Cenere in bocca di Brenda Navarro, il lutto e l’apparato digerente, che aiuta a modulare emozioni e paure

by Agnese Lieggi

“Tanto assurdo e fugace è il nostro passaggio per il mondo, che mi rasserena soltanto il sapere che sono stata autentica, che sono riuscita ad essere quanto più di somigliante a me stessa mi è stato concesso di essere.”

Frida Kahlo

Fra le voci più autentiche della letteratura messicana, lì si colloca Brenda Navarro,  all’interno della panorama della narrativa contemporanea latinoamericana.

La sua scrittura esplora gli aspetti più complessi delle relazioni interpersonali, dell’identità e delle sfide umane (soprattutto quelle al femminile) sia in Messico che fuori dal Messico. Di certo quella della Navarro è una prosa intima, l’autrice sceglie una sperimentazione stilistica e linguistica che rende il suo romanzo coinvolgente ed emozionante per il lettore.

Cenere in bocca (Ceniza en la boca, Sexto Piso), di Brenda Navarro, è tradotto in lingua italiana da Gina Maneri, edito da La Nuova Frontiera.

Esaminando principalmente il titolo, sia in spagnolo che in italiano, la cenere in bocca identifica in modo figurato e metaforico una sensazione di amarezza, delusione o scontentezza. Assaggiando la cenere, ti rendi conto da subito che non è amara, l’espressione cenere in bocca porta in pancia una tradizione antica, storica e culturale. In Messico, come in molte altre parti del mondo, mettere la cenere sul capo o in bocca è simbolo di simbolo di lutto o pentimento. Infatti, come per la tradizione religiosa della Quaresima, l’uso delle ceneri durante il Mercoledì, segna l’inizio di un periodo di quaranta  giorni di digiuno, penitenza e riflessione, che precede la Pasqua.

Un titolo quindi particolarmente suggestivo per la storia straziante di una famiglia segnata e messa alla prova da esperienze dolorose e traumatiche. Diego si è buttato dal quinto piano, dal quel giorno sua sorella è perseguitata da quell’immagine.  Lei è la narratrice della storia di due fratelli che inizialmente vivono in Messico con i nonni mentre la madre è in Spagna per lavoro, successivamente si trasferiscono a Madrid, una città molto lontana dalla loro dimensione, ritornano solo infine, con le ceneri di Diego, in un Messico diverso da quello che avevano lasciato.

Rivolgiamo alcune domande sul libro Cenere in bocca, proprio alla scrittrice Brenda Navarro, che ringraziamo anticipatamente per la sua disponibilità.

Qual è il messaggio predominante di Cenere in bocca rispetto all’esperienza dei messicani che migrano all’estero?

Non credo che ci sia un messaggio nel lavoro che faccio. Mi interessa pensare alla letteratura come uno spazio della condizione umana espressa attraverso il linguaggio. All’interno di come meglio si può manifestare l’esperienza umana, ovvero attraverso i  viaggi, i dolori di lutto, le assenze, gli affetti, sono tutti temi che mi interessano. Non c’è un messaggio, ma piuttosto domande e riflessioni. Credo che se un libro ti dà risposte, qualcosa non sta funzionando.

Quali sfide affrontano i personaggi di Ceniza en la boca nel vivere in un paese straniero?

L’esperienza di andar via dal luogo in cui sei nato, è una sorta di atto performativo che viene assegnato dal paese ospitante. Smetti di essere una persona per diventare “straniero”  o  “altro” ed è una condizione molto difficile da vivere, così come cercare di liberarsi dalle etichette che ti vengono assegnate socialmente e recuperare il tuo status di persona e cittadino (un problema creato dal grande business delle frontiere). Mi sembra tristissima, ma questa esperienza non è solo messicana, è un esperienza creata da chi ha voglia di continuare a negare diritti, ma anche da chi sfida la narrativa dei nazionalismi, il peggio è che accade ovunque.

La dinamica familiare è un elemento fondamentale della storia. Potresti parlarci di come hai sviluppato ed esplorato queste relazioni nel romanzo?

Posso dirti che quando scrivo, ciò che mi interessa nella creazione dei personaggi è renderli esseri umani, creare un universo letterario in cui si sviluppano, che sia verosimile e susciti interesse per la loro complessità. Mi piacciono i personaggi complessi, che commettono errori, prendono decisioni, si divertono, ma vivono anche le conseguenze delle loro scelte, non come punizioni, ma come circostanze specifiche dell’ambiente in cui vivono. Mi piace pensare che, mentre creo i personaggi, loro stessi richiedano ciò di cui hanno bisogno per generare una storia che susciti interesse, dando luogo a conversazioni sulla condizione umana. Inoltre mi interessa indagare eventi che accadono alle donne, che è l’universo che mi interessa esplorare.

Man mano che i personaggi interagiscono e si relazionano in un ambiente multiculturale, come hai lavorato sulle identità linguistiche e sulle voci narrative dei personaggi per riflettere le loro origini culturali tra l’uso dello castigliano e del messicano?

Ho una deformazione sociologica in cui considero l’ascolto e l’osservazione fra gli strumenti più importanti, mi piace ascoltare le diverse forme di linguaggio che esistono in Spagna, dove vivo. È motivo di gioia per me. Per quanto riguarda la proposta letteraria, ho cercato di plasmare le voci narrative, esse erano fondamentali poiché volevo scrivere un romanzo quasi corale, in cui la narratrice fosse il canale giusto per rendere possibili le altre voci. Quella molteplicità di voci che cerca di replicare lo spagnolo latinoamericano è un modo per evidenziare che la lingua spagnola è ricca, e che fortunatamente abbiamo molte parole per esprimere emozioni in modo ritmico. Il ritmo all’interno del linguaggio è ciò che mi interessa maggiormente esplorare dal punto di vista letterario.

Il titolo del tuo romanzo, Ceniza en la Boca , è evocativo e poetico. Puoi condividere con noi il significato che si cela dietro questo titolo e come si relaziona con la storia e i personaggi del romanzo?

Credo che lo zeitgeist del romanzo sia il lutto e credo fermamente che uno dei primi passi per affrontare il lutto sia attraverso l’apparato digerente, che aiuta a modulare emozioni e paure. Era necessario che la protagonista avesse questa valvola di sfogo per iniziare ad elaborare il suo dolore.

*traduzione dell’intervista a cura di Maria Agnese Lieggi

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