Album di famiglia di Alaíde Ventura Medina, nella verità dell’archivio fotografico si svela la brutalità domestica come un pugno al cuore delle relazioni

by Agnese Lieggi

Album di famiglia, titolo originale Entre los rotos, della scrittrice messicana, Alaíde Ventura Medina, tradotto in italiano da Sara Papini, edito da Alessandro Polidoro Editore, è un turbine di vicende strazianti imprigionate da scatti fotografici che si rivelano frammenti intensi della storia familiare di una giovane donna e di suo fratello Julián. Ogni immagine diventa un grido silente, portatore di una violenza, un’eredità di forza e di rottura. Tra gli angoli di quegli scatti, la brutalità domestica si svela, lasciando un’impronta indelebile sui caratteri forti ma soprattutto sui più deboli. L’occhio del fotografo funge da pugno diretto al cuore delle relazioni, uno scavo nell’anima di chi osserva. Le foto diventano narrazione, testimoni visivi, in ogni dettaglio si cela una storia, dipinta con la luce cruda della verità e l’oscurità dei segreti familiari.

Il tuo complice può essere solo tuo fratello o sorella, perché come riporta Alaíde Ventura Medina, solo un fratello: “…è la manifestazione dell’io riflesso irrinunciabile. È questo il motivo per cui non c’è perdono per il fratello che tradisce, e l’abbandono è una forma di tradimento”.

La storia di Album di famiglia, è una storia di violenza familiare maschilista, racconto di un “padrepadrone” e della sua furia sui suoi familiari più deboli. Sulle donne scaglia lance di fiamme ferendole come vittime innocenti o creando alleate tormentate dalla paura di ribellarsi al fuoco che vivono pericolosamente con un interminabile senso di colpa. Una reazione prevedibile. Ma ciò che scatena maggiormente la violenza dell’uomo furioso è la reazione di suo figlio Julián, un bambino debole e silente, fuori standard rispetto alle aspettative, che provoca e scatena un ciclo di violenza profondo e indelebile nel destino dell’intera famiglia creando cicatrici profonde e invisibili.

Il dialogo con la scrittrice è funzionale alla scoperta e all’approfondimento di Album di famiglia, che ringraziamo anticipatamente per la sua disponibilità.

Potresti condividere il processo creativo, dal primo momento in cui hai concepito la storia fino alla realizzazione del libro? Hai affrontato sfide particolari durante la scrittura del libro?

Inizialmente, avevo redatto una bozza composta esclusivamente da cartoline, ispirate a fotografie del mio archivio familiare. Quando sono arrivata alla residenza di Casa Octavia, a El Paso, Texas, con questa bozza, Sylvia Aguilar Zéleny, che sarebbe diventata da quel momento la mia mentore e in seguito parte della mia famiglia, mi ha aiutato a narrare la controparte del libro.

Quanto premesso, si allinea alla sfida narrativa, che affonda le radici in quel luogo oscuro dove dimorano i dolori. È una forma di resistenza. Non importa se la scrittura sia autobiografica o meno, esistono delle porte chiuse, porte che di giorno non apriamo e che spesso, quando ci sediamo a scrivere, scintillano, desiderano essere aperte, ed è sulla carta che ci concediamo di farlo. Sylvia insisteva: che cosa non stai raccontando? Naturalmente, mi ero attenuta alle “fotografie/cartoline” perché era ciò che rientrava completamente sotto il mio controllo. Era l’altra parte a mancarmi: ciò che accade prima, dopo e dietro al flash della macchina fotografica. È lì che risiedono i mostri.

Che impatto hanno le foto nella rappresentazione visiva delle emozioni e nella psicologia dei personaggi?

L’effetto delle fotografie sulla rappresentazione visiva delle emozioni e della psicologia dei personaggi è notevole. Fin dai tempi in cui lavoravo in televisione e nei media (riviste), il montaggio delle fotografie mi ha sempre interessato molto. Nell’era digitale, abbiamo un montaggio post-digitale (filtri, Photoshop), ma per chi è cresciuto negli anni novanta e all’inizio degli anni duemila, il montaggio era pre-digitale ovvero restare “fermi fermi” e mantenere il sorriso per diversi secondi. Fingere. Recitare. Questo mi interessa particolarmente oggi. Ricordo di aver visto le persone rilassare i muscoli del viso non appena brillava il flash. Come se si sentissero al sicuro. Quindi, fino a che punto le foto nei nostri album raccontano “la verità”? E qual è questa verità? Esiste davvero? Esiste la verità in un archivio fotografico o dipende da chi ha custodito e in qualche modo lo ha curato? Suppongo che sia diverso per ogni da persona a persona.

Qual è il messaggio o la riflessione che speri di trasmettere ai lettori riguardo al peso delle ferite come unica eredità familiare? Alcuni dei tuoi personaggi cercano la redenzione, mentre altri, purtroppo, non si oppongono.

Non c’è un messaggio specifico, solo una storia. Mi interessava raccontare quella storia, in particolare quella di due fratelli che provengono dallo stesso luogo ma gestiscono i loro passati in modo diverso (almeno apparentemente). Quando il libro è stato completato, ho scoperto che aveva una grande eco fra i lettori. Molte persone sono venute da me dicendo: “è la mia storia”, “mi ci riconosco”. Come scrittrice, questo ha un grande valore, perché è la mia opera è entrata in risonanza con il pubblico. Come persona, trovo spaventoso e triste pensare che siamo così tante a sentirci “rotte”.

In questo momento storico-culturale, come contribuiscono le scrittrici messicane alla ridefinizione dell’identità femminile e all’esplorazione dei temi di genere nelle loro opere letterarie?

Credo che sia prezioso che si stia ascoltando “l’altra parte” delle storie a cui eravamo abituate; ciò che accadeva all’interno, nella sfera domestica, nell’intimità; ciò che sosteneva “il mondo esterno”. Non so se stiamo contribuendo alla ridefinizione dell’identità femminile, non so nemmeno se esisterà mai una cosa del genere come un’identità femminile, ma senza dubbio la letteratura delle donne amplia le possibilità.

Cosa stai leggendo in questo momento?

Sto leggendo Eva Castañeda, “Decir otro lugar“, raffinato, straordinario, con un tono unico per parlare della violenza. Quello che desidero ardentemente, ma non sono ancora riuscita a leggere, è “Ensayos para una historia de economía doméstica”.

*Traduzione dell’intervista ad Alaíde Ventura Medina a cura Maria Agnese Lieggi.

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