«I miei protagonisti rimangono sulla soglia tra il visibile e l’invisibile». La felicità degli altri, candidato allo Strega: Carmen Pellegrino racconta l’abbandono

by Michela Conoscitore

L’anastilosi è una tecnica di recupero dei reperti archeologici, la si utilizza quando l’oggetto in questione è compromesso ma recuperabile con elementi nuovi. La storia di Clotilde è quella di un’anastilosi attuata, tuttavia, su un essere umano: così comincia il nuovo romanzo di Carmen Pellegrino, La felicità degli altri edito da La nave di Teseo. Candidato in questi giorni al Premio Strega 2021, nel suo terzo romanzo la scrittrice campana si discosta come nei suoi romanzi precedenti da una narrazione facilmente ripetibile, preferisce sprofondare, indagare le ombre, quelle che circondano tutti noi e che facciamo finta di non vedere.

In La felicità è degli altri quel che emerge è la fragilità della protagonista, che diventa universale perché è semplice riconoscersi in quei vetri rotti che costituivano, prima della frattura, lo specchio in cui Clotilde si contemplava. Cosa fare? Si può solo ricostruire, ecco spiegata l’anastilosi. Clotilde lo fa a modo suo, in un “presente dislocato”, perché se ci si pensa, l’idea che il tempo esista è una “superbia” dell’essere umano. Clotilde diventa Cloe, e fin da bambina va ad abitare in un’eikasia, “un regno di miraggi ombre e illusioni”, che cambierà fisionomia col passare del tempo, come le sfaccettature della sua personalità, quei pezzi integri dello specchio rotto che la protagonista decide di salvare, modellare e rimettere a posto. Eppure quell’identità frantumata è una gabbia, Carmen Pellegrino lo racconta al lettore con levità suadente, una sensibilità che rispetta la sua protagonista e dona a chi legge la possibilità di entrare in contatto con una dimensione altra, e farsi amiche le proprie di ombre.

bonculture ha intervistato Carmen Pellegrino:

La felicità degli altri è una sorta di prosieguo del cammino che hai iniziato con i tuoi romanzi precedenti: in cosa differisce da questi?

Nei miei romanzi racconto storie minime, non esemplari, storie quotidiane di uomini e donne che sembra quasi non siano vissuti, questo accade soprattutto in Cade la terra. Questa condizione di invisibilità ne La felicità degli altri è ancora più accentuata perché i personaggi principali come Cloe e il professor T non sono stati mai toccati da uno sguardo che li cogliesse nella loro essenza di esseri umani. Questa mancanza l’avverte più Cloe, e da bambina inventa degli espedienti per colmarla come la foto che si procura da un robivecchi: il primo piano di una donna, e immagina che gli occhi della donna in foto stiano fissando proprio lei, e se ne sente abbracciata. Per buona parte della sua esistenza andrà alla ricerca di qualcuno che la renda visibile, anche a sè stessa. I miei protagonisti rimangono sulla soglia tra il visibile e l’invisibile.

Ombre che pesano, tempo evanescente e dilatato, figure genitoriali che sono poco più che delle semplici comparse nella vita di Cloe. L’abbandono che lei vive, richiama una tua cifra stilistica tanto che ti definiscono ‘abbandonologa’. Incute più timore un’anima abbandonata o un luogo?

Si crea una sorta di identificazione, li tratto allo stesso modo. L’attenzione e la cura che ho per un luogo abbandonato, che può essere un paese o una casa, sono le stesse che dedico a quei personaggi che decido di raccontare, che il più delle volte vivono al buio, delle anime abbandonate a sé stesse. Il mio è un esercizio di sguardo che coglie. Quel che volevo fare con questo romanzo era incarnare l’abbandono, dargli corpo. Dal luogo abbandonato del primo romanzo ad un essere umano, capire come agisce l’abbandono su Cloe e quali sono le conseguenze, anche sul corpo.

Affrancarmi da quel tanto che di ogni famiglia dovrebbe restare nascosto è la mia missione”, dice Cloe al principio del suo racconto, presentandosi con queste parole al lettore. La protagonista ripudia maggiormente la propria famiglia o sé stessa?

Direi sé stessa, perché si è sempre sentita non amata. Come facciamo tutti, a questo si deve dare delle spiegazioni, le troverà dentro di sé. Si dice che questo suo essere non amata dipenda dalla sua natura triste. Da adulta, assegnerà le colpe all’esterno, ai genitori, per allontanare da sé il baricentro delle colpe. Cloe ha proprio un rifiuto per sé stessa, e lo dimostra quando assegna altri nomi alle sue personalità, cambia spesso casa, è sempre in fuga da quella bambina isolata. Lei, invece di prendersene cura, per buona parte della sua vita adulta, fin quando non avverrà questo incontro rivelatorio col professor T a Venezia, la terrà lontana.

Uno dei protagonisti che accompagnano Cloe nella storia è proprio il Professor T, di lui si dice che “avesse fatto cilecca nella vita”. Eppure è capace di accettare le ombre, dargli un significato e conviverci. Qual è stata la genesi di questo personaggio, tra i più interessanti del tuo romanzo, e quale messaggio hai voluto canalizzare attraverso il racconto della sua vita?

Penso che il professor T sia il fulcro del romanzo, ha preso molto più spazio di quanto io all’inizio avessi previsto. Cloe è la protagonista, ma il professor T è una figura fondamentale per la storia. Lui nasce dalla cronaca: nel 2018, ho letto la notizia del ritrovamento, a Venezia, del corpo mummificato di un professore la cui morte, però, risaliva a sette anni prima. Per sette anni nessuno si era accorto della sua assenza, nessuno era andato a bussare alla sua porta o gli ha fatto una telefonata. Questa notizia di cronaca ha agito dentro di me, e in quel momento scrissi un racconto per la rivista The Florentine, in cui delineavo le bozze di quel che poi è diventato il professor T. Nel libro ho fatto incontrare le ombre dell’uno con le ombre dell’altro. L’arrivo del professor T nella storia di Cloe per me è stato un buon passaggio, perché mi ha consentito di sciogliere dei nodi, un incontro che ha dato la possibilità alla mia protagonista di andare avanti. Il professore è un uomo con molti fallimenti personali alle spalle, solo, malinconico eppure risolve la vita di Cloe perché le mostra come le ombre possono diventare amiche. Qualcuno ha definito il romanzo come un manifesto del diritto ad essere ombra, mi è piaciuta molto questa definizione ed è proprio quello che voglio trasmettere.

Carmen Pellegrino ha avuto la sapienza di agire per sottrazione dando vita a una storia in cui i “non detti” pesano più degli eventi narrati”, questa la motivazione di Alessandra Tedesco per la candidatura de La felicità degli altri al Premio Strega 2021. Come hai accolto la notizia?

Ne sono stata molto felice. Felice anche dell’amica della domenica che mi ha presentato, che ha accompagnato la candidatura con una bellissima motivazione, molto commovente. Siamo in una fase embrionale del Premio, il prossimo 22 marzo sarà annunciata la dozzina. Sinceramente sono contenta già così, è la prima volta che partecipo allo Strega quindi anche se quest’esperienza non dovesse proseguire per me è già tanto comparire in questo momento tra i candidati.

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