“C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia”, la true story di Giovanni Rinaldi alle Letture d’agosto per ricordare le comunità e lo spirito solidale

by Antonella Soccio

«Siamo costantemente alla ricerca di una vita migliore, sulla scia dei nostri desideri, per provare a cambiare la nostra condizione quando la riteniamo insopportabile. Questo riguarda gli adulti, ma riguarda anche e soprattutto i bambini, che più degli adulti conservano cicatrici e memoria del bene e del male che viene fatto loro. Rimase, spesso insoddisfatta, la tensione tra il restare e il partire. E quando penso ai miei figli lontani penso ai bambini di ieri e a quelli di oggi che arrivano da altre terre. Non cerchiamo altro che di essere felici, dalla nascita, e il viaggio è la condizione più condivisa dell’umanità».

Fresco di Premio Nazionale Benedetto Croce Pescasseroli 2022 nella categoria Letteratura Giornalistica, lo storico e scrittore Giovanni Rinaldi questa sera in Piazza Marino Boffa aprirà le Letture d’agosto di Bovino, ideate dalla professoressa Lea Durante e dal giornalista Oscar Buonamano, con il suo libro di successo “𝐂’𝐞𝐫𝐨 𝐚𝐧𝐜𝐡’𝐢𝐨 𝐬𝐮 𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐭𝐫𝐞𝐧𝐨. 𝐋𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐮𝐧𝐢𝐫𝐨𝐧𝐨 𝐥’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚”, edito da Solferino, che raccoglie le storie e le esperienze dei bambini che presero nel primo Dopoguerra I treni della felicità da Napoli, da Cassino, dalla Puglia o dalla Sardegna per raggiungere l’Emilia Romagna, le Marche, la Liguria o il Piemonte, dove famiglie di buon cuore li avrebbero accolti, considerandoli al pari dei loro stessi figli.

Oltre 80mila bambini, soli, abbandonati, indigenti, vennero intercettati dalle donne dell’U.D.I. del Pci, che si mobilitarono per dare ospitalità ai piccoli presso famiglie che potessero sfamarli, accudirli e provvedere a mandarli a scuola.

Come ha raccontato Severino Cannelonga, ex parlamentare sanseverese, al Sud quei ragazzini vivevano una vita di stenti, al Nord trovarono un clima economico e familiare diverso.

Ad un mese dal primo anniversario dell’uscita del libro, Giovanni Rinaldi riflette sul materiale umano che ha mosso la sua documentata e lirica ricostruzione storica.

«È stata una bella sorpresa girare per un anno, non mi aspettavo un tempo così lungo per un testo, in genere tutto si esaurisce subito- osserva lo studioso a bonculture- Che dopo un anno continui ad essere richiesto è una cosa che mi fa essere felicissimo, l’accoglienza non è stata solo immediata, ma anche solida e non solo conseguente al nome della casa editrice. L’altro aspetto è che non essendo un libro di narrativa, di fiction, ma al contrario un testo di studio e di ricerca è ancora più importante girare l’Italia per presentazioni. Quelli che girano di più e che vengono promossi sono i libri di saggistica ma tutti scritti da grossi nomi, dagli autori televisivi».

Secondo Rinaldi, la casella della Saggistica che l’editoria italiana dà a libri come il suo, che avvicinano l’intervista al racconto letterario incrociando la storia collettiva, può penalizzare alcune narrazioni, che all’estero invece sono categorizzate come non fiction novels o true stories.

C’ero anch’io su quel treno è qualcosa di più di mero giornalismo e lo conferma il premio Benedetto Croce che lo ha inserito nella Letteratura giornalistica.

«Per me, che non ero abituato a questo e che non faccio lo scrittore di mestiere, 50 presentazioni sono una cifra notevole- dice sorridendo l’autore- Ho vissuto tante presentazioni con una varietà di soggetti proponenti. Mentre nella narrativa quasi sempre il tutto viene organizzato dalle librerie, dai festival, per un lavoro di testimonianza sui problemi sociali, perché la letteratura come dice Dacia Maraini è anche testimonianza, per incidere nel presente a livello sociale, politico e umanitario, essere invitato da soggetti diversi ha significato avere un pubblico di riferimento della non fiction. Mi hanno chiamato associazioni locali che lavorano con i migranti, sezioni dell’Anpi, associazioni femministe, i csv e certo anche le librerie, con cui la casa editrice mantiene il coordinamento. Quasi sempre sono stato contattato da ricercatori, da Comuni, da amministrazioni. È accaduto ad Ancona, Imperia. La cosa mi ha fatto piacere perché avevano letto il libro e non volevano trattare temi puramente letterari. Questa varietà di persone, non solo i lettori di libri, ma anche soggetti pubblici, si è sentita attratta e si è messa in gioco».

Nel 2022 dopo quasi 10 anni dall’uscita del primo libro sul tema, I treni della felicità, l’Italia è cambiata. C’è un humus sociale e politico molto ostile al tema dell’accoglienza. Un degrado culturale, che spesso addirittura si oppone a quello che accadde negli anni Cinquanta nel Paese. Il refrain per molti è che “era un’altra Italia” quella in cui la volontaria diciannovenne Miriam Mafai tutelava e contava i bambini sui treni, come una tutor.

La grandezza di quel movimento per molti è irripetibile.

«Spostarono 80mila bambini in 4 o 5 anni, è paragonabile solo all’arrivo delle mamme ucraine, oggi con altri mezzi, allora si parlava di un Paese che era stato in guerra, anche al Nord le ferrovie erano distrutte, le case bombardate. Tutto avveniva ed era gestito da comitati il cui nervo principale era il Pci, le donne dell’Udi erano le delegate dell’organizzazione di questi flussi, ma con un’apertura anche ad altri mondi come le crocerossine, ai comitati delle professioni, alle cooperative, alle amministrazioni, e qualche volta anche ai vescovi, al Nord. Tutti hanno partecipato e c’erano i partiti».

Insomma, una organizzazione della società, non liquida, che oggi non esiste più.

«Allora si facevano insieme delle cose, nella realtà tutte le critiche che venivano mosse allora sono le stesse che vengono fatte oggi su chi va a salvare i migranti dal barcone, si ripetono le stesse condizioni, ma c’è qualcosa che distingue, non ci sono partiti di riferimento rispetto ad un mare di associazioni. Oggi tutti sono disgregati. Senza una chiesa di riferimento. Le donne comuniste avevano individuato una priorità che doveva restare della politica, ma che poi si è persa».

Essere a Bovino per Giovanni Rinaldi è un tassello importante, perché sente le Letture d’agosto vicine al suo modo di lavorare. «Il sottotitolo del festival è letteratura e ragionamento, è così- afferma- non scriviamo solo per fare bella letteratura o pavoneggiarci come intellettuali, i racconti orali sono di per sé una forma della letteratura e il protagonismo femminile, che racconto nel libro, va di pari passo con il protagonismo delle comunità. Bovino non ha librerie e Letture d’agosto fa da pioniere in un luogo dove il libro fatica ad essere venduto. Che un festival si riesca a fare, sia amato e continui anno dopo anno in una comunità dove i libri vengono portati da fuori è un ragionamento, una riflessione. I bambini del libro arrivarono nelle campagne di Cesenatico, nella periferia genovese, nel Polesine, nella bassa padana, quasi mai nella città sono le piccole comunità che li accolgono e che pur avendo poco si offrono per dare una mano a quegli altri che venivano dal Sud ed erano considerati stranieri. Cambiando il periodo, non cambia l’atteggiamento, i bambini di Napoli che arrivavano a Lugo di Romagna con la neve era come se avessero percorso 6mila chilometri. Le culture diverse hanno reso l’Italia unita. Per me è proprio è una soddisfazione parlare di queste piccole comunità a Bovino, nell’Italia interna».

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