Giovanni Bianconi e il Terrorismo italiano ai Dialoghi di Trani. «Con la deriva terroristica si è interrotto il cambiamento del Paese»

by Antonella Soccio

Sarà Giovanni Bianconi con il suo Terrorismo Italiano per gli Incontri Treccani ad inaugurare il prossimo 21 settembre i Dialoghi di Trani con l’appuntamento “Alle radici della violenza, la cura della memoria”.

Di 350 morti e più di 1000 feriti è il bilancio delle vittime del terrorismo italiano, a partire dal 1968 scosso dalla nascita delle rivolte studentesche e operaie e dai violenti scontri di piazza, con il formarsi delle prime profonde fratture negli equilibri politici del paese: una storia conclusa ma della quale l’Italia fatica a scrivere la parola “fine”.

Bonculture ha intervistato lo scrittore e giornalista.

Bianconi, l’incontro Treccani è dedicato ai giovani e agli studenti. Ne ha fatti altri in Italia?

Ne abbiamo già fatti da un paio di anni nelle scuole e in alcune piazze italiane, come Reggio Emilia.

Il tema del terrorismo è ancora molto presente anche nell’attualità. Il libro parte dall’arresto di Cesare Battisti che riportò l’attualità degli anni di piombo e del superamento di quella stagione anche in virtù delle ferite aperte; ogni 9 maggio in ricordo delle vittime del terrorismo si celebra al Quirinale una giornata su quanto abbia pesato quella stagione. La Treccani, che non è soltanto una enciclopedia ma un veicolo di conoscenza, abbiamo pensato di coinvolgere quanti più giovani possibile.

Come viene accolto il tema in considerazione del fatto che quasi mai il terrorismo viene studiato a scuola ed entra nei programmi curriculari?

Uno dei problemi è esattamente questo ma come accadeva alla mia generazione per la Resistenza o per la seconda guerra non ci si arrivava mai, qui siamo a mezzo secolo e più dalla strage di Piazza Fontana, che è uno degli eventi per cui si avvia la stagione del terrorismo, ma quegli anni non si studiano.

I ragazzi sono interessati perché vedono che se ne parla, però non si studia; i professori che hanno la consapevolezza, della doppia situazione ossia dell’importanza e dell’impossibilità di affrontarlo sul piano dei programmi si affidano con favore, c’è l’attenzione a cercare di preparare i ragazzi sia parlando sia a sollecitarli a preparare domande.

Il caso Moro, quanto è centrale nella storia repubblicana italiana?

È stato un evento centrale perché ha deviato la politica italiana, perché ritengo faccia parte di una storia più ampia. Quel sequestro non è una storia a sé come con l’assassinio John Kenendy non è stata un’azione di killeraggio, ma si colloca all’interno di una storia, con il sequestro Moro si colpiva l’istituzione, ecco perché i misteri sul caso Moro si possono inserire in una storia più ampia.

L’ex terrorista Cesare Battisti, rinchiuso dal 2019 nel carcere di Oristano è stato costretto ad ammettere che quello di cui fece parte fu «un movimento disastroso che ha stroncato una rivoluzione culturale e sociale che aveva preso avvio nel 1968». Davvero è così secondo lei? Gli anni di piombo hanno realmente interrotto il progresso italiano?

Il racconto che c’è in questo libro è la biografia minore di un terrorista minore, Cesare Battisti, che è il paradigma del terrorismo per raccontare una storia. Lui dice che la lotta armata ha vanificato le istanze di cambiamento che c’erano nel 1968 perché con la deriva terroristica si è interrotto il cambiamento. È una valutazione generale. Di certo non ha fatto bene al progresso del Paese, non solo perché ha provocato lacerazioni, legislazioni speciali che non sono ancora concluse e risanate, ma anche nella sua fase finale ha cominciato a colpire le teste pensanti e dialoganti del Paese, pensiamo a Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli e poi Massimo D’Antona, Marco Biagi, dei professori. È un messaggio devastante, che alimenta il conflitto sociale e afferma sostanzialmente che i nemici non sono i reazionari, ma i riformisti.

Il terrorismo nero era solo una stampella della strategia della tensione? Come mai oggi a destra anche esponenti importanti del governo Meloni non riescono a fare i conti con quel passato?

La destra ha un terrorismo di due dimensioni, c’è quello più stragista e poi c’è l’esperienza dello spontaneismo armato più vicino alle generazioni oggi al governo, per loro c’è un problema di vicinanza, conoscenza, c’è un legame generazionale anche con una parte della destra estrema degenerata nel terrorismo. L’ex portavoce del governatore del Lazio rifiuta le sentenze, che in assenza

di nuovi elementi dobbiamo accettare: si comprende che chi è stato partecipe di quella stagione e ritiene di essere innocente continua a dichiarare la propria innocenza. Il problema è quando si forniscono pareri assertivi che si tramutano in polemica, dimostrando quanto quel capitolo sia ancora aperto. La sentenza della strage di Bologna è accertata ma non accettata.

Il suo libro ha la prefazione di Edoardo Albinati, che con il suo splendido La scuola cattolica, ha tratteggiato la commistione tra ideologia fascista, machismo e violenza nei confronti delle donne. La strage del Circeo è molto di più di uno stupro. Oggi questi argomenti sembrano tornati alla ribalta tra i giovanissimi. Che idea se n’è fatto?

Sono due argomenti diversi, secondo me, perché le ideologie oggi non sono più trainanti, non so dire quanto una certa fascinazione per il fascismo che nasce sui social network possa influire sulla violenza nei confronti delle donne. Tutto si nutre dell’ignoranza della storia, ci sono richiami sbagliati neo fascisti e neo nazisti che attraggono i ragazzi e una facile adesione a idee che sono state sdoganate, che è pericoloso sdoganare. Le violenze sono episodi che non hanno a che fare con il terrorismo, con ideologie che hanno dentro di sé una portata minoritaria e non hanno particolare presa.

Credo che oggi ci sia una mancanza di educazione civica generale.

Lei ha parlato della legislazione speciale. Il terrorismo ha favorito anche la lotta alla mafia. Mafia e nuclei armati sono stati spesso alleati non è così?

Che ci sia stata connivenza con la mafia è accertato, ma la mafia ha attraversato la storia tutta, post unitaria, è un fenomeno endemico, che crea alleanze con lo Stato. Lo si è visto con il generale Dalla Chiesa, fin che combatteva il terrorismo aveva tutti con sé quando lo hanno messo a fronteggiare la mafia si è ritrovato da solo. Che Cosa Nostra abbia utilizzato una strategia della tensione utilizzando come braccio armato altre entità che avevano interessi per creare disequilibri e tensioni in vista della formazione di nuovi assetti democratici è un fatto vero su cui si sta indagando e su cui ancora si dovrà continuare a dibattere.

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