Anatomia dei Sentimenti, la guida illustrata alle relazioni amorose di Giulia Falzea e Claudia Gori

by Sara Valentino

Un dizionario, una raccolta di foto, un diario, un romanzo. Difficile etichettare Anatomia dei Sentimenti (guida illustrata alle relazioni amorose), il libro di Giulia Maria Falzea e Claudia Gori dove racconti e fotografie sono collegati a una lettera dell’alfabeto e a un dettaglio anatomico. Un atlante che rende vive le emozioni, impresse in uno scatto, legate alla fisicità di un corpo. Anatomia dei sentimenti per l’uscita della terza ristampa si ripresenta in una veste di organi ed emozioni cucita con nuove parole e immagini che vanno a comporre il dizionario dei sentimenti in cui ciascuno può ritrovarsi.

In principio era un blog, un appuntamento sul web ogni due settimane, dove Giulia con le parole e Claudia con i suoi scatti raccontavano il sentire dei corpi; poi un giorno si accorsero di una call lanciata da una libreria di edizioni indipendenti di Bari gestita da giovani artiste donne – tra queste Roberta Fiorito, venuta a mancare lo scorso anno, a cui è dedicato il libro – e in quell’occasione Anatomia dei sentimenti prendeva corpo, stampato in un’edizione ridotta che si fermava alla lettera S. Come ogni corpo che cresce, negli anni lo ha fatto anche questo volume che ci accompagna in un viaggio intimo partendo dalla A di aorta, spostandosi sulla D di diaframma, passando per la O di ombelico fino a scendere nella I di intestino. Abbiamo incontrato Giulia che ci racconta l’intimità di un corpo emozionale racchiusa in questo libro.

Cosa vi ha spinto a collegare i sentimenti all’anatomia e alle lettere dell’alfabeto?

Ci piaceva l’idea di mettere ordine, di compiere un’operazione che potesse essere in qualche modo comprensibile, creare un atlante che riuscisse a collegare elementi diversi. La mia scrittura e il modo di fotografare di Claudia sono molto fisici, quindi l’idea di mettere ordine utilizzando l’alfabeto e le parti del corpo umano per parlare dei sentimenti è sembrata la cosa più affine a noi; ancorare il sentimento a qualcosa di molto fisico, molto corporale, così come sono i miei testi e le fotografie di Claudia.

Nell’introduzione parli di “necessità psicanalitica di due ragazze in età da marito di confrontarsi con la posta del cuore”.

Noi crediamo che la necessità psicanalitica ci sia sempre; è fondamentale interrogarsi, porsi domande e non restare sulla superficie, fare un po’ di autoanalisi sulle cose che si fanno, ma cercare anche in qualche modo di alleggerirle e non restare sempre troppo in profondità, ma di dare anche un po’ di luce e leggerezza. L’idea e la necessità della posta del cuore riguardano molto la nostra generazione, siamo cresciute a pane e Cioè, la nostra “formazione” involontaria. Sia io che Claudia siamo state grandi fan della rubrica di Natalia Aspesi “La posta del cuore” su D di Repubblica; ricordo che in quegli anni andammo a visitare una Biennale a Venezia e tornando vedemmo una bellissima mostra di Terraproject sugli elementi; da lì ci venne un po’ l’ispirazione, molto banale ma interessante, di mettere insieme parola, fotografia e immagine.

Scrivi che le “immagini sono l’unica cosa che resta negli occhi dell’innamorato”, ma nel libro in alcuni casi dai la parola a delle parti del corpo, le fai uscire dalla fisicità rendendole la parte emotiva viva.

La nostra è una visione molto fisica e tangibile dei sentimenti, non vogliamo lasciarli ancorati alla pura poesia, qualora ce ne fosse, ma legarli direttamente alle sensazioni fisiche, tattili, ai suoni, agli odori. Per questo c’è anche la possibilità che l’organo oppure l’osso si comunichino in un’espressione vitale, raccontino il loro vissuto, quello che hanno sentito e visto.

Si potrebbe definire un libro corale; a primo impatto si pensa di poter leggere i singoli capitoli a salti, come se vivessero di vita propria, ma più si sfogliano le pagine più vengono fuori i collegamenti tra le anatomie e i personaggi, quasi a formare un romanzo.

È una raccolta di racconti, ma ha anche l’aspirazione di essere un romanzo corale, avere un suo ritrovamento che poi è quello che accade nel capito V di vene quando tutti i personaggi si ritrovano al cospetto di questa piccola saletta per la donazione del sangue; c’è la volontà che questi racconti parlino tra di loro, alcuni sono molto espliciti (Aorta dialoga con Jamais vu, Bicipite con karma, Naso con Retina e con Lombalgia). C’è stato un tentativo di ritornare sui comprimari e farli diventare protagonisti, come le due facce della stessa medaglia: far parlare l’organo e poi la persona che lo contiene.

Le immagini utilizzate sono state scattate appositamente per la costruzione del progetto o avete ripreso anche materiale d’archivio?

Alcune sono foto d’archivio che Claudia aveva scattato in passato, per esempio qualcuna è stata prodotta in Danimarca dove lei ha frequentato una scuola di giornalismo d’immagine di alto profilo. Poi ci sono anche foto che sono impostate sulla grafica, come si può vedere nel capitolo della O di ombelico con le immagini di Carrà riproposte. C’è proprio una ricerca sull’’uso della foto, Claudia è minuziosissima e in questa terza edizione ha cambiato tanti particolare perché il suo lavoro di fotografia è sempre in continua evoluzione, non disconosce quello che ha scattato in un preciso momento, ma ha sempre voglia di modificare di aggiornare la sua visione delle cose.

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