100 anni dai Fasci di combattimento, il “figlio del secolo” non è ancora morto

by Antonella Soccio
m municipio di Foggia dall'alto

1919-2019. “Lui è come una bestia: sente il tempo che viene”. 100 anni dopo si chiama “La Bestia”, il software segreto che serve e accompagna il leader leghista e vicepremier Matteo Salvini.

C’è più di una similitudine tra il 1919, anno di Fondazione dei Fasci di combattimento a Milano in Piazza San Sepolcro il 23 marzo, e la primavera attuale, quando, a maggio, saranno celebrate le più importanti elezioni Europee che potrebbero cambiare il volto dell’Unione. All’adunata del 23 marzo partecipò un centinaio di persone, fra promotori, giornalisti e curiosi. In pochi anni quel manipolo di italiani diventò una milizia a colpi di azioni di rappresaglia squadrista nella Pianura Padana, tra le leghe contadine e a Ferrara, la provincia più rossa d’Italia, dove le leghe di unità proletaria nel 1920 contano 81mila tesserati tra operai, agricoli, affittuari, mezzadri e piccoli proprietari.

Lo stupefacente romanzo di Antonio ScuratiM Il Figlio del Secolo” edito da Bompiani è uno straordinario documento per interpretare e capire l’oggi, con le dovute differenze ovviamente che includono una introiezione in ogni parallelismo dei guai nefasti prodotti dal turbocapitalismo e dalla globalizzazione.

Ma non sono le circostanze contingenti che contano né l’Ur-Fascismo di Umberto Eco. È scontato che il 2019- per la rivoluzione tecnologica, il dominio della rete e la frantumazione della società in monadi sociali liquide la cui sola identità rimane quella del consumo da impacchettare e programmare in una carta reddituale gialla- sia quanto di più diverso dal 1919 di Benito Mussolini.

Il romanzo però permette di rispecchiarsi con i residui di istinto di classe di ciascuno e come cittadini e cittadine nel secolo scorso e di interrogarsi profondamente su quale sarebbe stato il proprio atteggiamento di fronte al Fascismo montante. Scorrendo le oltre 800 pagine e gli anni dal 1919 al 1925, dagli Arditi al Governo, si prova un brivido di terrore nel ritrovare i germi fertili della reazione fascista nel nostro tempo. Il biennio rosso allora febbrile per la lotta dei diritti da conquistare sul lavoro oggi è più attuale che mai, ma appare solo potenziale e del tutto smobilitato dalla privazione corporea a cui costringono i social e il game continuo. La ipercomunicazione vuota e narcisistica sgonfia l’azione.

I Gilet Gialli o i Venerdì futuristici del clima di Greta sono un incidente?

 Scurati si serve di Mussolini per parlare dell’oggi.

“Bisogna precisare i nostri obiettivi, onde muovere, commuovere e orientare la coscienza nazionale”, scriveva Mussolini a Gabriele D’Annunzio.

Nel 1919 la “rivoluzione italiana”, nel 2019 la “rivoluzione del buon senso”. Emilio Gentile sulla Domenica del Sole24Ore ha spiegato che nonostante la “retorica della rivoluzione italiana, il fascismo del 1919 non era rivoluzionario e neppure anticapitalista, un po’ il populismo attuale. Mussolini parlava di “rinnovazione” piuttosto che di rivoluzione, di “rinnovamento rapido per le vie delle legalità” e insisteva sulle concordanze di programma fra il movimento fascista e il riformismo antirivoluzionario della Confederazione generale del lavoro e dei socialisti come Filippo Turati”.

“Non si deve mandare a picco la nave borghese, ma entrarvi dentro per espellere gli elementi parassitari…il problema è oggi di restaurazione. Tutti gli scioperi in grande stile sono destinati a fallire, come a Torino, in Francia ed altrove. Oltre un certo limite non si va. I fascisti non debbono mutare la loro linea di condotta. Tanto si è sempre reazionari rispetto a qualcun altro”, dice Benito Mussolini nel suo discorso al congresso nazionale dei Fasci di combattimento a Milano il 25 maggio 1920.

E ancora: “Tentare di frenare, di arrestare questo moto di disintegrazione non è reazionario in quanto mira a salvare i valori fondamentali della vita collettiva…contro i falsi venditori di fumo, i vigliacchi borghesi tesserati del Partito socialista, gli imbecilli di ogni specie, innalzo alto e chiaro il grido forte: viva la reazione”, è un passo dell’articolo de Il Popolo d’Italia del 25 aprile 1920 dal titolo “Operai! Quando vi liberate dei vostri capi mistificatori”.

In soli due anni, i fasci riuscirono a seminare paura e a stringere un’alleanza con i borghesi e i proprietari, tanto che risulta stridente l’appello di Giacomo Matteotti ai contadini padani lanciato su Critica Sociale nel 1921. “Restate nelle vostre case; non rispondete alle provocazioni. Anche il silenzio, anche la viltà sono talvolta eroici”.

Viene da chiedersi se questo appello non sia divenuto fondamento del DNA nazionale, di fronte ad ogni restringimento attuale, nella società del rancore, dell’orizzonte umano nei confronti della diversità.

Foggia come Latina e tante altre città italiane è disseminata di architetture fasciste. Non solo il nuovo centro, come Via Medina a Napoli, ma anche le borgate, le campagne degli ONC. Borgo Mezzanone, la Segezia cinematografica, Tavernola. E qualcosa in più: il suo municipio a forma di M, come Mussolini.

Oggi tra pannelli solari e antenne è meno visibile di un tempo. Ma le parole di Scurati aiutano a orientarsi nella ciclicità della storia.

“I fascisti non sono una delle due classi in lotta, sono lo strato intermedio, il travaglio profondo di una crisi psicologica di insicurezza del piccolo-borghese imbestialito perché teme di perdere tutto non avendo ancora abbastanza, il verduraio che si sente preso tra l’incudine del grande capitale e il martello del comunismo, che non sa più quale sia il suo posto nel mondo, che, dubitando di averne uno, arriva perfino a dubitare della propria esistenza. Ci vuole un nuovo grande partito di massa del mondo di mezzo dentro una rassicurante prospettiva parlamentare. Il piccolo-borghese ha bisogno di conforto, il Paese ha bisogno di pace, bisogna dargliele entrambe”.

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(la foto del Municipio di Foggia ripreso dall’alto col drone è di

Fabrizio De Lillo)

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