Autostop per la rivoluzione, Cynthia Rimsky e il triplo viaggio letterario attraverso i suoi ricordi

by redazione

Il prossimo 15 giugno uscirà per Edicola Edizioni il nuovo libro della scrittrice Cynthia Rimsky Autostop per la rivoluzione, vincitore in Cile del prestigioso Premio Municipal de Literatura. Con il suo stile conciso e minimalista l’autrice conduce il lettore in un triplo viaggio letterario attraverso i suoi ricordi: quando a ventidue anni da giovane idealista parte da un Cile in piena dittatura per andare a conoscere la rivoluzione sandinista; poi di nuovo all’età di quarantacinque con una visione più realista, che torna in Nicaragua per fare i conti con il proprio passato e infine a cinquantasette anni che con distacco e maturità cerca di ricostruire la memoria di quei due viaggi.

bonculture anticipa un estratto in anteprima del libro.

Dai miei viaggi sono sempre tornata con uno o più quaderni con annotati gli alloggi dove potevo aver dormito, liste di persone che avrei voluto conoscere, spese, situazioni nelle quali mi ritrovavo o che osservavo e, di tanto in tanto, l’intento di comprendere le cose che erano rimaste da scoprire o che non si erano lasciate vivere. Mi piaceva portare i quaderni nello zaino, appoggiarli sul tavolino di un bar. Non mi sono mai preoccupata di conservarli, non li ho mai riletti, non li ho mai messi in ordine in scatole o in fondo a un armadio. Adesso che sto cercando il certificato dei miei studi alla Scuola di Giornalismo dell’Universidad de Chile, che ho frequentato dal 1980 al 1983, li ritrovo, e non sembra nemmeno che li abbia scritti io; soprattutto questo, il Quaderno Universale.

Verso il Nicaragua, agosto 1985

Per ragioni stranissime sono bloccata a Tegucigalpa senza poter proseguire il viaggio verso il Nicaragua, nonostante soltanto 200 chilometri mi separino dalla meta sognata.

L’ambasciata esige un biglietto di andata e uno di ritorno, e non abbiamo né l’uno né l’altro. Non ci danno nemmeno il visto per andare in Costa Rica, dove la cugina di Pablo ha l’altra metà dei soldi che ci servono per continuare il viaggio. Speriamo che trovi presto un modo per mandarceli. Ci rimangono $70 e non sappiamo fino a quando staremo qui, a settembre c’è il mio compleanno e voglio passarlo in Nicaragua. Compirò ventitré anni, non pensi anche tu che ormai sia grande? Siamo in viaggio da sei mesi, sempre in autostop. Siamo passati dal Perù (a Lima ci hanno rubato i passaporti e a Pablo le scarpe), da lì abbiamo attraversato il confine con l’Ecuador in un camion carico di cipolle dopo essere rimasti bloccati per due giorni alla frontiera; abbiamo girato la Colombia per tre mesi, siamo andati sull’isola di San Andrés su una nave petroliera e da lì a Tegucigalpa in un aereo postale. Mi sento come un menestrello del XX secolo mentre viaggio in autostop e scrivo. Ho sei o più quaderni pieni di appunti, con le pagine che cadono per il peso delle spiegazioni. Sono io infilata tra le pagine bianche.

La calligrafia della ventiduenne è diversa dalla mia, ma fa la stessa cosa che faccio io a cinquantadue anni: per ammazzare la noia riempie con l’inchiostro gli spazi vuoti delle lettere. Sul cartoncino della copertina del quaderno, un bambino o una bambina che stava imparando a scrivere ha disegnato alcune parole girandole all’insù, di lato, al contrario, come fossero coltelli, forchette, piatti, bicchieri, e la pagina, una tavola apparecchiata. Sul retro della copertina, una macchia d’olio delinea la forma di un’isola grande e una più piccola. Aprendolo, nella prima pagina trovo una lettera senza destinatario. Se si trova qui, forse la ventiduenne ha deciso di non inviarla, o forse l’ha copiata su una carta più leggera per risparmiare sul costo della spedizione. A quel punto forse avrà riconsiderato alcune cose e il destinatario avrà letto una lettera diversa da quella che leggo io adesso.

Ho così tanto da raccontarti; ho nuotato a dorso nel fiume Aracataca e mi sono procurata una macchina da scrivere nel paese di García Márquez; un tizio che ci ha dato un passaggio ci ha portato fino a una tenuta dalla quale abbiamo osservato una tormenta e i lampi che trasformavano la notte in giorno; abbiamo viaggiato con un sindaco e le sue guardie del corpo che, ubriachi, andavano di paese in paese facendo campagna elettorale; abbiamo dormito sul pavimento di una panetteria a Taganga, dove la marijuana viene imbarcata su yacht diretti a Panama e Stati Uniti. Il primo giorno ho conosciuto un adolescente che voleva diventare narcotrafficante. Ismael, il padrone della panetteria, era stato una spia dell’esercito; Alonso, venditore di chincaglierie fatte a mano, era agnostico. A San Agustín ho chiacchierato con Jorge, un antropologo, di che cos’è questa nostra America. E dall’alto di un colle, tra tombe e pitture rupestri, sotto una pioggia come quella di Valparaíso, ho pensato a voi là in Cile, a me, alla distanza che ci separa, e ho avuto la sensazione di essere sempre stata lontana

Trovo una lista con i nomi delle persone che la ventiduenne e Pablo – il suo compagno di viaggio – hanno contattato a Tegucigalpa. Scritta con una calligrafia diversa – di Pablo? – si legge Proave. Com Popular. Palmerola. Olancho. Un numero di telefono, Carlos, mercoledì alle 12. A Palmerola c’è una base militare statunitense, a Olancho è scoppiato uno scandalo perché il presidente ha concesso, in condizioni poco chiare, la gestione dell’aeroporto a un’impresa statunitense. Entrambi i luoghi si trovano vicino a Tegucigalpa. Potevano andare e tornare in un solo giorno. Qualche riga più giù appare il nome completo di Carlos Reyna, Barrio El Olvido, Segreteria Stampa e una parola che non riesco a decifrare. Il quaderno continua con un esaustivo questionario con più di venti domande. In quel momento Reyna era il presidente della Corte Interamericana dei Diritti Umani. Nove anni più tardi diventerà il presidente dell’Honduras e, dopo altri nove anni, si sparerà un colpo alla testa.

Ieri ho bevuto quattro birre in un bar con un professore di letteratura, presidente di qualcosa tipo l’associazione di professori Agech, che ha studiato in Colombia ed è di sinistra.

Era da molto che non parlavo di queste cose (ho scoperto che certi argomenti risvegliano in me una tormenta di passioni), e a un certo punto siamo arrivati al tema più straordinario: Messico, Carlos Fuentes e “Terra Nostra”, il triangolo perfetto.

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