Il mio, il nostro fine vita: un colloquio con Flores d’Arcais

by Felice Sblendorio

È questione di poche ore: fra oggi e domani la Consulta tornerà a riunirsi per pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme che puniscono l’aiuto al suicidio e lo equiparano, grazie a un codice penale emanato in epoca fascista, all’istigazione.

La questione, sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo a Marco Cappato che nel 2017 aveva accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera, ritorna nelle mani della Consulta dopo l’inutile tentativo di far legiferare il Parlamento su un tema così importante in materia di diritti civili in Italia. Ma mentre le polemiche politiche rincorrono le dichiarazioni severe e puntute della Chiesa fra pressioni e ingerenze, il dibattito pubblico ritorna all’origine del tema: come è giusto trattare il nostro fine vita? Può ognuno di noi condizionare il proprio corso, oppure la nostra libertà di decisione deve essere condizionata da un estraneo, da una asettica maggioranza o da un altro potere con un preciso orientamento spirituale e ideologico? A queste domande ha cercato di rispondere il professor Paolo Flores d’Arcais, filosofo e direttore della nota rivista culturale “MicroMega” nel denso pamphlet “Questione di vita e di morte” (Einaudi, pagine 136, 12 euro). Il contributo del noto filosofo “radicalmente ateo”, allontanando giudizi sul singolo tema, analizza e approfondisce i temi del fine vita, del suicido assistito e dell’eutanasia destrutturando le teorie che vengono opposte con frequenza quando si parla di questo diritto: quelle naturali, morali e religiose fra le più significative. In attesa della pronuncia di domani che potrebbe mettere un punto fermo sul tema, colmando le lacune legislative con una sentenza additiva oppure concedendo ancora più tempo al Parlamento (che non ha prodotto neppure un testo base), bonculture ha intervistato Flores d’Arcais in occasione dei Dialoghi di Trani.

Professore, partirei dall’attualità: il Cardinale Bassetti in questi giorni ha affermato che “Va negato un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente”. Tutto il contrario di quello che lei dice in questo libro: è così?

A tutti coloro che sostengono la posizione del Cardinal Bassetti sottopongo una domanda molto secca: sul vostro fine vita preferireste decidere voi oppure relegare una scelta così personale a qualcun altro? Io ho posto questa domanda in occasione di dibattiti e mai nessuno dice: “Preferisco che decida lei, che decida un estraneo che non so chi sia, che ha valori completamente diversi dai miei”. Tutti pretendono che sul loro fine vita decidano loro stessi. Ora, per quale motivo, visto che tutti pretendono una propria autonomia di scelta, ci sono alcuni che oltre a decidere sul proprio pretendono di decidere pure sul mio, sul suo, sul fine vita degli altri? È una pretesa assurda che non sta né in cielo, né in terra. Il diritto all’eutanasia è un diritto della sfera privata di ognuno di noi, che non dovrebbe neanche essere posto ai voti di una maggioranza perché anche una minoranza risicatissima, che nell’ideale simbolico è il singolo cittadino, avrebbe diritto a decidere quello che vuole. Questo diritto è uno di quelli che non sono possono essere messi in discussione.

Credo che le vostre prospettive siano inconciliabili: Bassetti parla di dovere, lei parla di diritto alla vita. Se non siamo in grado di rifiutare questo dono, scegliendo autonomamente il suo corso, cosa diventa la vita?

Che senso ha dire che la vita è un dovere, visto che poi il Cardinale parla di dono? Posto che l’espressione “vita come dono” è sempre utilizzata in forma retorica, perché ovviamente si intende dono di Dio e questo limita il concetto ai soli credenti: un dono è tale se io lo posso rifiutare, se io non lo posso rifiutare non è un dono ma una condanna. Si parla di dono da condividere con gli altri: questo, però, non è un dono. Io un dono posso rifiutarlo, tenerlo tutto per me, regalarlo. Un dono è questo, altrimenti si parla di dono ma s’intende altro: il dovere secondo la morale di Santa Romana Chiesa. Cambia tutto. 

Lei destruttura quella linea di pensiero della vita come bene indisponibile e parla di vita umana per rendere particolare questo concetto. Perché la natura non riesce a legittimare questo divieto?

Perché l’esistenza dell’uomo è quanto di più innaturale ci sia: dal primo momento in cui l’essere umano ha cominciato a utilizzare delle erbe facendo infusi per curare delle ferite la sua vita non è stata più una vita determinata dalla natura, ma dall’intervento dell’uomo sulla natura. Dire che la morte deve avvenire in modo naturale non significa assolutamente nulla perché noi interveniamo sempre contro la natura, contro il suo andamento spontaneo fin dall’inizio della nascita: se non intervenissimo in molti parti morirebbe sia la mamma che il bambino. Chi parla di lasciar fare alla natura dovrebbe riflettere sulla radice della parola antibiotico: anti-bios, contro la vita, quella dei batteri, agenti che ci fanno del male e che noi distruggiamo. Quella della natura è una tesi assurda. Ne parlavano già gli stoici, Montaigne, Hume e proprio uno di loro diceva: spostiamo il corso dei fiumi per irrigare e questo non è contro la volontà della natura? Tutta la vita umana è contro natura.

La Chiesa parla di una cultura della morte, teorizzata anche da Benedetto XVI, mentre lei parla dell’opposizione a questo diritto che è la condanna alla vita. La sua, però, non è un’apologia al suicidio: quando secondo lei, moralmente, è giusto dirsi lasciarsi andare?

Il mio libro è un’apologia della libertà e della bellezza della vita, solo che la bellezza della vita implica il fatto che chi la vive la senta come qualcosa di bello: nel momento in cui si dovesse sentire questa vita come una tortura, con che diritto condanniamo una persona alla tortura? La tortura è proibita. Io non mi metterei mai a decidere quando sia giusto prendere una decisione del genere perché è una scelta particolare, circostanziata. La legge oggi stabilisce che si possano rifiutare delle cure mediche anche se queste cure portano alla morte, e lo fa perché riconosce un diritto di libertà: nessuno può obbligare queste cure e nessuno può decidere quando è giusto o sbagliato lasciarsi andare.

Su questo tema la politica ha latitato e continua a latitare. Dopo l’anno sprecato per legiferare sul tema, il premier Conte nel suo discorso di fiducia ha detto: “Non è oggetto del programma di governo: ho ritenuto io stesso di non inserirlo perché non ritengo sia un tema che si presti ad un progetto politico”. Lei ha capito cosa voleva dire Conte? I diritti civili non sono politicamente urgenti?

Non saprei bene, ma spero che non sia così. Su questi temi, secondo me, la decisione dovrebbe essere unanime perché viviamo in una società democratica dove la vita di ognuno è uguale quanto quella dell’altro in ordine di libertà e dignità personale. Il fatto che una parte clericale del Paese pretenda di imporre la sua idea sul fine vita anche per gli altri è una prevaricazione inaccettabile che dura da più di ottant’anni, da quando il fascismo decise di inserire quei codici.

È una decisione che può prendere una maggioranza politica?

Questo è un dilemma. Io credo che un tema del genere debba unire tutti. Quando si dice che in parlamento molti sono contrari al diritto all’eutanasia dovremmo riprendere sempre quel vecchio interrogativo: e se decidesse per te il tuo nemico, ad esempio? Se si decide a maggioranza, oggi chi soffre bestialmente potrebbe non porre fine alla sua tortura, ma domani un’altra maggioranza potrebbe dire che in caso di quelle sofferenze è obbligatorio porre fine. La maggioranza ha questa particolarità: può oscillare in un senso oppure nell’altro. È ovvio che sarebbe mostruoso imporre il fine vita a chi vuole continuare la sofferenza, come sarebbe ugualmente mostruoso decidere per chi non vuole soffrire più. Ecco perché è importante concorrere per la libertà.

Fra oggi e domani la Consulta deciderà sulla costituzionalità dell’articolo 580 così come formulato nel 1930. La questione fu sollevata dalla Corte d’Assise di Milano per il caso che coinvolse Dj Fabo e Marco Cappato. Secondo lei, quale strada traccerà la Consulta?

Il percorso che veniva indicato l’anno scorso non era così preciso. È vero che si riconosceva che l’attuale legge era, ed è, in conflitto con gli altri aspetti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione, ma non vorrei che si arrivasse a dire: la legge rimane in vigore ma non si può interpretare l’assistenza al suicidio se si tratta solo di assistenza morale. Una decisione del genere sarebbe riduttiva. L’articolo 580 fascista parla di istigazione e assistenza al suicidio: la parte relativa all’assistenza va abrogata perché continua a essere, da quando questo Paese si è trasformato in una democrazia, in conflitto con i nostri diritti costituzionali.

Nei giorni scorsi, la presidente del Senato Casellati ha telefonato alla Corte per chiedere che ai lavori dell’aula venisse dedicato più tempo, rispetto a quello previsto, prima della pronuncia. Come giudica questo atto?

Fa parte del fuoco di fila per condizionare la Corte in senso anti-costituzionale, esattamente come l’intervento del Cardinale Bassetti.

I cardinali e la chiesa ritornano sempre, vedo. Anche nel suo libro è dura la critica contro le gerarchie ecclesiastiche italiane. Però non crede che, lasciando sullo sfondo le varie ingerenze, si riveli più colpevole di queste mancanze la struttura democratica? La Chiesa tutela un patrimonio di valori non negoziabili, quelli che sostengono e nutrono un percorso di fede.

Nel mio libro analizzo tutte le obiezioni al diritto di eutanasia svolte dalle tre figure più importanti della bioetica: il Cardinale Sgreccia, il Cardinale Tettamanzi e Monsignor Paglia. Sarei ben felice di sentire le teorie contrarie in un confronto pubblico da parte degli esponenti della Chiesa. Trovo curioso che la Chiesa non abbia il coraggio di dire quello che è abbastanza ovvio: noi chiediamo ai cattolici di rifiutare l’eutanasia perché per noi la vita è un dono di Dio e solo lui può decidere sul nostro corso. Quindi si stabilisce con forza il motivo di fede. È strano che rinunci all’argomento di fede, che dovrebbe essere l’elemento fondamentale per un cattolico. Forse ci rinunciano perché sanno che se utilizzassero l’argomento di fede, che è l’unico valido per l’eutanasia, dovrebbero poi accettare che in uno Stato laico e pluralista questo valga per loro ma non possa essere esteso come obbligo a tutti tramite il braccio secolare della legge. È così che la Chiesa ha smesso di confrontarsi, perché se la fede è il solo argomento convincente utile a negare il diritto di ciascuno a porre fine alle proprie sofferenze, non si può di certo pretendere che un motivo religioso diventi argomento per fare una legge. Questa sarebbe una pretesa analoga a quella della sharia.

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