Avetrana: a dieci anni dallo show dell’orrore. “Sarah Scazzi è rimasta imprigionata nella narrazione che di lei è stata fatta dai giornali”

by Felice Sblendorio

C’è un prima e un dopo Avetrana, lo show dell’orrore che ha coinvolto in una danza macabra di isterie, menzogne e protagonismi la tragica fine di una quindicenne, Sarah Scazzi. Ricordiamo tutti l’omicidio e i processi, la vivisezione dei giornali e delle televisioni, la contaminazione della grammatica del ricordo che, come in una storia del fantastico oscuro, si è integrata con l’irrazionalità dei sogni, delle voci di paese, dei pregiudizi e delle fantasie. 

Per tutti, dopo Avetrana, c’è un prima e un dopo: soprattutto per la cronaca nera, che da quel fattaccio brutto si è rivelata definitivamente come una pratica crudele e indifferente al dolore. Tutto comincia il 26 agosto 2010 in un paesino che, nella Puglia delle bellezze e del turismo à la page, è un punto ignoto di una geografia conosciuta: Avetrana, quasi seimila anime fra il Salento e Taranto. Quella provincia marginale, dove la noia combatte contro il tempo e l’immobilismo, però, diventerà presto nota come l’epicentro fisico e simbolico di uno dei fatti di sangue più spettacolari e narrati della storia recente del nostro Paese. A distanza di dieci anni, infatti, l’omicidio di Sarah – una somma di avvenimenti che illumina l’incertezza umana e unisce la miseria all’ignoranza, le pulsioni animalesche a un ammasso di emozioni mal formate – torna a far parlare di sé grazie a un libro (e, prossimamente, a una serie televisiva diretta da Pippo Mezzapesa e un documentario di Christian Letruria) scritto a quattro mani dalla scrittrice Flavia Piccinni e dal giornalista Carmine Gazzanni: “Sarah. La ragazza di Avetrana” (Fandando Libri, 320 pagine, 18.00 euro). bonculture ha intervistato gli autori. 

Flavia Piccinni

Dopo dieci anni, ritornate sull’omicidio più discusso e controverso della storia recente del nostro Paese: perchè? 

Flavia: Sono nata a cresciuta a Taranto, e mi sentivo finalmente pronta a confrontarmi con certi meccanismi arcaici e apparentemente lontani dal nostro tempo di cui si nutre questa storia. Raccontiamo una Puglia che non ha niente a che vedere con quella delle cartoline, con le feste salentine e con la retorica della bellezza. Raccontiamo una Puglia che esiste, anche se a volte si preferisce non guardare. Cercando, ci siamo imbattuti in tante cose. Quelle che mi hanno fatto più male sono state quelle che mi hanno sorpreso: la crudeltà, la ferocia, l’arroganzala rabbia. 

Carmine: Volevamo poi raccontare come due persone sono state condannate all’ergastolo ben oltre ogni ragionevole dubbio. Ci sono tre sentenze che le indicano colpevoli, ma anche molte zone oscure che volevamo mettere in evidenza.

La cronaca nera, a volte, è una radiografica esattissima della natura antropologica di alcuni luoghi. Un delitto così burrascoso, che ha confuso emozioni e miseria, fantasmi e morte, solo in quel lembo di Puglia poteva maturare?

A legami umani universali si sovrappongono letture tipicamente meridionali e ancestrali, che fanno del rispetto del nucleo famigliare un diktat etico fondante. Quello di Sarah Scazzi è un delitto famigliare, maturato in un ambiente complesso e segretamente, sotterraneamente, violento. Nel libro abbiamo provato a raccontare questo contesto crudele e quotidiano. 

Cercate di donare l’umanità perduta ai protagonisti di questa tragedia: soprattutto a Sarah, una vittima in ombra per tutto questo tempo. Chi era la ragazza di Avetrana? 

Era una ragazza di 15 anni che sognava il futuro. È rimasta imprigionata nella narrazione che di lei è stata fatta dai giornali: da una parte la lolita che sogna di fare cose da grandi, dall’altra la bambina dal corpo infantile. Fra questi due estremi crediamo che ci sia la verità. Sarah, leggendo integralmente i suoi diari, ma anche incontrando le persone che le hanno voluto bene e l’hanno protetta, appare nella disubbidienza che tutti abbiamo conosciuto a quindici anni: ha i suoi segreti, i suoi amori, i suoi sogni di ribellione e di autoaffermazione. 

Le indagini e i processi, analizzati minuziosamente, conservano molte ombre che voi sottolineate. Quali sono, dal vostro punto di vista, i principali buchi neri delle sentenze?

Sono moltissimi, e non si possono sintetizzare. Il libro ha testimonianze inedite, documenti e una meticolosa ricostruzione di tutti i buchi abissali che costellano le indagini e le sentenze. È stato un lavoro lungo, un’immersione nella parte oscura della nostra Italia, e in qualche modo in noi stessi. Un esempio? Michele Misseri, dopo dieci anni, è tornato a professarsi colpevole e per la prima volta ha raccontato tutta la sua vita. A cominciare dalla sua infanzia di abusi e povertà.

Carmine Gazzanni

Franco Coppi sulle colonne del Foglio ha dichiarato: «Sabrina Misseri è l’angoscia della mia vita. La notte mi capita ancora di pensare a questa sciagurata e a sua madre. Ho la certezza assoluta della loro innocenza, sarei pronto a giocarmi qualunque cosa. Non essere riuscito a dimostrarlo ha rovinato la mia vita di avvocato». Anche secondo voi questi due ergastoli non sono oltre ogni ragionevole dubbio? 

Sì, ed è quello che raccontiamo dettagliatamente nel libro.

La storia di Sarah è entrata nell’immaginario collettivo del Paese grazie ai media. Il circo mediatico esplode il 6 ottobre 2010 a “Chi l’ha visto“. La mamma di Sarah viene a sapere in diretta della morte di sua figlia e della confessione di Michele Misseri. In quei minuti concitati, scanditi dalle agenzie che battono particolari confusi, Federica Sciarelli comunica questa notizia a una donna pietrificata, quasi incapace di proferire parola. Questo è il primo cortocircuito comunicativo di questa storia: l’informazione che mette alla prova estrema il dolore, senza mediazione; di fatto violentandolo. 

Avetrana è stato un cortocircuito fra le ambizioni degli avetranesi e delle persone convolte, che improvvisamente si sono ritrovate personaggi televisivi e da rotocalco. Uno scontro fra le capacità manipolative di una certa stampa scandalistica e l’innocente ricerca della verità. Un mix esplosivo che ha avuto per tutti esiti nefasti: ne hanno risentito le indagini, tutte le persone coinvolte, soprattutto Sarah. La sua morte è passata in secondo piano. E ha segnato la perdita completa dell’innocenza del telespettatore, che prende parte all’orrore dello show del dolore. 

Questa esposizione massiccia come ha influenzato le indagini e i processi? 

Partiamo dal presupposto che video delle varie interviste televisive sono stati acquisiti agli atti, e che una teste si è fatta mettere delle vicetrasmittenti addosso per registrare una presunta testimonianza per inchiodare Cosima e Sabrina. Questi, ovviamente, sono solo due paradossali esempi. Se non fosse tutto vero, ci sarebbe da piangere. 

Scrivete che ad Avetrana abbiamo perso l’innocenza. Quanto racconta di noi questa storia che ci ha visti spettatori, curiosi, morbosi e, a volte, anche osceni e divertiti turisti di quei luoghi dell’orrore? 

Quel giorno, in via Deledda, non è morta solo Sarah Scazzi. La sua tragica scomparsa ha segnato in modo definitivo la perdita di ogni dignità della stampa italiana. La spettacolarizzazione del dolore ha toccato la sua vetta più alta, sdoganando la disumana crudeltà di taluni giornalisti e l’assoluto sadismo del pubblico. Siamo diventati tutti peggiori.

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