Daniela Brancati e gli “Occhi di maschio”, tra potere femminile e scorciatoie ancora presenti

by Antonella Soccio

“Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia. Una storia dal 1954 ad oggi” della giornalista e scrittrice Daniela Brancati edito da Donzelli è datato 2011.

Oggi la prima direttora di tg in Italia, prima con Videomusic e poi al Tg3 nel 1994, per parlare di donne e male gaze non si occuperebbe più del potere del piccolo schermo, ma analizzerebbe il mare magnum dei social e della rete. Nelle stories Instagram, spiega la giornalista e dirigente d’azienda a bonculture prima della conversazione tenutasi a Foggia al Teatro della Polvere per la rassegna Pagine di Contrasto, l’erotizzazione del corpo femminile segue strade e percorsi diversi, che si intersecano anche con una nuova vanità maschile. Fake news, banalizzazione delle narrazioni, nuove consapevolezze sulle fonti. Il web ha reso orizzontali le opinioni e ha smantellato i palinsesti, riducendo l’influenza della televisione sensazionalistica, della tv del dolore, della tv rissa, della tv verità e di quella confessione.

C’è però una questione che rimane immutata, nel corso dei decenni, pur con le tante conquiste femminili e l’unica vera rivoluzione andata a segno dopo il ’68, ossia quella femminista: le donne sono ancora poco inclini, nel mondo dell’informazione come anche in altri settori, a coltivare il potere, ad affezionarsi alla gestione e all’organizzazione. Preferiscono ancora la visibilità luccicante di una conduzione tv da mezzo busto, la fama di una firma, l’esteriorità dell’apparire in prima fila ad un evento, sul palco.

“Ho imparato sulla mia pelle, ma l’ho capito dopo, che il potere si mantiene facendo promesse e si perde affidando responsabilità. Una pensa che se conferisce a qualcuno/a una carica la persona debba quanto meno rimanere fedele. Sbagliato: è allora, quando si dà, che si comincia a perdere potere. Per restare potenti bisogna promettere incarichi”, ha detto Brancati.

Da Elda Lanza, recentemente scomparsa, al Carmen Lasorella, Lilly Gruber e Lorenza Foschini fini alle telegiornaliste dei nostri tempi, la giornalista ha analizzato per Pagine di Contrasto il mondo delle donne in tv: il suo saggio è una grande storia della tv dalla parte delle donne, perché scritta e raccontata da una donna e perché racconta di donne, tutte le donne che hanno fatto materialmente la tv davanti e dietro il piccolo schermo, dagli anni in cui si era prigionieri del conformismo a quelli in cui il servizio pubblico, divenuto quasi una propaggine del sistema commerciale, ha perso il suo ruolo e la sua funzione educativa, pedagogica e morale, un tempo primaria.

Il cambiamento, come si è ricordato, arriva con la rete 2, dal 1975 al 1980. “Arriva al secondo canale un manager, che aveva lavorato alla Olivetti, che non sapeva nulla di tv, Massimo Fichera, che pensa per contenuti e non in maniera ideologica. È del 1978 la trasmissione che cambia lo schema televisivo: Loredana Rotondo affiancata da una redazione di sole donne porta in tv la materia esplosiva dell’udienza di un processo per stupro. Oggi, dopo tante puntate di Un giorno in Pretura ci sembra banale, ma allora per la prima volta, non c’è confezionamento, la realtà irrompe così com’è nelle case degli italiani”, ha raccontato Brancati.

La trasmissione si intitola Processo per Stupro e modifica lo sguardo sulle donne. Non più solo “bionde, belle e zitte” o ammiccanti come la Virna Lisi della pubblicità né soltanto vallette parlanti come Paola Penni o autorevoli e algide conduttrici come Enza Sampò. La realtà delle donne assume toni di verità, di autenticità.

Lo sdogamento dei corpi femminili nudi giunge invece, prima ancora che con il berlusconismo, con il Drive in della sua tv commerciale, ma Brancati inserisce nel setting dell’ironia malevola sulle donne anche l’intelligenza assoluta di Renzo Arbore, che con le ragazze Coccodè a Indietro Tutta comunque fa la parodia di un costume a scapito delle donne. La finta parodia è sempre e solo femminile: mai si vedono uomini sgambettare o essere canzonati sulla loro virilità.

Nella lunga marcia femminile, le donne però, per Brancati non sono innocenti. Troppo spesso barattano la loro veridicità e le loro competenze, in cambio di una visibilità tutta centrata sulla propria esteriorità, sulla bellezza e sulla giovinezza. A netto discapito della loro stessa carriera, perché tutte prima o poi si invecchia. C’è del machismo nella catena di comando, quando il dato estetico corrisponde ad un modo di intendere il ruolo del notiziario e quello del conduttore.

“Alla figura professionale del conduttore deve corrispondere un aspetto rassicurante. E se è una donna meglio bionda, patinata, liscia e gradevole. La spettacolarizzazione richiede più attenzione a come ti vesti, il vedo non vedo, dalla cintola in su, il come sorridi, piuttosto che come porgi le notizie al pubblico, svolgendo quell’importante ruolo di raccordo fra il lavoro fra il collettivo redazionale e coloro che ascoltano. Molte giornaliste si sono adeguate e hanno accettato lo status di donne di spettacolo: un taglio alla gonna, una sforbiciata al decolleté. Perché?”, si è chiesta al Teatro della Polvere e si chiede nel libro Brancati. La giornalista ha analizzato il caso di Francesca Romana Elisei, bellissima conduttrice di Post della redazione giornalistica del Tg2, troppo spesso avvezza a “scorciatoie” estetiche.

“Quella che vediamo è una donna pensata dall’uomo a sua immagine e dissomiglianza. La soggettività femminile non è capace di darsi forma in un ordine simbolico proprio, trovandosi già raffigurata e costretta a riconoscersi nell’immaginario dell’altro. Per questo la tv non restituisce tutti i guadagni politici, sociali e materiali che le donne hanno ottenuto in questi anni. Anzi, le donne sono proposte ancora come soggetti deboli o come portatrici di un corpo degno di essere raffigurato”, si legge nel libro in una dichiarazione di Loredana Rotondo, raccolta dalla prima direttora di tg della tv.

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