Aldobrando: Momenti straordinari e applausi veri nella nuova graphic novel di Gipi

by Giammarco Di Biase

Sembra evidente che Gipi tenga particolarmente a “Aldobrando”.  Sembra che ci tenga particolarmente, perché proprio quando la trama ha acquisito la sua completezza nella mente del famoso illustratore pisano, il disegno “imbastito” dalle sue stesse mani ha ceduto.

Sarà un caso, un pretesto, un processo difficile da “stratificare” per la mente del creatore, o solo qualcosa che non ha a che fare con il citato processo, ma con altre esigenze e preferenze di chicchessia genere.

Non incapacità, ma stiamo parlando di una precisa consapevolezza, una presa di posizione che riguarda gli occhi e le dita, di non poter continuare su una strada ardua da solo. Comunque non c’è dato di saperlo, ma da questo “passo indietro artistico”, se possiamo permetterci di chiamarlo cosi, nasce la collaborazione di Gipi, illustratore finito addirittura tra i finalisti del premio strega nel 2014 con “UnaStoria” edito da Fandango, con Luigi Critone. Quel Luigi Critone, fumettista amato, anche egli, nell’ambiente parigino, attivo nel mercato artistico d’oltralpe.

Il “Gipi” di cui stiamo parlando è ovviamente Gian Alfonso Pacinotti, fumettista che ha sperimentato con creatività e con quella valvola autoriale tutta sua ormai riconoscibilissima anche il territorio nostrano del cinema italiano.

Nell’ottobre del 2019 uscì forse ad oggi, la sua opera più intensa, complessa e sconvolgente della sua carriera. Storia di un figlio, abituato a far ridere il pubblico con il sarcasmo dei suoi monologhi, quei dialoghi “all’unisono” che il protagonista confondeva con un dolore intimo, la morte della madre, al capezzale di un letto senza sentimenti né parole. Era qui che il viaggio in quel lutto sentito fin dall’inizio si perdeva tra storie fantascientifiche di cosmonauti persi in un buio irreparabile e metaforico. Le linee narrative si perdevano negli anfratti della mente, nelle visioni di un uomo delle caverne e di un grido primordiale e inconsolabile e i piani temporali si sovrapponevano pagina dopo pagina. Stiamo parlando di “Momenti straordinari e applausi finti”. Una graphic novel che come un grido onomatopeico preparava il lettore ad una decifrazione, il mestiere di un classico istantaneo, la funzione e il linguaggio di ciò che fa grande un fumetto.

Gipi è un grande narratore, prima ancora di essere un grande illustratore. Ha sempre deciso di svincolarsi necessariamente dalla prassi di molti dei fumettisti italiani noti, come ad esempio per citarne uno dei più importanti, Zerocalcare, quella che vanifica la rappresentazione di cotanta fantasia per un post neorealismo quasi “umoristico” “satirico” “sociale” trasfigurato in immagini.

Una voce fuori dal coro, che non dimentica mai la verità del presente, ma che si avvale della finzione, della sua rielaborazione per scoprire strade mai intraprese di sperimentazione. 

Gipi da l’impressione che si possa guardare sempre l’immagine in tanti modi e non solo nella veste illustrativa sola ed unica del fumetto e della graphic novel.

Era proprio in “Momenti straordinari e applausi finti” che l’immagine sembrava una diapositiva, una “dialettica” che andava oltre le pagine e il disegno. Qualcosa che si trasformava in flusso di coscienza cinematografico, visivo, di una visione che sovrasta la matita e il testo nelle vignette, ma che imprimeva all’opera quel “potere” grande intrinseco dei più grandi autori del cinema europeo.

Immagini d’autore, che come un plasma, si intromettevano nel corpo, pregne di “spirito” o di “coscienza” (per come la si vuol restituire prima in un modo e poi nell’altra), tra preghiera e ragionamento, parlando all’interno di ogni spettatore, che non rimane più un semplice seppur qualificato lettore.

Un’immagine che è creata con uno sforzo fisico, con una pena dilatata del proprio creatore, qualcosa che ha a che fare con dolori e con gioie “dettagliate graficamente” rappresentate con una certa casistica tra un idioma e un altro, tra un quadrante e il prossimo con flashback, come ricordi, come tormenti interiori, come frammenti a “battito di ciglia” che si imprimono negli occhi di chi guarda e poi spariscono rimanendoti dentro. Qualcosa che nella graphic novel internazionale non si trova, non c’è. Sembra di nitrato d’argento anche l’ultima sua opera in collaborazione con il fumettista impegnato oltralpe Luigi Critone, “Marcobrando” edito da “Coconino Press” di casa Fandango.

Protagonista è un orfano di padre che da il titolo alla graphic novel, affidato ad un mago che dovrà vegliare su di lui, educarlo, fin a quando non sarà abbastanza grande per scoprire il mondo. Quel momento sembra giunto quando il maestro rimane ferito e l’unica possibilità di salvezza è trovare la rarissima Erba di Lupo. Affrontando avversità e insidie, Aldobrando si metterà in cammino per andare incontro al suo destino. Come ne “La terra dei figli”, “La mia vita disegnata male”, “Appunti per una storia di guerra” e “Questa è la stanza”, Gipi sembra voler narrare una storia di formazione, tante storie di formazione, anzi, in una sola grande storia che più di tutte ha un tono “don chischiottesco” e un valore epico.

Se nell’ultimo, personale, bellissimo, “Momenti straordinari con applausi finti” la sperimentazione aveva la meglio, qui sembra che le suggestioni siano tutte della favola classica. Ma forse, sbagliandosi su questo punto, rischiando di sembrare superficiali, e rileggendo la graphic novel più e più volte il modo di relazionarsi di Gipi con lo spettatore riesce proprio in quella che è la falsificazione dei contenuti e dell’immaginario medievaleggiante, per sedimentare contaminazioni diverse sempre lampanti e intense e quindi sempre sperimentali.

Il pretesto è una scenografia che fa sfoggio di una lingua che sembra reinventarsi continuamente ma che ha tracce di dialetto fiorentino. Un tono di provincia che fa amalgama con la meccanica dell’avventura più favolistica. Paradossalmente ricongiunge una Storia, come quella che impariamo nei saggi medievali, con la creazione di nuove forme di racconto che con la Storia vera dei luoghi e delle persone non ha niente a che fare.

Gipi porta al centro delle sue trame quelli che sono i suoi protagonisti, visivamente ingenui, reietti, comuni “invisibili” con un senso di vergognosa discriminazione, vittime predestinate, spietatamente condannati in un mondo che da valore solo al potere. Sembra di vederli i suoi personaggi della sua carriera.

Copiati dal mondo reale, succinti nei pixel di un’illustrazione modificata sullo schermo di un pc, che diventa sempre più vera, in luogo dove si muovono, precipitosamente ,a con tenacia e forza. Dove il vero ha il tono della favola falsa, dove i valori del mondo sono costellati di false piste e da animi inventati. Gipi torna con ogni graphic novel a parlare di noi, ci scaraventa come pedine consenzienti in un gioco illustrativo a cui si dedica con sempre più vulnerabilità e sensibilità, con una leggerezza e dei guizzi di violenza che ci rendono ugualitari, tutti sulla stessa barca, vittime e carnefici.

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