I Food Designer e l’arte di progettare atti alimentari: “Cambierà il modo di consumare il cibo nei piatti”

by Manuelita Maggio

ll Food Design con i suoi valori è nato in Italia nel 2002 da una intuizione di Paolo Barichella e nell’ultimo decennio è cresciuto in modo estremamente rapido e consistente, configurandosi come una delle discipline contemporanee del progetto. 

Ricerca, sostenibilità innovazione e tecnologia sono i requisiti indispensabili per poter parlare di Design inteso nel suo autentico significato di “processo per progettare un prodotto, un servizio o un’esperienza”.

Il gruppo fondatore de I Food Designer inizia a operare nel 2006: un team di professionisti, ognuno con la propria specializzazione ed esperienza sia a livello di gruppo sia di singole professionalità che ha messo in pratica il “Food Design” in italia. Sono Paolo Barichella, Mauro Olivieri, Ilaria Legato, Marco Pietrosante e Francesco Subioli e grazie a loro, sempre nel 2006, la specializzazione Food Design è entrata ufficialmente inADI (Associazione Disegno Industriale) con una Commissione Tematica di cui fanno parte, ognuno con un ruolo specifico. Oggi, nella fase 2 della pandemia da Coronavirus, il food design è chiamato a nuove sfide.

Paolo Barichella precisamente che cos’è il Food Design e che cosa fa un Food Designer?

Il design è l’arte di usare la scienza con ingegno e creatività, il Food Designer si sforza per fare in modo che questi principi possano essere applicati anche nel settore alimentare. Il Food Design è la progettazione degli atti alimentari (Food Facts), è in sintesi elaborare i processi più efficaci per rendere più agevole e contestualizzata l’azione di assumere una sostanza commestibile in un preciso ambiente e circostanza di consumo, in rapporto con un ambito di analisi sociologica, antropologica, economica, culturale e sensoriale. Il Food Design prende in analisi i motivi per i quali compiamo un atto alimentare, in particolare per comprendere come, poi, progettare.
Progettare, nel Food Design significa proporre soluzioni alimentari efficaci in un contesto dove il prodotto sia funzionale al tipo di ambiente di consumo, e soprattutto all’esigenza dell’utente in diversi momenti e situazioni di consumo. In una sola affermazione possiamo dichiarare che Food Design è “Progettazione consapevole di contesti, interfacce e strumenti funzionali, complementari all’atto di alimentarsi, che possono spesso consistere nell’alimento stesso. Insieme al mio gruppo de “i Food Designer”, nel 2006 abbiamo stilato un Manifesto del Food Design che ha ufficialmente scritto le regole della disciplina e espresso la posizione dell’ADI rispetto a questa tematica.

Francesco Subioli che cosa fanno i Food Designer per le aziende?

Sono diversi gli ambiti di intervento e di lavoro de I Food Designer: dalle attività di brand e design della comunicazione, accompagnando le aziende nella progettazione di nuovi prodotti e strumenti legati al mondo alimentare, con attenzione continua alla sostenibilità e all’economia circolare, alle attività interne alle aziende per l’efficienza dei processi di filiera e di lavorazioni fino ad arrivare alla progettazione di strumenti, supporti, packaging e format dedicati al mondo alimentare. Dal punto di vista della didattica invece organizzano workshop specifici sul Food Design applicato per fornire nuove competenze e migliorare la conoscenza del Food in tutti i suoi aspetti e partecipano a conferenze e seminari di Food Design come materia di studio didattico nelle istituzioni universitarie.

Mauro Olivieri, parlare di aziende è anche un po’ come parlare di territori, come immagina il futuro nella costruzione di una nuova offerta turistica? 

Questo è un argomento ostico e complesso ma che sento fortemente addosso in virtù di una ricerca che sto portando avanti da ormai 25 anni. 

Intanto comincerei a parlare di luoghi e non di territori, perlomeno quando si analizza il tema, credo che i percorsi di marketing territoriale abbiano troppo spesso tralasciato un aspetto fondamentale: l’uomo. I territori non esistono solo per merito della bellezza che madre natura ha elargito con grazia su cui costruire principi economici, vanno invece regolati da un approccio che prenda in considerazione anche gli attori che sono il sistema vivente, custode e artefice. Costruire un sistema economico dunque è possibile attraverso una progettualità rigorosa, dedotta dai criteri di analisi e di traduzione tipici dell’approccio del design dei sistemi territoriali, capaci di offrire nuove e diverse opportunità.

Con il gruppo I Food Designer abbiamo sviluppato un sistema/progetto declinato proprio su questa analisi e approccio e grazie all’opportunità di lavorare in gruppo possiamo offrire un sistema lavoro, capillare e di sintesi per consegnare a luoghi, città e aree una propria capacità  di sussistere secondo una identità vera e autentica secondo i principi del Brand dei Sistemi Locali Food Design Identity.

Un  processo fondamentale di coesione tra tutti i stakeholder con l’attivazione di nuove metodologie di sviluppo per far emergere la vera, e a volte nascosta, autenticità e unicità.

Marco Pietrosante, L’emergenza sanitaria attualmente in corso condizionerà a lungo i nostri comportamenti. Quali sono ad esempio gli effetti che ci saranno con la riapertura dei Ristoranti ed in che modo il food design può aiutare gli imprenditori in questo settore?

Il Food Design, in questo contesto, assumerà una valenza cruciale, divenendo uno strumento di insostituibile importanza per ridisegnare l’universo degli oggetti, dei meccanismi e degli spazi in conformità alle sopraggiunte e mutate esigenze sociali. Per capire sino in fondo quale potrà essere l’evoluzione possibile, è necessario analizzare i tratti distintivi di questo settore, la cui frammentazione è molto articolata; esso, infatti, può comprendere il fast-food ed il ristorante stellato, la catena internazionale e la trattoria a conduzione familiare, con delle variabili organizzative ed imprenditoriali agli antipodi e di difficile riduzione a “comun divisore”, se non per l’aspetto esperienziale.  Infatti proprio la ricerca dell’esperienza è l’elemento unificante del settore, esperienza che – è bene chiarire subito – vede nel cibo, in tutte le sue possibili varianti, un accessorio di contorno alla domanda centrale dell’utente: la socialità, proprio il bene più colpito dal Covid-19. La riprogettazione può trovare la sua ragion d’essere in questa considerazione, sia nei termini di messa in sicurezza dell’offerta esperienziale preesistente che di mutamento della stessa verso altre possibilità.  Entrambe le strade conducono alla rielaborazione di un modello in cui, sino ad oggi e nella maggior parte dei casi, il cuore dell’attività risiedeva nella gestione di uno o più punti di ristorazione, mentre alcune attività collaterali – quali la consegna delle pietanze a domicilio e, più raramente, la loro preparazione e distribuzione mediante veicoli itineranti – avevano un peso del tutto secondario. La necessità di un prolungarsi del distanziamento sociale, la conseguente perdita nei locali di un significativo numero di posti a tavola, il probabile duraturo mutamento della sensibilità dei clienti rispetto alla prossimità con altre persone, conducono al bisogno di un ripensamento della struttura organizzativa e funzionale dell’impresa, che tenga conto della fondamentale esigenza di “socialità” che è insita nella condivisione del cibo. La sfida che noi progettisti stiamo affrontando in questi giorni è quello di declinare le nuove esigenze ad un comparto così frammentato ed esposto alla contaminazione virologica. Il Food Design, la progettazione assumerà un ruolo centrale nel rimodellare i nuovi bisogni. Il Design oggi più che mai non concerne soltanto le cose ma deve estendere il proprio impulso ai sistemi e ai servizi.

Ilaria Legato, parlando di servizi  e ristorazione, quali sono gli strumenti che un ristoratore ha oggi per rafforzarsi dopo un periodo duro come quello di oggi?

Come progettista food designer c’è un aspetto della progettazione chiamato Food Experience Design (la progettazione dell’esperienza) che oltre ad avere un obiettivo legato al service design, pone l’attenzione all’esperienza di senso che il cliente deve avere entrando in sala e sedendosi al tavolo. Il ruolo chiave in questo ambito viene ricoperto dal “maitre de salle” che insieme allo chef di cucina ha il compito di “dare forma all’esperienza del piatto” attraverso il racconto certo, ma soprattutto attraverso la capacità di entrare in relazione e in empatia con il cliente, rappresentando quella che è la forma più alta del convivio: la capacità di condividere significati. Per le nuove aperture post quarantena di Giugno, i ristoranti stanno riadattando le proprie sale distanziando i clienti gli uni dagli altri; In questo momento sto accompagnando i clienti ristoratori nel rafforzare la squadra di sala e di cucina con workshop ispirati al “Food design thinking”, riformulando insieme il senso del servizio e la gestione dell’accoglienza dei clienti e la loro interazione con la tavola e il modo di consumare il cibo nei piatti. C’è una cosa che non cambierà mai: quando decidiamo di andare a mangiare al Ristorante siamo mossi dal desiderio di vivere un’esperienza speciale, come quando da bambini ci si metteva in ascolto di una favola. È per questo che sono certa che sarà sempre più importante il ruolo delle persone di sala che insieme allo chef creano la magia del servizio che dovranno essere sempre più capaci di raccontare il luogo e accompagnare il cliente nella fruizione massimizzando così l’esperienza di convivio.

Manuelita Maggio

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