Cuori in piena di Alessio Torino e il «tempo mitico» e dilatato dell’adolescenza e dell’amicizia

by Antonella Soccio

“Mio padre mi aveva proibito di andare a tuffarmi alle Caldare perché l’anno prima, sul finire dell’estate, un mio coetaneo ci era annegato”.

Parte da questo incipit folgorante, suggestivo ed evocativo di un intero mondo adolescenziale, estivo e archetipico, il bellissimo romanzo di Alessio Torino, scrittore e docente di Letteratura latina all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, dal titolo “Cuori in piena”, edito da Mondadori, in concorso nella sezione Narrativa per il Premio letterario nazionale I fiori blu di Foggia, giunto alla sua quinta edizione.

Corsi, appena dodicenne, come ogni anno, è venuto a passare l’estate dalla nonna in un borgo dell’Appennino umbro-marchigiano. Il padre gli chiede di giurare che non correrà pericoli nei pressi del fiume, dove l’anno prima è morto un ragazzo. Ma è proprio lungo il corso del Burano che si svolge tutta l’estate degli adolescenti in questo pezzo di provincia italiana, dove non mancano i personaggi neri e le pessime sorprese all’orizzonte.

Con una scrittura intima, colta e coinvolgente l’autore spinge i lettori verso la carica selvaggia della memoria. Ma quello di Torino è più di un semplice romanzo di formazione, perché in molte pagine il giovane protagonista diventa quasi una voce collettiva che interroga tutti su come si diventa adulti.

Vengono alla mente tante immagini cinematografiche e letterarie sull’adolescenza sospesa nel tempo estivo. Una su tutte l’ambiente rarefatto della campagna di Chiamami col tuo nome di Andrè Aciman, trasposto sul grande schermo nell’indimenticabile film di Luca Guadagnino.

La provincia sempre uguale e metafisica, gli anni Ottanta, l’amicizia al maschile, i primi baci e le prime cottarelle, gli spauracchi e il cicaleccio del paese, le feste delle sere d’estate. Le bici, le corse e le cadute rovinose. Percorrevamo tutti e tutte chilometri e chilometri di strade sterrate in bicicletta in quegli anni, quando non esistevano piccoli schermi a cullare la noia del sole e dell’afa.

“Portai il libro a letto, me lo appoggiai sullo sterno e tirai su il lenzuolo. Il lenzuolo era freddo, per quanto fosse metà agosto. Avevo ancora gli occhi aperti, mi raggiunsero i rintocchi dal campanile della piazza. Contai undici colpi corposi e i tre acuti dei quarti. La coda dell’ultima nota si estese nella notte”.

Cuori in piena. Nel titolo del libro c’è già tutta la trama, l’impetuosità dell’adolescenza e il tema della minaccia dell’acqua, che porta esperienza e morte. L’autore nel corso della presentazione in Sala Fedora al Teatro Giordano ha raccontato di aver molto cercato un titolo che gli consentisse di volare basso senza troppi intellettualismi.

Alessio Torino a Foggia per la presentazione del Premio I fiori blu con Antonella D’Avola

«Quello che ti viene da dentro è una lingua madre, è qualcosa che viene dal buio, come una ostetrica si asseconda l’uscita», ha evidenziato.

A Bonculture ha fornito altri elementi per poter incastonare il suo racconto appenninico.

Perché gli anni Ottanta sono così fondamentali per cinema e letteratura?

«Io penso sia importante trasportare tutto in un tempo mitico- ha risposto Torino- al di là dei riferimenti puntuali, come i ragazzi che girano con le BMX o che non hanno i cellulari, quello che conta è un tempo più vasto, quello dell’estate che scorre lentamente. Questo è un tempo del mito che più che avere a che fare con uno specifico tempo della nostra storia, ha a che fare con un tempo più generale, più dilatato, quello del mito appunto. Come il tempo della serie televisiva Stranger Things pure ambientata negli anni Ottanta. I ragazzi, i maschi, sperimentano quanto sia importante l’amicizia nella vita. È qualcosa che ci fa forti di fronte all’esistenza, sapere di avere a fianco qualcuno, anche se non è una guerra o una battaglia, se non siamo nell’Iliade è qualcosa di fondamentale».

Nel libro è cruciale il rapporto che i ragazzi hanno con i loro padri. Nel corso della storia Corsi, il protagonista, ma non solo lui, viene a conoscenza di segreti e di vissuti della generazione dei padri. Le rinunce, le partenze. E il senso di una amicizia adolescenziale che poi sfugge e si volatilizza da adulti ma mai si dimentica. Come dei tic o dei vezzi o dei soprannomi o degli aneddoti che restano incollati a ciò che si diventa, dentro una condizione psichica di rimpianti, rimembranze offuscate, riscosse, condanne e copioni interiorizzati.

«Le storie vengono anche da dentro, da regioni ignote a chi le scrive, il tema padre e figli mi ha sempre attratto e ne scrivo anche un po’ semplicemente portato verso questi temi da un desiderio», ha ammesso l’autore.

E allora nel romanzo i padri sono visti con gli occhi dei figli. Se Elena Ferrante dà una lingua emotiva al cuore delle giovani ragazze in una famiglia odiata e amata, da cui emanciparsi, Torino vive i padri con le parole dei figli e ci illustra l’universo e la tenerezza maschile, che valicano la natura edipica di ogni genitorialità.

“La mattina dopo, quando mi svegliai, mio padre era già uscito di casa. Non avevo voglia di incontrarlo perché non avevo voglia di parlare di Arcangelo, ma scoprire che lui era uscito di sua iniziativa senza aspettare che mi alzassi cambiò la percezione dell’assenza. Era tornato per me, per venire a prendermi. Cosa c’era di più urgente di questo? Davo per scontato che avrebbe voluto vedere con i suoi occhi come stavo e come avevo preso quella faccenda scioccante. Ero già pronto a parare le sue attenzioni da genitore. Perciò, prendere atto che lui non c’era mi portò a galla nella coscienza qualcosa di simile alle strane alghe che si vedevano a volte sulla superficie del fiume in quell’estate afosa, che non si capiva se erano alghe vere e proprie, o qualcosa di vivo o peggio ancora stronzi ricoperti di velluto vegetale brumo-verde. Meglio non toccare

Le foto sono di Samuele Romano

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.