Due libri. Ove, Lev e Kolja. Consigli in zona rossa

by Francesco Berlingieri

Sono uno di quelli restii ad accettare consigli di lettura. Ho sempre preferito avanzare col monocolo e il machete nel sottobosco letterario e solingo portare alla luce tesori. Per essere io poi quello che consiglia. Ho almeno una decina di libri prestati, capolavori senza dubbio, che mi sono limitato a sfogliare. Ad andar bene. Eppure a volte ci sono alchimie che ti seducono, come una sirena lontana o un odore dalla cucina. Qualcosa nell’amigdala che dice che dovresti fidarti. E in poco tempo sei lì a pensare a quanto sia stato bello recuperare la passione per la lettura. Perché, a voi posso confidarlo, negli ultimi mesi sono stati diversi i colpi a vuoto, le premesse che non si sono avverate. Mi era salito un po’ di scoramento. Di sfiducia.

Poi ho conosciuto – mi hanno fatto conoscere – il signor Ove, Lev e Kolja. E tutto è cambiato.
I thriller psicologici, le strategie politiche, gli ammazzamenti misteriosi tra le brume dell’Inghilterra vittoriana, si sono finalmente diradati per far spazio alla complicata leggerezza di due storie magnifiche e scritte magnificamente. Perché L’uomo che metteva in ordine il mondo di Fredrik Backman e La città dei ladri di David Banioff, nonostante la tematica e lo spazio-tempo, hanno in comune tanto più di quel che mostrano. Hanno il linguaggio incalzante di chi sa raccontare storie, la soavità con cui si narrano i grandi drammi della vita. Hanno l’ironia, che ti fa ridere apertamente, e la gravità che ti basisce e ti commuove fino alla solitaria lacrimuccia che non puoi trattenere.

Fredrik Backman
L’uomo che metteva in ordine il mondo
(Mondadori, 317 pagine, 13 euro)

Il signor Ove è un cinquantanovenne svedese scontroso fino alla pignoleria, pignolo fino al fastidio. Abita una casa di proprietà in una periferia residenziale di ville monofamiliari. E, fino al golpe di Rune, dell’associazione dei proprietari era addirittura il presidente. Mr.Ove è metodico, scrupoloso e ossessivamente ligio alle regole. Esce ogni mattina all’alba per un giro di perlustrazione, per controllare le auto parcheggiate e che i box non abbiano subito effrazioni durante la notte. Guida una Saab. Tutti gli uomini veri, sostiene, dovrebbero guidare una Saab. Ma di uomini veri, constata amaramente, ce ne sono sempre meno. Anche il quartiere, un tempo abitato da persone rispettabili, tende ad ingrandirsi e a popolarsi di personaggi strambi anziché no. A questo punto in tanti dicono: “Un po’ come Clint Eastwood in Gran Torino”. Non proprio. Perché Mr.Ove ha un peso sul cuore, irreparabile: la perdita della sua Sonja. Dopo di lei, tanto vale farla finita. E Mr.Ove vuole esattamente questo: farla finita. A questo punto qualcuno immancabilmente dice: “Ah, tipo Ricky Gervais in After Life!”. Di nuovo, non proprio. O non solo, boh. Perché Backman disegna, in una trama delicata e struggente, la fisionomia di un uomo solo che compie il miracolo di interfacciarsi a sé stesso e al mondo praticando il conflitto e l’irriducibilità, senza quasi cambiare di una virgola il proprio atteggiamento originario. Un uomo che smette di essere monade e, controvoglia, diventa comunità. Ci sono pagine, ne L’uomo che metteva in ordine il mondo, talmente belle che si rileggono anche due o tre volte. E battute così ben costruite che diventano patrimonio del lettore. Non è facile intrecciare così i registri. Non è facile per niente.

David Benioff
La città dei ladri
(Beat, 279 pagine, 9 euro)

Lev, invece, di anni ne ha quindici. E, insieme ai suoi amici di caseggiato, dal tetto del Kirov osserva gli aerei della Luftwaffe volare su Leningrado, nel primo inverno di assedio. È l’orgoglioso comandante della Brigata Antincendio del Quinto Piano. Ed ogni notte ha il compito di sorvegliare i focolai. Finché un nazista assiderato non atterra in strada col suo paracadute. E il senso del dovere si sospende per far posto alla curiosità. Così i ragazzini scendono in strada a vedere il morto da vicino e a bere cognac dalla sua fiaschetta. Inseguito da una pattuglia, Lev viene arrestato e tradotto alle Croci, il carcere della città. Per certe cose c’è la fucilazione. In cella conosce Kolja, un biondo cosacco ventenne accusato di diserzione, dalla parlantina fulminante e dalla smisurata passione per la letteratura russa. E per il sesso femminile. Il colonnello Grechko dell’NKVD deve maritare la figlia, che pattina sulla Neva ghiacciata. Ed è usanza russa non far mancare mai una torta nuziale a una sposa. Solo che coi nazisti alle porte e la gente che si nutre del fango ricavato dallo zuccherificio bombardato, è difficile trovare dodici uova a Leningrado, nel 1941. Così il colonnello Grechko affida il compito di recuperare le uova alla strana coppia. È l’abbrivio di un libro che si snoda tumultuoso e incalzante come un road movie, come uno di quei film che ti rivedi ogni volta che lo becchi su Iris. E ogni volta ripeti i dialoghi e ti invaghisci dei personaggi. Benioff ha un talento visibile a grandi distanze. E quando finisce di raccontare ci resti male. E anche questo non succede sempre. Anzi.

In sostanza, fuori c’è la zona rossa. Tra un paio di settimane è Pasqua. Avete i miei consigli, gli stessi che io ho fatto bene ad accettare. E tutto il tempo per accettarli entrambi. E farmi sapere se è come dico.

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