La barese Lucia Abbinante è la nuova direttrice dell’Agenzia Nazionale per i Giovani

by Angela M. Lomoro

L’Agenzia Nazionale per i Giovani ha la sua prima direttrice donna. È Lucia Abbinante, trentaduenne barese, con grande esperienza nel settore dell’innovazione sociale e dell’educazione non formale e di processi per l’attivazione giovanile sui temi dello sviluppo territoriale, della coesione sociale e della promozione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Tra i suoi ultimi incarichi la collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Giovanili ed il Servizio Civile Universale sulle misure del programma 19/20 per i giovani e con il Dipartimento per le Pari Opportunità. Nel 2019 ha, inoltre, assunto il ruolo di Consigliere per l’innovazione ed i progetti speciali nei settori giovani e sport presso gli uffici di diretta collaborazione del Ministro per le Politiche Giovanili e lo Sport.

Noi di bonculture l’abbiamo intervistata.

Il suo percorso professionale ha avuto inizio a Bari. Attraverso i diversi progetti di coinvolgimento giovanile che ha seguito, ha incontrato migliaia di ragazze e di ragazzi provenienti dai diversi quartieri cittadini e anche da quelli più periferici. Dunque “giovani” e “periferie”, sono parole chiave fondamentali nella sua esperienza, adesso in che modo orienteranno il suo lavoro all’ANG?

La mia è una storia di vita essenzialmente determinata dalla periferia. Sono nata in un quartiere di Bari che molti definiscono periferia e ho frequentato, prima per formazione e poi per lavoro, tutte quelle scuole che in gergo tecnico vengono definite “a rischio”. Il percorso che oggi ci porta a parlare di me come Direttrice Generale di un ente governativo che si occupa di attivazione giovanile è completamente radicato nella periferia. È qui che ho capito cosa significhi attivazione, coscienza civica, antimafia sociale, energia trasformativa giovanile. Ed è qui che ho maturato l’idea che le periferie –urbane ed esistenziali- si chiamano tali solo perché nessuno ha mai pensato al loro sviluppo, inclusione, rigenerazione. È un tema legato al prendersi cura. Ho avuto il privilegio di poter prendere parte ad un’altra storia. Quella dell’attivazione giovanile per la rigenerazione delle periferie. ANG gestisce programmi europei in grado di attivare i giovani nelle comunità locali, quindi direi che la storia continua e il mio operato ne sarà profondamente influenzato.

In un mondo che cambia, con i mezzi di comunicazione in continua evoluzione, con le sfide climatiche ed economiche e con un’emergenza sanitaria globale che ha stravolto le abitudini e il modo di vivere in ogni ambito, secondo lei che ruolo hanno i giovani e quale eredità raccoglieranno?

È noto come l’emergenza pandemica che stiamo vivendo abbia impattato sui giovani dai 18 ai 35 anni a livello pedagogico, economico e sociale. Secondo una ricerca Eurofund più del 44% dei giovani europei perderà il lavoro nei prossimi mesi.  Senza dubbio il Covid ha contribuito ad accelerare le condizioni di fragilità, povertà economica ed educativa e ad accrescere il senso di incertezza che non consente di sviluppare una progettualità, un piano di desiderata per la propria vita.

Tuttavia recentemente proprio ANG ha lanciato una campagna che parla di quanto il “vissuto Covid” abbia influito sulle abitudini dei giovani in termini di quantità dei viaggi, quantità delle interazioni dal vivo con i propri amici. Se è vero che abbiamo perso in quantità nelle relazioni è anche vero che questa può essere l’occasione di concentrarsi sulla qualità, su una riflessione più profonda. La campagna recita #piudiprima ed esorta anche i giovani a non smettere di credere in un progetto per la propria vita. Attraverso la creatività si possono trovare soluzioni anche migliori di prima ai problemi inediti che la pandemia ci sta ponendo oggi.

I giovani oggi sono l’asse principale attorno al quale ruota il rovesciamento dei modelli pre-covid. Basti pensare che l’attualizzazione  degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 passa in maniera rilevante proprio dall’impegno dei giovani e dalla capacità della società civile di prendere in seria considerazione le loro proposte e i loro approcci al cambiamento.

L’Agenzia nazionale per i Giovani che da qualche settimana dirigo è senza dubbio un’esperienza privilegiata per i giovani del nostro paese: i programmi europei sono e possono essere uno strumento importante per aiutare i giovani a coinvolgere i loro coetanei, a suscitare sul territorio partecipazione e coinvolgimento ma soprattutto fermarsi insieme a cercare nuovi modelli di socialità, attivazione, economia.

La sua biografia mette al centro l’essere donna e mamma e tra l’altro lei è la prima donna a ricoprire questo incarico presso l’Agenzia Nazionale per i Giovani. Questi non sono solo dati biografici, ma hanno un significato sociale e culturale. Ancora nel 2020. Che ne pensa?

Credo che la scelta di nominare come Direttrice Generale dell’ANG una giovane madre esprima la sensibilità e la vicinanza al tema delle pari opportunità del nostro Governo. Essere presi in considerazione per quanto si è e per quanto si possiede in termini di conoscenza e competenza, professionalità e capacità, rappresenta un passo fondamentale nel processo decisionale che porti a comprendere che la diversità è l’unica chiave per lo sviluppo. La leadership femminile contribuisce ad avvicinarci sempre più all’obiettivo di un mondo plurale ed equo attraverso approcci diversificati alla ricerca delle soluzioni.

Qual è la prima azione che intende realizzare come neodirettrice dell’Agenzia Nazionale per i Giovani? Altri progetti in cantiere?

L’Agenzia Giovani sta assumendo sempre più il ruolo di presidio di politiche pubbliche e modelli per l’attivazione giovanile, proprio oggi che tema dei giovani, delle relazioni che scaturiscono dagli scambi e dalla mobilità, è in forte transizione. Il nostro compito sarà di impedire un ritorno a ciò che era prima per dare un senso a quanto i giovani hanno fatto durante l’emergenza sanitaria.

L’emergenza Covid-19 ha acceso i riflettori su una nuova modalità di lavoro. Si è parlato in ordine di telelavoro, di smart working e, infine, di south working. Lei, essendo mamma di un piccolo bambino e dunque abituata a muoversi spesso tra Bari e Roma, come vive e come considera queste modalità lavorative?

Se guardo alla mia vita di mamma e di lavoratrice, credo che la modalità di lavoro agile oggi possa essere una delle soluzioni per la conciliazione fra tempi del lavoro e la famiglia. Andrei oltre: lo Smart working, al di là del tema di conciliazione, è uno strumento che garantisce un’organizzazione dei tempi e degli spazi di vita differente. Posso lavorare in un bar, in un hub, in un treno, fuori dagli orari canonici. È l’obiettivo che conta. E se si guarda a questo, per esempio in ANG, le performance sono notevolmente più elevate. Non deve tuttavia diventare uno strumento di contaminazione tra sfera lavorativa e privata perché il rischio per molti è che lo smartworking sia solo telelavoro. È un’altra storia questa. Lo smart working, inoltre, ha consentito a molti giovani e liberi professionisti di restare nei loro territori evitando anche lo spopolamento di intere zone: può essere uno stimolo alla coesione territoriale tra le diverse zone del nostro Paese e alla promozione di un’idea di città diversa, dove il lavoro si sviluppa anche fuori dal centro città.

È un cambiamento però lungo e ricco di impatti da gestire. Resta inteso che allo smartworking debbano accompagnarsi momenti di promozione e di tutela della socialità, dell’incontro dal vivo.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.