Gioacchino Rosa Rosa svela il “cocktail di incongruenze dei foggiani” nel suo ultimo romanzo Lando Frandella e l’eredità di Federico II

by Antonella Soccio

Una città smaterializzata e senza più nessuna ricchezza fiscale e immobiliare, dove hanno rubato finanche la statua bronzea di Umberto Giordano dell’omonima piazza, è la Foggia dell’ultimo romanzo di Gioacchino Rosa Rosa, creativo e portavoce del Gruppo Telesforo, oltre che influecer sui social in Capitanata.

Al suo sesto libro “natalizio”, scritto già da qualche anno ma diventato necessario nel 2020 pandemico, l’ultimo racconto grottesco di Rosa Rosa parte da una disputa per il governo della città tra un sindaco pasticcione dal nome in assonanza con Franco Landella e dai divertentissimi difetti di pronuncia (ancor più dell’attuale primo cittadino) e un fantomatico erede dell’Imperatore di Svevia, simbolo del Sud e di Foggia ma non ancora valorizzato a pieno.

“Lando Frandella e l’eredità di Federico II” è un libro assai godibile, nel quale i foggiani possono riconoscere moltissimi tic, atti mancati, superbie, vezzi, non soltanto dei suoi personaggi pubblici. Con una ironia ora sottile ora tendente al sarcasmo e spesso anche con feroce satira Rosa Rosa si fa beffa di situazioni e paradossi della città della Quarta Mafia così affezionata allo status quo che anno dopo anno, dopo il Salva Enti che l’ha condannata all’immobilismo, arranca nelle diverse classifiche nazionali della qualità della vita.

Noi di Bonculture abbiamo deciso di non dirvi troppo del romanzo, per non spoilerarlo, ma abbiamo intervistato l’autore.

Rosa Rosa, nel libro in maniera ironica ( a tratti geniale se mi consenti) prendi in giro tutto e il contrario di tutto. Un esempio: i fratelli Mammella che acquistano la Fontana del Sele, svenduta da Frandella, per portarla nella loro Villa ad Ippocampo. C’è una meditazione scherzosa sui vizi dei foggiani che già avevi cominciato nei tuoi precedenti lavori. A che punto sono i tuoi concittadini? Sono peggiorati in maniera irreversibile?

Il libro, come e più dei precedenti, esalta in modo grottesco vizi e virtù dei foggiani. I foggiani sono sempre uguali a loro stessi, non peggiorano e non migliorano. Non ne sono capaci,  non escono fuori dal loro complesso stereotipo. Con questo non voglio dire che sono peggiori o migliori dei cittadini di qualsiasi città ma solo che hanno un diverso cocktail di incongruenze, errori fatali, pezze a colori, sviste madornali, superficialità e nel contempo di atti di incredibile generosità e solidarietà.

Spesso sottolinei l’amore per la città che può essere rispettata solo se considerata un fatto privato. È così per uno dei due protagonisti. Come uscire da questa logica? È solo retorica quella di chi come Gippo Caballero (alias Pippo Cavaliere leader dell’opposizione) la denuncia?

E’ la nostra verità, è la nostra caratteristica. Il vandalismo che noi subiamo quotidianamente, soprattutto da parte di giovani insoddisfatti di ciò che possiedono e di ciò che rappresentano, è sintomatico di una sorte di vendetta verso la società. Una vendetta immotivata. Ma il segno più evidente di questa mentalità lo si può verificare anche dove il degrado o la povertà non sono (ancora) arrivati. Tempo fa, ad esempio, sono andato a trovare una persona che abita in un palazzo signorile. L’androne, le scale e tutte le parti comuni dell’edificio potevano essere tranquillamente quelle di un condominio di Kabul. Buste dell’immondizia, oggetti accatastati sui pianerottoli, sporcizia, corrimano rotti… ma una volta varcata la soglia dell’appartamento lo scenario era quello di una casa in cui ogni particolare è al posto giusto e la polvere non osa posarsi per paura di “abbuskarsi un cazziatone”. Se non è mio… è di nessuno.

Un protagonismo duale nel libro. Che tipo di amore mettono in campo i due protagonisti?

Entrambi amano Foggia alla follia, entrambi, con una buona dose di prosciutto sugli occhi (probabilmente della stessa marca di quello che comprava Federico II)  vedono la città bellissima e perfetta. Non cambierebbero una virgola, lascerebbero tutto com’è e non svuoterebbero neppure i bidoni dell’immondizia. Il primo, Frandella, per far felici i Foggiani li accontenta nelle loro pretese più assurde e si trova con le casse vuote incapace di provvedere a cose più necessarie. L’altro, che ha ereditato una fortuna dal padre che non ha mai conosciuto, quando Frandella non riesce più a soddisfare le richieste, gli ruba popolarità provvedendo personalmente.

C’è anche molto il tema dei “consigliori” dei due “eroi”. Su di loro scarichi molte meschinità. C’è anche un deficit di questo tipo a Foggia?

In un certo senso. Ma non le chiamerei meschinità, diciamo “escamotage”. I consiglieri sono persone scafate, mentre i nostri eroi persone semplici che si trovano di fronte a un problema più grande di loro. A Foggia esistono burattini e burattinai? Non lo so, non credo anche perché a Foggia c’è il culto della propria personalità e nessuno ama sentirsi dire cosa deve fare e non fare.

Nel libro sono riconoscibili molti personaggi reali foggiani. La cosa è esilarante ma potrebbe essere anche un vulnus per il romanzo, che agli occhi esterni potrebbe apparire autoreferenziale, riferito solo a chi è dentro certi circuiti del potere. Che riscontri stai avendo dai primi lettori?

Molto positivi. Al di là di chi riconosce alcuni o tutti i personaggi, le situazioni, i comportamenti, la storia di per sé è piuttosto esilarante e ne ho avuto già piena conferma.

Molti potrebbero anche ritenere che lo sfottò al sindaco Frandella tra gramelot landelliano e colpi bassi neanche troppo cattivi sia in realtà assai benevolo, compiaciuto. Sei d’accordo? O invece lo stesso sindaco potrebbe offendersi della tua satira irriverente?

No, assolutamente, il “vero sindaco” è persona di spirito e dimostra una intelligenza, anche politica, non indifferente. Lo “sfottò” come lo chiami tu, è assolutamente benevolo come quello rivolto a tutte le altre “vittime” immortalate con i loro alter ego nel romanzo. Come ho scritto in un mio post “In questo libro NON C’E’ POLITICA, non ci sono accuse, rancori, offese, veleni. Questo libro è IL CONTRARIO DI FACEBOOK. Qui tutto fa sorridere, tutto è leggero, tutto è ironico. Questo libro pulisce gli animi, disinstalla la malignità, rinnova l’amore e l’orgoglio per questa città e alla fine contiene una morale. Positiva, come tutto il libro.”

Infine, la leva della Cultura con Vanna Maura. Descrivi nel libro alcuni eventi con molti dei protagonisti della scena culturale foggiana. Li canzoni come nel tuo stile con sagacia. L’anno pandemico ha tolto anche questo alla città.

Vanna Maura, alia Anna Paola Giuliani, è la mia migliore amica ed è un personaggio chiave nel romanzo per via della centralità dell’argomento “Umberto Giordano”. Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo il teatro era stato riaperto da poco, farlo “sparire” nuovamente mi è venuto spontaneo e invece, nella realtà, il Giordano, anche senza pubblico in sala, non si è fermato…

Che consiglio ti sentiresti di dare quando, si spera, torneremo alla normalità?

Non sono nessuno per poter dispensare consigli. Posso avere solo speranze. E le mie non sono diverse da quelle di tutti noi terrestri, europei, italiani, pugliesi, foggiani…

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