Fame d’aria di Daniele Mencarelli e la capacità di raccontare l’indicibile

by La Magna Capitana

Il dolore delle persone che ami può annullare ogni cosa a cominciare da te stesso: non esisti più, se non per alleviare l’altrui sofferenza cui assisti impotente.

È quello che succede a Pietro Borzacchi, padre di Jacopo, diciottenne autistico a bassissimo funzionamento.

Sono loro i protagonisti di Fame d’aria, Mondadori 2023, l’ultimo libro di Daniele Mencarelli, poeta e scrittore, autore tra l’altro di Tutto chiede salvezzada cui è stata tratta la serie televisiva di grande successo.

Un romanzo diverso dai precedenti, in cui Daniele raccontava i suoi problemi con il disagio mentale, la depressione, il trattamento sanitario obbligatorio, l’alcol e la salvezza della poesia.

Eppure qualcosa c’è che lega questi libri: la capacità di raccontare l’indicibile, l’amore che conosce il suo contrario, la frammentazione dell’io che non si tiene più perché è diviso tra la pulsione di vita e quella di morte.

Sono le sfumature a colpire nella scrittura di Mencarelli, che tratteggia personaggi e paesaggi, fisici ed emotivi, di grande profondità e spessore.

Pietro è morto dentro, non vive più, perché non ha tempo e non ha energie se non per fare il padre di un figlio malato, mentre i soldi non bastano mai e i debiti aumentano.

Non ricorda, Pietro, quando è stata l’ultima volta che ha parlato con un altro essere umano di se stesso e non del figlio. Proprio di lui.

Mencarelli sceglie di ambientare questa storia di vite congelate in un paese del Molise, Sant’Anna del Sannio, che non esiste sul serio, ma rappresenta tutti i paesi dell’entroterra in via di estinzione.

La desertificazione di questo piccolo centro fa da cassa di risonanza alla solitudine di padre e figlio.

Il padre imprigionato per sempre nel suo unico ruolo di padre; il figlio eternamente neonato: non mangia da solo, non parla, emette un unico suono per dire tutto, ha bisogno del pannolone, detesta i rumori, non vuole che lo si tocchi, si culla con le sue stereotipie: muove sempre la mano, avanti e indietro su un lato della coscia.

La normalità è come un biglietto della lotteria. Invece tutti pensano che sia naturale il contrario.

Tre sono gli abitanti del paese, che scenderanno in campo per aprire un varco nell’esclusività, a tratti claustrofobica, di questa diade. Un binomio indivisibile, in cui a volte il figlio sembra il padre e il padre il figlio, incapaci entrambi, per ragioni diverse, di vivere al di fuori di quel rapporto. Una relazione che certo comprende anche la moglie, la madre, che però nel romanzo è per buona parte solo raccontata.

Quali sono i personaggi di Sant’Anna del Sannio che riescono a stabile un legame che profuma di pasta alle erbette, di tempo lento e condivisione, di una partita a carambola, di un caffè che si raffredda e si ha premura di rifare?

Oliviero il meccanico, Agata la locandiera e Gaia che fa la cameriera, ma poi si scoprirà che no, anche lei vorrebbe dimenticare qualcosa che non si dimentica.

C’è bisogno di essere una comunità, di sentire di appartenere a qualcosa che supera il perimetro ristrettissimo del proprio dramma familiare.

Ma non è facile quando senti di avere la responsabilità della vita di qualcuno non autosufficiente, mentre il senso di colpa e di impotenza tolgono il fiato, ogni briciola di energia.

Tutto è funzionale alla tua missione: pensieri, azioni, desideri.

Daniele Mencarelli, in diverse interviste, racconta l’esperienza con il figlio, affetto da un lieve disturbo dello sviluppo che sta rientrando con la crescita.

Lo fa anche in questa intervista su Rai Cultura che qui riproponiamo.

Dieci anni trascorsi, insieme alla madre del ragazzo, in un pendolarismo continuo nelle strutture di neuropsichiatria infantile gli hanno mostrato, una volta di più, quanto conti avere o non avere la disponibilità economica di affrontare certi percorsi terapeutici e riabilitativi.

Poi ti ritrovi a casa, in zone dove le strutture pubbliche quelle terapie non le passano. Oppure la fila è di anni. E gli anni non te li puoi permettere, perché nello sviluppo ogni giorno è prezioso. E allora che devi fare? Ti devi  mettere a cercare privatamente. E a pagare. Pagare. Tutto e tutti […] e se non hai soldi sei finito.

Il finale rimette insieme una nota che ricorre e che sembra stonare con tutto il resto.

Ma il resto non è il resto di niente perché “aver cura”, farsi carico di, assumersi la responsabilità non è mai, mai una partita a somma zero.

Aver cura dell’altro è già un più.

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Fame d’aria è disponibile in e-book per il prestito digitale.

Mara Mundi

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