Cuore nero di Silvia Avallone, la zona di tenebra che alberga in ogni animo umano e il potere delle parole e della cultura che trasfigura reale e futuro

by redazione

Cuore nero di Silvia Avallone, edito da Rizzoli e in gara per il Premio letterario nazionale I fiori blu, è un romanzo che suscita interrogativi, lontano com’è da qualunque forma di manicheismo e teso a scandagliare il “cuore di tenebra” creaturale. Nella Nota conclusiva l’autrice ha segnalato l’incidenza che l’opportunità di accedere all’Istituto penale minorile maschile di Bologna ha avuto nella genesi dell’opera.

Protagonista è Emilia, artefice nell’adolescenza di un terribile delitto, che le è costato la detenzione in un carcere minorile prima e ordinario poi. Ha poi deciso di continuare – a mo’ di punitrice di sé stessa – continuare a vivere la condizione dell’isolamento nell’autoesilio della sperduta Sassaia. È però qui che la vita le dona un’occasione: l’incontro con Bruno, insegnante di italiano per i pochi bambini del borgo ‘vicino’, anche lui un vinto della vita che sembra aver rinunciato al destino di felicità. Eppure cosa accadrebbe se il misfatto di Emilia gli venisse rivelato?

Il romanzo si snoda ponendo una serie di interrogativi. Il primo dilemma è proprio quello se ‘dire o non dire’. Emilia in più occasioni sembrerebbe poter essere sul punto di aprirsi, eppure il parto della parola è costantemente frustrato. Questo accade nonostante proprio il suo differimento possa avere un effetto dirompente sulla vita dei personaggi.

Del resto, l’intera opera offre una stimolante riflessione sul potere delle parole, sulla loro capacità di trasfigurare le cose rimodellandole. Non a caso, proprio una lezione scolastica in carcere spingerà le giovani Emilia e la sua amica Marta a non pensarsi come ‘detenute’, ma quali studentesse e quindi a cercare, attraverso lo studio, di cambiare la propria sorte.

Lo stesso protagonista cerca di insegnare ai suoi giovanissimi alunni a usare correttamente e creativamente le parole, stabilendo un rapporto speciale soprattutto con uno di loro, proveniente da una famiglia sfaldata a causa della violenza perpetrata dalla figura paterna.

Altra problematica che emerge è quanto si debba pagare per un crimine orribile perché si possa essere reintegrati nei ranghi della società. Emilia continua a punire sé stessa nel retiro di Sassaia, ma arriverà il momento in cui la vita potrà tornare a sorriderle? Non è casuale ch’ella si dedichi al restauro di opere d’arte danneggiate dal tempo e dall’incuria umana, avvertendo peraltro un’istintiva repulsione, quasi una forma di panico, al cospetto delle rappresentazioni del Giudizio Universale. L’atto di ridar forma alle cose, di farne nuovamente rilucere i colori è parallelo al tentativo di ridar senso alla propria esistenza, eppure v’è sempre uno sguardo giudicante pronto ad abbattersi su chi si è macchiato d’infamie; può essere quello dei testimoni o delle vittime delle azioni delittuose, ma anche l’occhio malevolo di figure pronte a dare in pasto il ‘mostro’ a chi non ne conosca il passato.

L’Arte, la Cultura (si pensi all’impressione che la lettura di Dostoevskij susciterà in Marta o alla fascinazione di Caravaggio su Emilia) nel recupero di vite allo sbando possono giocare un ruolo fondamentale, ma, se la società non è pronta al perdono e all’accoglienza, il sentire distonico continuerà a prevalere.

Cuore nero è anche, come si segnalava in avvio, un’esplorazione degli abissi dell’animo umano. Significativa è a tal proposito la ripresa del mito platonico della biga e del cavallo nero, vettore dell’istintualità e dell’impeto eslege, non a caso richiamato nel corso della narrazione. Il cavallo nero, il “bolo nero”, il cuore nero sono concretizzazioni della zona di tenebra che alberga in ogni uomo e può condurre ad azioni terribili. Avallone mantiene il riserbo sino al termine del romanzo sul crimine di Emilia; il lettore intuisce, ma apprenderà i dettagli gradualmente, compiendo un viaggio inquietante nei labirinti di un’adolescenza che perde il lume e precipita negli abissi dell’irrazionalità. L’invito sotteso è quello ad aprire le porte alla rinascita, a illuminare il cuore nero senza dimenticare le sue colpe, perché i mali dell’anima non sono incurabili. 

Gianni Antonio Palumbo (Giano bifronte critico)

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