“Donbass. La guerra fantasma nel cuore d’Europa” di Sara Reginella e l’umanità minuta che anima la Storia

by Francesco Berlingieri

Sara Reginella
Donbass, La guerra fantasma nel cuore d’Europa
(Exorma)

Risalire il corso della corrente. Con rigore, con ostinazione. Anche quando sembra inutile. Anche quando la corrente è preponderante e schiaccia, soverchia, banalizza. Riducendo la storia a slogan e la guerra in tifo a distanza. Risalire il corso della corrente, inseguire le domande irrisolte, porsene di nuove è – dovrebbe essere, quanto meno – atto meritorio. Capire dove nascono le contraddizioni del presente, addirittura, precondizione del nostro vivere civico: a migliaia di chilometri dai campi di battaglia dell’Ucraina, nelle nostre “tiepide case”, avremmo tutto il tempo necessario e gli strumenti per elogiare la complessità. E, invece, ci offriamo volontari al macello della propaganda bellica. Di una guerra che, da noi, non fa risuonare le sirene, non sventra i condomini dove stiamo rifacendo il cappotto ai palazzi coi contributi statali. Di una guerra che semplifichiamo e combattiamo per procura.

In questo scenario di desolazione, di testate giornalistiche trasformate in testate nucleari, di cantanti, nani e ballerini che nei talk show dell’orrore istigano all’escalation, di scrittori interventisti che – quando non pubblicano sciocchezze d’amore – si eccitano all’odore del sangue, leggere un libro come “Donbass, La guerra fantasma nel cuore dell’Europa” provoca più fastidio ed inadeguatezza di quanto si potrebbe supporre.
Perché Sara Reginella, anconetana classe 1980, nelle martoriate terre dell’Est ucraino ci è stata davvero, e a più riprese. Dal 2014. Da quando, cioè, le popolazioni russofone sono insorte contro il golpe di Euromaidan. E le città sono state aggredite dall’esercito regolare di Kiev e dai paramilitari nazifascisti, spediti a seminare terrore e a punire gli infidi vicini di casa per una presunta fedeltà a Mosca che, in realtà, era solo strumentale a garantire un alibi di facciata alla repressione.

Sara, che di professione è psicoterapeuta, a differenza della quasi totalità dei nostri professionisti dell’informazione taciuta, nel Donbass ci è stata davvero, quando nessuno di noi sapeva dove fosse Mariupol. Ci è stata ed ha raccontato l’orrore del fratricidio etero-diretto. Dell’arrogante e sfacciato piano della Nato di armare ed addestrare un esercito a due passi dalla Russia, dell’utilizzo spudorato di tagliagole con le svastiche tatuate, di politicanti al soldo degli Usa che hanno eliminato ogni riferimento al passato sovietico, messo fuorilegge i partiti d’opposizione e riabilitato in pompa magna la figura di Stepan Bandera, il collaborazionista di Hitler. Ha camminato per le strade umiliate e la gente dignitosa che, per difendersi dall’aggressione, ha saccheggiato le armi dei musei della Seconda guerra mondiale e preso in prestito i carri armati, ancora funzionanti, dai monumenti alla Vittoria del 1945. Ha ascoltato le voci di uomini e donne giunti volontariamente dalla Russia per combattere, all’indomani della strage di Odessa; di veterani della Grande guerra patriottica costretti a vivere in palazzoni senza vetri, presi a cannonate dai golpisti di Kiev; di anziani privati della meritata pensione; di bambini che – come diceva Poroshenko, l’amico degli Occidentali – meritavano di vivere nelle cantine. Sara scrive di questo, di quello che noi non abbiamo mai saputo, o abbiamo preferito non sapere. Di una guerra durata otto anni e costata 14 mila morti. Una guerra scatenata dall’Ucraina per ridurre all’obbedienza “atlantica” le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, sorte dalla volontà popolare e non riconosciute neppure da Putin. Fino a due mesi fa. Nel suo viaggio, raccontato con una penna brillante e piena di spunti metericamente lirici, nella sua vivida prosa, Sara – che oggi, nel nome della nostra sudditanza al banale, viene contestata durante le presentazioni – ci racconta di un popolo che non odia, che si è sempre sentito ucraino quanto russo. E che oggi, al tramonto delle speranze, viene utilizzato come merce di scambio nello scontro mortale tra gli imperialismi. Perché i valori delle repubbliche, degli uomini e delle donne del Donbass – quelli che invitavano gli ucraini tutti a liberarsi dei nazisti e battersi assieme contro lo strapotere degli oligarchi e le indebite ingerenze – sono destinati a perire comunque, nell’abisso dell’incesto tra interessi contrapposti. Anche solo in nome di questo, dell’umanità minuta che anima la storia, e come tributo al coraggio, il suo “Donbass, La guerra fantasma nel cuore dell’Europa” andrebbe letto e discusso. Almeno finché le sirene non suoneranno anche da noi.

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