Da signorile a parassita: la società italiana di Luca Ricolfi. “Questo governo è una sciagura”

by Felice Sblendorio

È lento e impietoso il declino dell’Italia che il sociologo Luca Ricolfi, professore di analisi dei dati all’Università di Torino e presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume, descrive nel suo ultimo saggio: “La società signorile di massa” (La Nave di Teseo, 267 pagine, 18.00 euro). Scritto prima della tempesta covid, l’analisi di Ricolfi è uno specchio abbastanza fedele della natura schizofrenica del nostro Paese: prospero ma stagnante, sostenuto da pochi lavoratori e molti consumatori, illuso e depresso in un gioco a somma zero dove l’orizzonte del futuro è sbiadito e il presente si limita a comodità di rendita, consumi, infrastrutture para-schiavistiche e attese.

La «società signorile di massa», in vita grazie a una ricchezza accumulata dalle precedenti generazioni, si fonda su tre pilastri: il numero dei non-lavoratori maggiore di quello dei lavoratori, il consumo opulento divenuto di massa e un sistema economico bloccato. Con analisi e dati che forniscono una tesi convincente e un chiaro sistema interpretativo della nostra società, il sociologo racconta un Paese proiettato nel passato e intrappolato in un vissuto – che limita ogni sviluppo – al di sopra delle nostre reali possibilità. bonculture, in attesa del suo intervento ai Dialoghi di Trani in programma venerdì 25 settembre alle 18.00, ha intervistato Luca Ricolfi.

Professor Ricolfi, prima della pandemia raccontava un Paese dove si produceva pochissimo e si consumava molto. Con una stagnazione del genere intravedeva un declino drammatico, uno shock, nell’arco di vent’anni. La rivoluzione economica che produrrà il covid come accelererà la nostra «argentinizzazione lenta»?

Credo che sprofonderemo, ma solo un po’ più velocemente del previsto. Non credo a un tonfo, e quindi a una possibile reazione. La ragione per cui continuo a pensare in termini di argentinizzazione, ossia di un processo di progressivo impoverimento ed emarginazione dai mercati, è che l’Italia ha ancora due strumenti di autoinganno: la ricchezza accumulata e la vocazione assistenziale del governo in carica.

Ha parlato di «società parassita di massa». L’assistenzialismo governerà tutto?

Sì, penso proprio di sì. Non solo perché questo governo è una sciagura, capace solo di mettere toppe facendo una montagna di debiti (che pagheranno i nostri figli), ma perché l’opposizione non è molto migliore, sotto questo profilo. Non dobbiamo dimenticare che “quota 100”, uno dei peggiori provvedimenti degli ultimi due anni, stava nel programma di tutto il centro-destra, non solo in quello della Lega. E quando, prima delle elezioni del 2018, chiesi a Giorgia Meloni quanto sarebbe costata la rimodulazione della legge Fornero, ne ebbi una risposta sconcertante: “non condivido la domanda”. Lo dico con rammarico, perché tutto sommato quel poco di cultura pro-impresa che sopravvive nel paese sta quasi tutta a destra – e la Meloni ne è a mio parere la rappresentante migliore. Il problema dell’Italia è che le forze non troppo compromesse con l’assistenzialismo non rappresentano più del 30% dell’elettorato, e sono sparpagliate fra destra (Forza Italia e Fratelli d’Italia), centro-sinistra (Italia Viva e Azione), e quel che resta dei Radicali. Se nulla cambia nell’elettorato, l’Italia è destinata a essere governata da forze politiche stataliste e assistenzialiste: è a loro che toccherà gestire l’implosione della “società signorile di massa”.

Uno dei pilastri di questa società è la ricchezza accumulata. Perchè è il salvagente di un Paese con una maggioranza di non lavoratori, di disoccupati volontari?

Perchè senza quella massa di ricchezza accumulata la voglia di lavorare non si sarebbe inabissata, e chi cerca un cameriere, un mungitore o un elettricista lo troverebbe.

Collega il tutto alla scarsa produttività del sistema educativo italiano. Che cosa non va?

Quel che non va non è tanto lo scadimento dei programmi e della qualità dei docenti, incomparabile a quella di 30 o 40 anni fa, ma è la scelta di rilasciare certificati falsi. Su 100 diplomati o laureati, non più di un terzo possiede i requisiti che il suo titolo di studio certifica. E il mercato del lavoro non perdona, perché non guarda ai titoli acquisiti ma alle capacità effettive, comprese capacità non certificate ma essenziali: l’affidabilità, innanzitutto.

Sostiene che la democratizzazione dell’istruzione – o, se vogliamo, il lato oscuro dell’uguaglianza – abbia svantaggiato i ceti subalterni. La lunghezza degli studi, conseguenza di una dilatazione del periodo formativo, è un lusso che determina disuguaglianze sostanziali?

Io ho calcolato che, grosso modo, il numero di anni di studio è il doppio di quello strettamente necessario per conseguire un determinato livello. Questo è chiaramente uno svantaggio per i ceti popolari, che hanno difficoltà a finanziare percorsi di studio lunghissimi, e anni di ripetizioni private. Ma non è solo questo. In una ricerca della Fondazione Hume, che pubblicheremo a breve, abbiamo dimostrato che la bassa qualità dell’istruzione impartita aggrava il condizionamento dell’origine, rendendo più difficile emanciparsi da una condizione sociale svantaggiata. In poche parole: la scuola senza qualità accentua i privilegi di classe. È stato il capolavoro della cultura progressista negli ultimi cinquant’anni: rafforzare i privilegi di classe, e farlo in nome dei ceti popolari, facendo credere che l’abbassamento dell’asticella fosse una misura democratica ed egualitaria.

Se l’ascesa sociale si è bloccata, la società signorile assicura una quantità di prodotti da consumare. Il posizionamento sociale, oggi, si fonda sul consumo vistoso?

Sì, come sempre. La novità è che la maggior parte della popolazione è in grado di accedere a consumi relativamente opulenti, soprattutto vacanze e tecnologia.

L’Occidente, come ha scritto più volte Michel Houellebecq, ha aumentato i suoi desideri fino a un livello insostenibile, rendendo la loro realizzazione più difficile. I desideri che marciscono cosa producono?

Due cose direi: frustrazione e autoinganno. Chi non ce la fa e si rende conto di non farcela sviluppa frustrazione. Ma per molti c’è anche l’autoinganno: credersi in una condizione superiore a quella effettiva, perché si è stati capaci di costruirsi una nicchia di notorietà e di successo, per lo più costituita da piccole comunità di consumo o di intrattenimento sui social media.

Per molti, i suoi signori non stanno così bene perchè assomigliano a nobili decaduti, quasi disperati. Perchè – dal suo punto di vista – non ci possiamo considerare vittime?

Veramente io sostengo che è altrettanto legittimo auto-descriversi come vittime o come privilegiati. Chi lavora e mantiene gli altri è privilegiato perché dispone di un reddito, ed è vittima perché è obbligato ad assicurare il consumo signorile di chi non produce alcunché. E chi non lavora ma consuma è privilegiato perché accede al surplus senza produrlo, ma è vittima perché dipende dalla benevolenza altrui. È questione di punti di vista. Il fatto è che le vere vittime, ossia coloro che possono essere descritte solo nel registro negativo, sono una minoranza: circa 1/3 della popolazione.

Le vittime di questo sistema, però, sono certamente quelle dell’infrastruttura para-schiavistica: per vivere da signori servono degli schiavi, insomma. L’immigrazione, per i ceti ricchi e medi, è accettata cinicamente per questo motivo?

Impossibile fare un discorso unico. L’accettazione degli immigrati ha radici molto differenziate. Direi che ci sono almeno tre sindromi. La benevolenza degli imprenditori e delle partite IVA, che vedono di buon occhio gli immigrati regolari, perché costano meno degli italiani e mediamente hanno molta più voglia di lavorare. La malevolenza della criminalità organizzata e dei padroncini più spietati, che riducono in sostanziale schiavitù gli immigrati nei campi (raccolta del pomodoro), nelle periferie urbane (distribuzione droga), in edilizia (lavoro nero). E, infine, l’apertura dei “ceti medi riflessivi”, come ebbe a chiamarli Paul Ginsborg, che amano i migranti perché non li vedono mai, o perché li usano solo come badanti, maggiordomi, personale di servizio in genere.

Il Governo, affrontando le prime crepe economiche prodotte dal covid, ha assicurato sostegni ai redditi e ai consumi. Per la produttività e i sostegni alle aziende c’è ben poco di strutturale. È la classe dirigente giusta per questa ricostruzione?

Non solo non è quella giusta, ma è la peggiore classe dirigente che l’Italia abbia mai avuto. Un misto di incompetenza, falsa coscienza, vanità.

Dal punto di vista sanitario i contagi sono tornati a crescere. In Italia, oggi, dopo sei mesi riaprono le scuole. Prossimamente teme chiusure prolungate?

Per fare previsioni affidabili, occorrerebbe conoscere i molti dati epidemiologici (specie a livello micro, cioè individuale) che il governo tiene accuratamente nascosti. Per quel che capisco, la follia estiva di questo governo ci costerà qualche migliaio di focolai in più e qualche migliaio di morti (10 morti al giorno non sono pochi, in un anno significherebbero 3-4 mila morti). Cionondimeno ritengo poco probabile, anche se non da escludere, una chiusura totale e prolungata delle scuole.

Il governo si gioca tutto su questo tema?

Sinceramente non so se ci sia qualcosa che potrebbe farlo cadere: l’attaccamento dei suoi membri al potere è così forte che risulta difficile immaginare un evento che li costringerebbe ad abbandonarlo. Del resto, bisogna ammettere una cosa fondamentale: il giudizio negativo sul governo viene dall’opposizione politica e da una parte della società civile, ma l’opinione pubblica non è ostile al governo (per ora).

Per molti virologi si doveva approfittare di questo periodo per limitare una potenziale seconda ondata in autunno. Gli ultimi dati, però, oltre all’aumento dei casi, confermano una crescita dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva. È stato il nostro azzardo per non distruggere l’industria delle vacanze?

Sì, questa è la tesi che anch’io ho sostenuto fin da giugno. Però quel che non si è ancora capito, a mio parere, è che la linea del governo ha una sua logica e una sua razionalità. Certo è una razionalità cinica (se non criminale), ma è una razionalità. Per capirla, bisogna leggere i documenti sui sistemi di allerta regionali. Da quei documenti si capisce che la vera preoccupazione di chi ci governa non è di minimizzare il numero di morti, ma è di massimizzare il Pil sotto il vincolo che il sistema sanitario nazionale non vada in tilt. Se capiamo questo, capiamo tutto il resto, ovvero perché negli ultimi tre mesi il governo abbia consentito la sistematica violazione delle regole, e solo ora cominci timidamente a fare marcia indietro, invitando alla prudenza e al rispetto delle regole. Ebbene, la ragione è il recente aumento degli ospedalizzati e dei ricoverati in terapia intensiva: quello è il vero campanello di allarme, l’unico che sono veramente disposti ad ascoltare.

Su Il Messaggero ha scritto che «il “partito della prudenza” è chiaramente e inequivocabilmente sconfitto». Se la prudenza è minoranza e la sfida delle tre T (tamponi, tracciamento e trattamento) è ancora debole, che cosa ci dobbiamo aspettare in autunno?

Come molti colleghi che studiano queste cose, penso anch’io che l’autunno non ci riserverà una seconda ondata di dimensioni comparabili alla prima. Avremo un aumento dei casi, degli ospedalizzati e dei morti, ma di proporzioni meno ampie di quelle di marzo-aprile-maggio. Il vero problema, secondo me, sarà il panico dovuto all’esplodere delle influenze, e all’incapacità del sistema sanitario di assicurare tempestivamente un tampone a tutti i casi sospetti. Ancora oggi, a oltre 6 mesi dall’esplosione dell’epidemia, nella maggior parte delle Regioni non esiste alcuna garanzia che, in caso di sintomi compatibili con il Covid, un medico ci visiti e ci assicuri un tampone in 48 ore. Ci diranno di telefonare a un numero verde, e da quel momento in poi saremo in balia di 20 burocrazie sanitarie diverse, abbandonati e soli.

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