pur non avendo contagi e la Toscana, che ne aveva giù due o tre aveva deciso di non chiuderle.

In Puglia ci sono stati conflitti ancora più piccoli tra il presidente Emiliano e i Comuni e tra i Comuni ed alcune Province.

Si tra Emiliano e la Lega Calcio per Lecce- Atalanta. Il fatto che le istituzioni invece di essere uniformi nelle loro decisioni siano evidentemente e pubblicamente in contraddizione spinge le persone a dire: ok, se loro non si mettono d’accordo tra di loro, io mi faccio una opinione con le mie fonti. Non è detto che le mie fonti siano più autorevoli di quelle istituzioni, ma è anche vero che se la fiducia nei confronti delle istituzioni è molto bassa, come abbiamo visto in questi anni, è altrettanto vero che tendo ad affidarmi di più alla mia rete, al gruppo WhatsApp della famiglia, ai colleghi di lavoro. Questo favorisce la confusione.

Il secondo livello è quello del conflitto scientifico, c’erano voci discordanti tra i virologi, gli epidemiologi, gli infettivologi in merito a quanto l’epidemia fosse pericolosa e questo conflitto si è riversato nel dibattito pubblico per cui c’era Burioni contro Gismondo, alcuni che erano più critici, altri che dicevano che bisognava far sfogare la malattia. Soprattutto nei primissimi giorni anche gli esperti dicevano cose diverse o comunque c’era la sensazione che non ci fosse unanimità nella loro posizione e questo ha ulteriormente creato confusione.  E poi c’è la terza frattura, che è stata mediatica. Abbiamo visto due modi di fare informazione: uno che era la ricerca del click a tutti i costi quindi ogni mezza notizia si creava il lancio e l’agenzia e chi invece ha provato a fare informazione in modo lento, curando le notizie verificando e puntando sulla qualità. È chiaro che in un momento di grande confusione e panico anche, di paura e di ricerca di notizie che o rassicurino o che confermino le proprie paure, con due modelli che si scontrano tra di loro- uno molto ansiogeno e l’altro lento- si è generato caos.

Dopo la prima settimana e il primo weekend nel corso del quale i media sono stati accusati di generare il panico, l’informazione si è però fermata. Anzi si è dato il messaggio opposto.

Ci sono state due bizzarrie: all’inizio sembrava una cosa abbastanza piccola, sembrava che i media ingigantissero il problema, poi quando la cosa stava crescendo, i media e anche alcuni politici hanno cominciato a dire che non potevamo stare chiusi in casa e che non potevamo farci prendere dal panico. Purtroppo quelli sono stati i giorni in cui il virus, grazie ai tanti contatti, si è propagato, fino ad arrivare alla estensione della zona rossa. Questo è un altro elemento che riduce la fiducia nei media, perché sembra che più di raccontare le cose vogliano raccontare una loro versione dei fatti.  

È sembrato però anche che fossero quasi al servizio del potere, in questo caso sanitario, per non creare il panico, negando alcune evidenze. Non andavano più a caccia di notizie.

Sembrava che fossero stati redarguiti da Conte o da Mattarella, dopo giorni di panico. Sì, c’è anche questa fase.

C’è stato anche un fenomeno molto strano. Tanti cittadini e tanti giornalisti hanno ricevuto in questi giorni via WhatsApp dei particolari messaggi con i link dei siti istituzionali del Governo accompagnati da brevi testi molto ansiogeni e aggressivi, che anticipavano le decisioni che sarebbero state prese solo 2 o 3 giorni dopo. È accaduto per la chiusura delle scuole fino al 3 aprile, per l’estensione della zona rossa. Chi li ha prodotti? Che idea ti sei fatto? Li hai ricevuti anche tu?

Solo di rimbalzo, mai come primo destinatario e quando già se ne metteva in dubbio la veridicità, dicendo che erano bufale. La sensazione che ho avuto io è che nel Governo alcuni di questi passaggi non fossero condivisi da tutti. Questo ha creato una serie di frizioni che hanno prodotto degli spazi politici. Ogni ora è decisiva, non si può dire come abbiamo visto in questa legislatura, sia col governo gialloverde che con quello giallorosso, “facciamo il decreto e poi troviamo l’accordo”. È stata una prassi molto diffusa in questa legislatura: mettere una pezza e poi vediamo. In questo caso non si può fare così. Prima che arrivasse l’epidemia il Governo era in gravi difficoltà, si diceva che Conte era a rischio, quelle tensioni sono rimaste vive, ovviamente non possono essere esplicite in questo momento, perché chiunque si mettesse a fare giochini di tattica politica verrebbe visto come un pazzo, ma magari quelle frizioni dalla dimensione pubblica sono arrivate alla dimensione privata e qualche livello di governo e sottogoverno, o nell’opposizione o in qualche ente locale, che ha avuto l’interesse ad incuneare e a far passare alcuni messaggi all’opinione pubblica.

Erano messaggi costruiti in maniera molto sofisticata, come dispacci ufficiali. Solo cliccando sul link del sito se ne scopriva la falsità.

È probabile che ci fossero degli interessi particolari, forse gli enti locali avevano voglia che fossero anticipate delle scelte da parte del Governo. Noi abbiamo avuto Emiliano, che ha anticipato nelle sue richieste molte scelte nazionali e con lui anche Musumeci e Zaia. È possibile che ci sia stato un conflitto implicito, che abbia portato ad utilizzare delle armi improprie mediatiche per orientare l’opinione pubblica affinché il Governo prendesse le decisioni desiderate. La notizia delle scuole chiuse è stata un tam tam che ha portato tanti cittadini a chiedere informazioni sulla pagina social di Antonio Decaro, ad esempio.

Decaro è stato forse uno dei sindaci più razionali in questa vicenda, vero?

Lui ha il doppio livello di sindaco di Bari e di presidente Anci, deve mediare le richieste dei sindaci, che a loro volta vogliono avere chiarezza sulle cose da fare. Se ogni giorno cambia la linea nazionale è complicato adottare le misure per essere rispettosi di quel decreto. È probabile che si sia fatto un po’ di guerra sporca non potendo fare la tiritera di prima, perché non c’era proprio lo spazio pubblico. Si è usato un po’ di tutto. Non sapremo cosa è accaduto tra sabato e domenica per l’allargamento della zana rossa alla Lombardia e alle altre 14 province.  

Cosa è accaduto quella notte secondo te? È stato un test da parte del Governo e del Movimento 5 Stelle in particolare per verificare, dal punto di vista del consenso, quanto fosse condiviso un decreto così forte?

La CNN dice di aver ricevuto il documento dalla Regione Lombardia ed è una delle pochissime fonti che ha dichiarato l’origine, altri giornalisti in Italia hanno detto che la fonte era vicina al Governo e altri ancora supportavano la tesi che sostieni tu. Io penso che in queste circostanze è veramente azzardato fare test, prove. L’ultimo decreto infatti è stato istantaneo, perché si sono scottati con l’esperienza precedente. Penso che sia di nuovo quello che ho detto prima: quando non ci sono dei livelli politici perfettamente allineati tra di loro ci può essere l’interesse di qualcuno ad enfatizzare una dimensione a scapito di qualcun altro o di creare casino, rimestando nel torbido, ma siamo nel campo delle ipotesi. L’unica cosa certa è che la CNN ha dichiarato di aver avuto tutto dalla Regione Lombardia così come la Lega aveva pubblicato la bozza su facebook. È evidente che Fontana o Salvini avevano interesse a creare una frizione.

La Lega dopo mesi di trionfi oggi col Coronavirus appare molto in difficoltà, la Bestia è finita?  

La Lega era già in calo. Adesso in questo momento ben pochi italiani sono disposti a vedere i partiti litigare. Chi sta all’opposizione oggi a meno che non abbia qualcosa di veramente rivoluzionario da dire o ha una esperienza amministrativa tale da poter dire “se governassi io questo problema non si sarebbe posto” e Salvini non può dirlo, mancando questo presupposto e questa dimensione Salvini deve mettere il freno, anche se qualche attacco lo ha fatto, ma l’ha fatto su El Pais. Mancando le categorie classiche per fare politica ossia il confronto e l’opposizione, è probabile che abbia tentato di creare confusione per indebolire Conte, ma è stata un’operazione azzardata. Non avendo la certezza che sia stato lui, la cosa passerà in cavalleria. Ovviamente è successo qualcosa di molto grave perché anticipare un decreto di quella portata, qualche ora prima che diventasse legge, ha portato una serie di dinamiche, come quella della fuga.

Di contro Michele Emiliano, che stava vivendo un momento difficile ha oggi l’occasione di rilanciarsi politicamente o no?

Emiliano sta facendo l’unica cosa possibile, cioè quella di cercare di polarizzare tutto l’interesse dell’opinione pubblica sul Coronavirus com’è già fisiologico. Non deve fare uno sforzo particolare. Prima del Coronavirus era sotto attacco su diversi fronti, dal Psr all’Ilva, Xylella, adesso si parla solo di Covid-19 e in qualche modo potrà essere misurato solo su quello. È un vantaggio in assoluto, perché semplificando il quadro, vieni giudicato su una cosa sola. Ma la semplificazione del quadro va bene se tu la gestisci bene, è come nel poker: se metti tutte fiches sul tavolo puoi vincere tutta la posta ma anche perdere. Per ora è stato bravo, ha avuto intuito, ha detto sempre la cosa giusta, ha avuto i contatti giusti. Ha anticipato i passi del Governo, non è mai apparso in contraddizione, non è mai apparso come uno che diceva cose irrealizzabili. Mi sembra che abbia avuto molto controllo. Questa strategia però essendo molto aggressiva si espone a due rischi: il primo è che se ci fosse un focolaio in Puglia, tutta la narrazione andrebbe a ramengo. Il secondo è se il Governo lo smentisse pubblicamente su qualche tema delicato, cadrebbe, ma questo secondo punto non si pone oggi perché c’è uniformità. Questa seconda dimensione per Emiliano è meno presente.

Deve solo investire sulla classe medica e sulle strutture?  

Deve avere l’assoluta certezza che la Puglia non diventi una nuova Emilia Romagna o una nuova Lombardia. Questa è una eventualità che per lui sarebbe molto difficile da gestire, anche perché lui è anche assessore alla Sanità e non potrebbe neanche scaricare la responsabilità tecnica, trattenendo quella politica. La sua è una mossa molto azzardata, si espone.

Quando usciremo dall’emergenza, perché ne usciremo, incrociando le dita, l’Italia e tante regioni del Sud si troveranno quasi azzerate. I voli per il nostro Paese sono cancellati. Città turistiche come Firenze sono oggi svuotate, la Puglia ha investito tantissimo sulla narrazione turistica internazionale ma rischia di trovarsi come il Nord Africa dell’Isis di qualche anno fa. Da comunicatore che campagna immagineresti per ribaltare il sentimento diffuso di sfiducia?

Aspetterei qualche settimana, certamente. Nell’opinione pubblica deve prevalere l’idea che il peggio è passato e adesso non è ancora passato. È un dato di realtà, molti medici parlano di fine marzo. Ci sono i giorni di incubazione, è come se fossimo alcuni giorni indietro. Non è il momento giusto ora per lanciare messaggi di positività e di ripresa.

Il sindaco Sala è stato avventato? La sua dimensione politica appare oggi morta.

Morta non credo. Lui ha utilizzato le informazioni in suo possesso, ha fatto quella mossa in avanti proprio in quel momento in cui i media stavano cercando di ribaltare il messaggio. Con quelle informazioni ha fatto quella mossa, cercando di anticipare i tempi, giocando d’azzardo, un po’ come Emiliano, solo che parlando di epidemia, i confini non erano ancora precisi, come ente pubblico doveva avere un atteggiamento più prudente. Quel messaggio di Milano non si ferma sarebbe stato opportuno fosse lanciato dalle associazioni di categoria, da un gruppo imprenditoriale e commerciale, come i ristoratori o gli operatori turistici. Un sindaco, che come stiamo vedendo in momenti drammatici ha poteri limitati, doveva probabilmente essere più prudente. Però Sala ha operato con le informazioni in suo possesso in quel momento. Si è mosso rapidamente e in questo caso la rapidità non è stata premiante.

La Puglia non dovrebbe fare quindi quell’errore? Dovrebbe far decantare la fine dell’epidemia e del contagio?

Nessuno dovrebbe fare quell’errore. Bisogna aspettare che la curva inizi ad arretrare. C’è una variabile gigante che l’Italia deve ancora comprendere e definirà anche la velocità della ripresa. Dobbiamo capire se quello che sta accadendo in Italia sarà replicato dagli altri Paesi, in quel caso l’Italia, che oggi sembra il lazzaretto del mondo, potrebbe improvvisamente apparire come il primo Paese europeo che si era posto il problema e che l’ha risolto. Oggi sembra che l’Italia abbia pagato per tutti, ma domani potrebbe avere anche nel giro di pochi mesi un vantaggio rispetto ad altri Paesi e altre mete turistiche, che essendosi mosse più tardi, saranno in ritardo. È una variabile che vedremo la prossima settimana. Gli altri hanno qualche giorno di ritardo: se passerà l’idea che l’Italia si è mossa prima di altri e non è il solo lazzaretto d’Europa, è possibile che il danno reputazionale sia distribuito in tutta Europa e che quindi i tempi di ripresa siano più rapidi.

È un messaggio che va anche costruito?

Va costruito e verificato con i numeri, è una variabile da misurare. La seconda questione riguarda la possibilità di movimento: è possibile che nei prossimi mesi i voli siano comunque bloccati. Ci potremmo trovare in un clima in cui gli italiani debbano, possano, vogliano fare le loro vacanze in Italia e che alcune dinamiche internazionali degli ultimi anni tornino ad essere molto italiane. Sia per gli italiani che non possono andar via sia per gli stranieri che non possono entrare. È possibile che nei prossimi mesi la comunicazione debba essere molto più nazionale che internazionale, per uscire tutti quanti insieme dalla crisi. Il suggerimento che darei è puntare molto sull’Italia.

Quasi un sovranismo comunicativo quindi?  

Più che sovranismo, è uno stato di necessità. Più che sovranismo parlerei di sciovinismo, come i francesi, che sono molto orgogliosi della loro bandiera e della loro identità. Un po’ di sciovinismo, di orgoglio di appartenenza. L’amor proprio sarà determinante.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.