“Frankenstein o il moderno Prometeo”: il presagio di un brutto sogno di Mary Shelley

by Marilea Poppa

Da una reclusione forzata talvolta possono nascere idee brillanti, se non memorabili. Il momento che stiamo vivendo ci ha riportato con il pensiero alla nascita di un capolavoro della letteratura inglese: il romanzo gotico “Frankenstein o il moderno Prometeo”, nato in due differenti edizioni dalla penna dell’autrice britannica Mary Shelley.

Non fu una funesta pestilenza o una pandemia a costringere quattro “amici” a rifugiarsi in una Villa, ma semplicemente una piovosa e umida estate del 1816. Impossibilitati a fare la consueta passeggiata sulle rive del lago di Ginevra Mary Shelley, suo marito Percy Shelley, il poeta romantico Lord Byron ed il suo aiutante e scienziato Dr. Wiliam Polidori si ritrovarono tra le mani alcuni volumi su storie di fantasmi tradotte dal tedesco al francese. Le spaventose letture suscitarono un desiderio di emulazione favorito dalle parole di Lord Byron, che propose: “We will each write a ghost story”. “Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi”, una specie di sfida letteraria con l’obiettivo di premiare il racconto migliore. La stimolazione prodotta dalla lettura di quelle storie dell’orrore e le conversazioni tra Percy Shelley e Lord Byron sulle dottrine filosofiche e sugli esperimenti condotti dal dottor Darwin rappresentarono per Mary Shelley il presagio di un brutto sogno, l’incubo che sarebbe diventato il “waking dream” cifra del successo del mostro messo in vita dallo scienziato Victor Frankenstein.

In quella notte dall’atmosfera decisamente spettrale (se proviamo a immaginare il contesto descritto dettagliatamente nell’introduzione) ad agitare il sonno della scrittrice vi fu la forma terrificante di un uomo disteso e mosso da un penoso moto semi vitale donato dall’impulso di un creatore terrorizzato, a sua volta, dal prodotto finale. Poteva vedere il suo mostro avvicinarsi al suo letto e guardarlo con occhi umidi, gialli, ma pieni di pensiero. Un mostro, eppure con una componente umana nel suo sguardo denso di significato. Di quel sogno ne resta un racconto epistolare, una storia che ancora oggi impressiona i suoi lettori non soltanto per l’abilità dell’autrice nel concentrare riferimenti letterari, filosofici e scientifici nei personaggi del romanzo, ma per le molteplici possibilità di lettura e interpretazione personale.

Le lettere che precedono il racconto di Frankenstein hanno come protagonista un tale Robert Walton, capitano di un’imbarcazione che si imbatterà in un incontro con Victor Frankenstein moribondo tra i ghiacciai mentre era alla ricerca della sua abominevole creatura, il suo alter ego. Dopo averlo accolto a bordo, il capitano ascolterà la sua testimonianza mettendola per iscritto in lettere indirizzate a sua sorella Margaret Saville Walton (medesime iniziali dell’autrice). Le avventure di Frankenstein, affiancato alla figura mitologica di Prometeo che agisce contro la volontà divina, e della sua creatura dall’aspetto ripugnante si susseguiranno tra omicidi, fughe e ritrovamenti. Del mostro di Mary Shelley ne possiamo cogliere l’aspetto più terrificante, che i numerosi adattamenti cinematografici e teatrali hanno ampiamente sfruttato, oppure quello più umano per comprendere il quale occorre sicuramente attingere dall’esperienza personale dell’autrice.

Nata da una relazione tra Mary Wollonstonecraft e Wiliam Godwin, Mary perse dopo pochi giorni di vita sua madre (anch’essa scrittrice), evento che scosse la sua sensibilità a tal punto da farle percepire un senso di colpevolezza che si ripercosse a sua volta sul suo essere madre. Il parto, l’origine della vita e la morte di alcuni dei suoi figli in circostanze drammatiche, sono tematiche che emergono silenti attraverso le vicende del mostro, orfano di madre per volere dello scienziato e quindi originato da una procreazione che viola le leggi della natura. La denuncia del padre a seguito della fuga amorosa con Percy Shelley, fedele alle idee politiche che Godwin professava, rappresentò un affronto di forte impatto psicologico, percepito come un doloroso abbandono, lo stesso che vivrà la creatura rifiutata dal suo creatore, entrambi accomunati da un senso di isolamento e alienazione. L’influenza delle figure maschili dominanti fu determinante nella concezione dell’opera e nella percezione che la giovane ebbe di sé stessa come scrittrice donna di un romanzo gotico che comparve, per tale motivo, anonimo nella prima pubblicazione. Al coniuge, considerato un mentore letterario, fu assegnato il compito di apporre rimaneggiamenti che cambiarono in alcuni passi la chiave di lettura dell’opera.

L’assenza della partecipazione femminile nella creazione del mostro e il rifiuto da parte di Victor Frankenstein nel voler dare una compagna al suo mostro per paura delle conseguenze, delinea una marcata passività del genere femminile, contro i canoni dettati dal romanzo gotico dell’epoca. Il mostro di Mary Shelley nasce come essere non civilizzato, che ambisce a godere dei benefici della civilizzazione e dell’affetto umano delle persone che lo circondano. Si serve quindi degli esempi della civiltà grazie agli insegnamenti della famiglia De Lacey e dei libri che legge: I dolori del giovane Werther di Goethe, le vite parallele di Plutarco, il Paradiso perduto di John Milton sono alcune letture che gli saranno utili per la scoperta del genere umano in un mondo di cui non conosce le regole. L’aspetto più toccante e meno soggetto a dubbi interpretativi è proprio questo: la carenza di amore nei confronti di una creatura abbandonata e costretta, a differenza del suo creatore, all’isolamento per la sua diversità. Nel costante stato di stordimento che conduce il mostro a chiedersi singhiozzando: “what was I?”, prima ancora  di commettere brutalità, possiamo cogliere la voce di una scrittrice che parla in maniera universale di amore, di solitudine e di fragilità. Un mostro che parla di noi.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.