“Ai bambini diamo spazi che mostrino quanto è bello convivere”. L’esperienza educativa controvento di Franco Lorenzoni

by Antonella Soccio

 “I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento” di Franco Lorenzoni edito da Sellerio è più di un manuale per genitori e maestri. È una riflessione sui desideri e sui bisogni dei bambini in tempi di crisi e di muri.

L’autore nei suoi libri racconta, in modo coinvolgente, il tempo quotidiano delle classi elementari dove insegna. E lo fa unendo il diario di esperienze didattiche vive, ricche di continui dialoghi tra bambine e bambini, con una grande quantità di storie e ritratti individuali.

Lorenzoni ha rapito il pubblico del Premio Nazionale I fiori blu in Biblioteca provinciale Magna Capitana di Foggia. Il suo testo è in concorso ed è stato già molto letto dalla platea di insegnanti e mamme e papà pugliesi.

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato dopo la sua presentazione.

Lorenzoni che ne pensa della continua attenzione degli adulti nei confronti dei bambini? Non è che gli adulti stanno trasferendo le loro paure sui bambini?

L’ascolto dei bambini non è così alto come sembra. Spesso si tratta di ansia, non di ascolto. L’ascolto attento, l’ascolto profondo del bambino sia da parte dell’insegnante, che dovrebbe essere obbligatorio, sia da parte del genitore è una cosa difficile. Bisogna fare qualcosa insieme, mettersi in discussione, fare esperienze. È una cosa da costruire nel tempo e dandosi il tempo. C’è poco nel senso che i bambini sono controllati apparentemente da una grande attenzione, da una grande ansia, ma anche da altrettanta distrazioni. Noi adulti siamo molto distratti, siamo intermittenti e il bambino fa fatica a star dietro l’intermittenza dell’adulto. Quando c’è e non c’è. Noi adulti sappiamo che questo è un grosso difetto del nostro tempo: il telefonino ci può interrompere in qualsiasi momento, ci siamo e non ci siamo. E i bambini vanno fuori di testa per questo, alcuni ne soffrono molto. Se l’adulto pensa che ha qualcosa da imparare dal bambino allora ascolta, invece spesso l’ascolto è solo finalizzato ad insegnargli meglio quello che tu vuoi trasmettergli. Se invece c’è uno scambio reciproco, non dico alla pari perché non è mai alla pari, ma se c’è sincera voglia di imparare dal bambino, allora succede qualcosa di interessante.

Si è parlato per anni di bambini Indaco, di bambini superdotati e comunque ricchi di stimoli, come si fa ad avere scambi reciproci con loro?

La storia dei bambini Indaco è un po’ una bufala secondo me. Sicuramente i bambini hanno a disposizione una quantità di informazioni, immagini, strumenti di contatto col mondo virtuali, che forniscono loro grandi stimoli. Ma ricordiamo sempre che tutto parte dal corpo, dall’esperienza diretta, dal contatto fisico con l’altro in carne ed ossa. Oggi questo è un punto carente, i bambini soffrono di questa mancanza di libertà di movimento. I bambini sono agli arresti domiciliari, chiusi in casa davanti ad un computer per troppo tempo, perché fa comodo. Spesso da piccolissimi cominciano e non va bene. Bisogna avere un equilibrio, non sono contro la tecnologia, ma serve equilibrio.

Si tratta anche di una questione squisitamente politica? Lei viene dall’Umbria, una regione all’avanguardia sul tempo libero dei bambini. In regioni come la Puglia e in città come Foggia, i bambini dopo il tempo scolastico o della scuola dell’infanzia hanno poco da fare, se i genitori non hanno la disponibilità di immetterli in circuiti di attività a pagamento. I bambini non vanno in alcun posto da soli, a differenza di quanto accadeva nel vecchio villaggio mondo. Come si può recuperare la dimensione del tempo libero davvero libero e di relazione corporea con gli altri?

Bisogna trovare i luoghi, dove fare questo. Ci sono dei gruppi di genitori che si organizzano, che recuperano degli spazi. Si fa insieme dello sport, delle esperienze nella natura, si fanno delle gite. Bisogna inventarsele queste cose, sono fondamentali nella crescita. Non si può crescere da soli, chiusi in casa. I bambini non stanno più per strada e questo è un danno enorme per la crescita: la strada e la piazza erano luoghi di esperienza, ma noi adulti abbiamo paura di tutto, li proteggiamo troppo. Capisco che è difficile, ma dobbiamo fare un passo indietro, perché così a parte la scuola, chi non ha possibilità speciali, manca di socialità.

Sul fenomeno del bullismo, siccome siamo in una città che ha visto crescere le baby gang e la violenza tra ragazze, con la presenza delle bulle, lei ritiene che sia una emergenza reale o viene interpretata con gli occhi di noi adulti?

È una emergenza reale, perché la società adulta dà un’immagine di sé molto aggressiva. Chi ha atteggiamenti violenti è esaltato, è amato, piace alla gente. Questo fa sì che ci sia una cultura di fondo in Italia ormai violenta. Prima era solo in alcune città: io ho lavorato a Palermo negli anni Novanta per una decina d’anni e si diceva che la mentalità mafiosa si rifletteva nel comportamento dei ragazzi. Era sicuramente vero e si è fatto molto in quella città per questo, però quando a livello politico e mediatico l’immagine dell’incontro tra persone è sempre l’insulto reciproco, l’odio, crea un clima in cui una cosa che è sempre successa- perché il bullismo c’è sempre stato- si amplifica enormemente. Poi c’è il cyber bullismo: i social rendono possibili forme nuove di discriminazione e di attacco a chi è più fragile, molto pericoloso.

Il bullismo è un problema grande: la scuola da sola non ce la fa e la famiglia da sola non ce la fa. Bisogna trovare forme di comunità e di comunitarismo. È un problema culturale, bisogna trovare gli spazi per mostrare quanto è bello convivere. O ci sono esempi positivi da parte di noi adulti, uscendo dall’ansia e dalla paura o non aiutiamo i ragazzi.

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