Chicca Maralfa, un giallo con le trincee in filigrana

by Enrico Ciccarelli

«Non mi ritengo una giallista. Sono una a cui piace raccontare storie» dice Chicca Maralfa, giornalista e scrittrice barese che alla Biblioteca La Magna Capitana di Foggia ha presentato il suo «Lo strano delitto delle sorelle Bedin», uscito per i tipi della Newton Compton. Maralfa è stata invitata a parlare del suo libro di freschissima uscita (è uscito poco più di due mesi fa, il 24 febbraio, il giorno in cui Putin ha cominciato l’invasione dell’Ucraina) dalla Libreria Ubik e dal sodalizio di appassionati A qualcuno piace giallo.

La scrittrice ha risposto alle domande, cortesi ma tutt’altro che accondiscendenti, del suo collega in narrativa e giornalismo Davide Grittani (il suo «La bambina dagli occhi d’oliva» ha appena vinto il Premio Alda Merini, complimenti). In effetti il romanzo, che ha come sottotitolo «La prima inchiesta di Gaetano Ravidà» è indubbiamente un mistery, e l’autrice precisa di avere adempiuto a talune richieste di editing per conformare il romanzo ai dettami della collana Giallo Italia in cui è inserito.

Formalmente i protagonisti del romanzo sono un cold case, la pista fredda di un omicidio insoluto, e l’irrequieto e brillante Sovrintendente dell’Arma Gaetano Ravidà, che un naufragio relazionale ed esistenziale (la fine del suo matrimonio) ha portato dalla nativa Bari ad Asiago. Anima di sbirro come Montalbano, Ravidà è irretito dal caso e ancor di più da uno ben più freddo: il ritrovamento in un elmetto dissotterrato del cranio di uno dei tanti militi ignoti che in quel fatale altopiano dei Sette Comuni parteciparono al lavacro patriottico (o alla inutile strage) della Grande Guerra.

Potrebbe essere –è la suggestione dell’investigatore- il resto mortale di suo nonno, di lui omonimo, che in quelle remote plaghe aveva combattuto contro i soldati di Cecco Beppe, per non più tornare a casa, dove sua moglie incinta avrebbe partorito e cresciuto da sola il padre di Gaetano Ravidà.

La narrazione di Chicca Maralfa, solidissima sul piano documentale e storico, ci disegna così un puzzle a più piani, uno dei quali è il thriller, l’imperativo kantiano di rimettere a posto l’ordine violato dal crimine, il luogo delle regole in cui ha fatto irruzione il Caos; ma contiguo ad esso c’è quello di una frantumazione familiare e una condizione di esule che dà luogo a un più alto ricongiungimento, a una diversa e più ampia elezione di Patria.

Un bel giallo che è anche un bel libro sulla Prima Guerra Mondiale, l’autentico fonte battesimale della nascita dell’Italia moderna, il grande rogo che, con i suoi martiri e i suoi sacrari, i suoi Parchi della Rimembranza e i suoi Monumenti ai Caduti produsse la nazione fino ad allora inesistente, con le sue sciagure e i suoi trionfi. Il tormentato Ravidà (a parte il felice matrimonio tra Jules e Louise Maigret, la vita sentimentale di tutti i grandi investigatori sembra l’unico enigma che essi non siano in grado di risolvere) ci darà presto altre sue notizie, e non si può escludere che lo si ritrovi sul piccolo schermo (anche perché i Carabinieri, dopo i fasti del Maresciallo Rocca, sono da tempo orfani di un eroe televisivo, mentre la fanno da padrone i vari Montalbano e Ricciardi).

A titolo del tutto personale, però, siamo più soddisfatti dalla circostanza che una ancor giovane scrittrice pugliese dia memoria e riscatto ai tanti meridionali che su quegli altipiani, su quei fiumi, su quelle montagne sacrificarono giovinezza, vita o anima per una Patria ancora assai malcerta.

Nel video la mia intervista a Chicca Maralfa

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