Il mondo alla rovescia, Goya e i capricci dell’ultimo carnevale

by Teresa Rauzino

Il Carnevale è il periodo che dall’Epifania, 6 gennaio, va fino all’inizio della Quaresima, cioè il mercoledì delle Ceneri. Durante questi quarantasei giorni che precedono la Pasqua il consumo di carne è vietato (carnem levare).

Ma il Carnevale diventa davvero se stesso solo nei giorni del suo apogeo: esattamente tra la domenica di quinquagesima e il martedì grasso, giorno in cui, per tradizione, è consentito ogni eccesso in vista del periodo di astinenza che si inaugura il giorno dopo con le Ceneri. La dissolutezza carnevalesca può essere compresa solo se messa in relazione con la dimensione ascetica della quaresima.

Victor Stoichita e Anna Maria Coderch, nel volume “L’ultimo carnevale. Goya, de Sade e il mondo alla rovescia”, prendendo in esame temi e immagini ricorrenti sia nei mondi visionari di de Sade, sia nei mondi alla rovescia di Goya, analizzano l’immaginario di fine Settecento, nel quale predominano i concetti di “rivoluzione” e di “carnevale”, che costituiscono “i rivolgimenti” dell’ordine costituito.

La tematica del “mondo alla rovescia” fu affrontata da pochi artisti, e per lo più in incisioni. Goya è stato prolifico in questo: nei “Capricci”, con una serie di immagini grottesche e dissacranti, smaschera vizi e ipocrisie della sua epoca. Le gerarchie tra servi e padroni, tra uomini e animali, maschi e femmine sono invertite: vediamo animali umanizzati, uomini incinti, donne barbute e prese in giro delle classi aristocratiche e alto-borghesi.

Goya dipinse tra il 1793 e il 1819 ( o forse in data successiva) anche un singolare quadro a olio, “El entierro de la sardina” (il titolo è postumo), in cui descrive una festa goliardica di antica origine spagnola (“Il funerale della sardina”, appunto) che si svolgeva il mercoledì delle Ceneri per celebrare la morte del carnevale e l’inizio della quaresima. La riflessione “Ma che razza di sardina è mai questa che viene sotterrata il mercoledì delle Ceneri, proprio quando dovrebbe incominciare il suo regno di digiuno?” attribuita a Marquès de Valmar, induce a pensare che quel “disordine” forse non voleva proprio saperne di morire.

In una sorta di gioco di rovesciamento, infatti, nel dipinto di Goya non c’è alcuna traccia della sardina. Il vessillo, portato in processione da un corteo ubriaco, è sagomato con l’immagine di una enorme testa di maiale (alimento tipico del Carnevale, al contrario della sardina che è consumata nel periodo quaresimale). Un orso spunta sul lato sinistro del quadro, rimandando ad antiche tradizioni del Carnevale del nord Europa, rintracciabili anche in Italia, che vedono in questo animale il risveglio della natura dopo il letargo dell’inverno.

Inquietanti le maschere del corteo, che si somatizzano in diavoli e teschi che forse vogliono esorcizzare la paura della morte. La tentazione, che fino al giorno prima era lecita, ora con l’inizio della Quaresima è diventata peccato.

L’aspetto interessante del volume di Stoichita e Coderch, e che rende più comprensibile l’ultima evoluzione e la crisi attuale del Carnevale, è l’analisi del fenomeno in seno alla cultura occidentale. Cinque sono i punti cardini su cui si basa il Carnevale: la licenziosità, l’eccesso, il ribaltamento, il travestimento e la gioia. Concetti legati da un rapporto di complementarità, dal momento che i primi quattro si intersecano o si sovrappongono; la gioia, invece, è l’effetto finale.

Il carnevale è quindi la festa dell’alterità gioiosa. Esso celebra il periodo di deriva dell’universo come risultato del collasso dell’ordine. Il suo contrario, il disordine, trionfa e il cosmo stesso viene sopraffatto dal caos. La licenziosità conferisce al tempo carnevalesco un carattere di opposizione alla “normalità”. Ma la permissività è solo una legge temporanea: lo slogan “tutto è permesso” resta in vigore soltanto nei giorni grassi (domenica, lunedì e martedì prima delle Ceneri).

E’ da qui che nasce il desiderio di approfittarne al massimo, la frenesia di consumare la licenziosità fino in fondo. Gli eccessi (di cibo, di attività sessuale, di libertà, di gioia) nascono dal timore latente per l’avvicinarsi inesorabile della fine del tempo della permissività. La sfrenatezza è una risposta diretta ai divieti in vigore nei giorni magri (in linea di principio è l’arrivo minaccioso della quaresima a giustificare il carnevale) e indiretta a tutte le regole su cui si basa il tempo della normalità, strutturato e regolato in base al ritmo e alle necessità della vita quotidiana.

Questa strutturazione dipende dall’ordine sociale, che la licenziosità carnevalesca sospende, ma la licenza ha origine solo in se stessa. Nel XVIII secolo fu Goethe a darne la definizione più pertinente: “Il carnevale non è, in verità, una festa che viene concessa al popolo, ma una festa che il popolo si concede”. Accanto alla maschera animale, la modalità più diffusa di espressione dell’alterità carnevalesca è il travestimento sessuale. Goethe gli riserva una menzione speciale: “Ora incominciano a moltiplicarsi le maschere.

I primi a comparire sono di solito dei giovanotti travestiti con gli abiti da festa delle donne del popolo, a petto scoperto e sfacciatamente insolenti. Fanno moine ai maschi che incontrano, trattano le femmine da pari a pari con grossolana dimestichezza, e si conducono in generale secondo ciò che gli detta l’umore, l’arguzia o la volgarità”. Impossibile, in seno alla tradizione del carnevale, separare il tema del travestimento da quello del ribaltamento.

Il travestimento dell’uomo in animale implica un ribaltamento del regno della natura, quello dell’uomo in donna e della donna in uomo un ribaltamento dei rispettivi ruoli sessuali; è il rovesciamento dell’ordine sociale. Il carnevale, in quanto realtà storica, presenta limiti temporali inevitabili. Dalla seconda metà del XVII secolo si assiste a un processo di riduzione, imbastardimento e impoverimento progressivi delle forme dei riti e degli spettacoli nella cultura popolare.

La singolare percezione carnevalesca del mondo ( con la sua universalità, la sua libertà, il suo carattere utopico e la sua tensione verso il futuro), comincia a trasformarsi in semplice stato d’animo festoso. Così il Carnevale, che in linea di principio avrebbe dovuto cancellare ogni limite tra spettatori e attori, perde parte della propria forza avvolgente e quindi, in modo implicito, perde qualcosa della sua essenza più profonda. La festa si trasforma in ciò che prima non era: uno spettacolo.

Questa trasformazione fatale, che segna in effetti la morte del carnevale, fu sottolineata da Goethe, che scrive: “Nell’accingerci a una descrizione del carnevale romano, l’obiezione che dobbiamo paventare è che sia impossibile in realtà descrivere una festa del genere”. Malgrado questa osservazione iniziale, Goethe non esita a realizzarne una famosa descrizione. Descrivendo ciò che non si può (o che non si deve) descrivere, ma soltanto vivere, Goethe e Madame de Stael segnano due modi diversi di approcciarsi al carnevale nell’epoca della sua trasformazione.

Il Carnevale, tradizionale festa del tempo rigenerato, secondo Stoichita e Coderch, venne sostituito dalla Rivoluzione francese che abolì di fatto la festa. Durante il Terrore ogni maschera fu severamente vietata e «ogni maschio mascherato in abiti femminili» condannato immediatamente a morte. L’abolizione si può spiegare su più livelli. Il pensiero “illuminato” vide nel carnevale «una festa buona per i popoli schiavi». Infatti, fin dal Medioevo, la violenza latente fu tollerata dal potere soltanto come “valvola di sicurezza”, manifestazione simbolica che aveva la funzione di sostituire o evitare le sommosse popolari reali.

I ribaltamenti del Carnevale, in fondo, erano stati fino ad allora funzionali al mantenimento dell’ordine costituito. Adempivano alla loro funzione nella misura in cui erano limitati nel tempo e in quanto la loro era una violenza soltanto relativa. L’oscenità aveva il valore di purificazione, che nel Settecento si attenuò: se si infliggevano colpi, in linea di principio, lo si faceva mediante confetti e coriandoli, l’acqua con cui ci si spruzzava era profumata e per qualche giorno un pazzo o un mendicante poteva essere proclamato “re”.

Se si organizzavano esecuzioni, lo si faceva in effigie. I passaggi dalla violenza simbolica alla rivolta vera risultano evidenti se si esamina l’immaginario che ruota attorno alla Rivoluzione, e soprattutto le caricature antimonarchiche in cui domina la maschera animalesca: Maria Antonietta ha spesso sembianza di pantera, il conte di Artois di tigre, la duchessa di Polignac di lupa, mentre il re è sempre un porco. Al monarca che sta per perdere il proprio potere è riservato un ruolo carnevalesco primario: in qualità di cornuto, è già un re detronizzato; del resto non si deve dimenticare che nei carnevali tradizionali il marito cornificato (il re spodestato) simboleggiava l’’inverno in fuga. Gli vengono sottratti gli abiti, viene picchiato, ridicolizzato.

La carnevalizzazione della figura di Luigi XVI è ricca di implicazioni. La sua immagine, tramandata dalle iconografie della Rivoluzione, è segnata da un processo denigratorio progressivo, incentrato sulla sua testa coronata. Quando la derisione lascerà il posto alla violenza vera e propria, la testa del re giustiziato diventerà materiale di riflessione «per giocolieri coronati». Il passaggio dalla monarchia alla repubblica unirà così la Rivoluzione e il Carnevale. Ma la Rivoluzione, che sancì un ribaltamento “reale” del mondo, ebbe timore del Carnevale, sospettato di ulteriori potenziali ribaltamenti. Paradossalmente l’interdetto che proibì il Carnevale nel 1790 ricalcò le misure restrittive già adottate dall’Ancien Régime.

Senza successo. Il Carnevale troverà altri modi per manifestarsi. Un pamphlet, pubblicato nei “giorni grassi”, denunciò a chiare lettere che i politici della Rivoluzione si erano impadroniti, di fatto, dei diritti del martedì grasso, carnevalizzando a loro esclusivo piacimento, e senza alcun pudore, la società francese: “Il Carnevale è vietato al popolo; ma dal momento della rivoluzione voi avete stabilito un vostro ordine e ne gioite senza pudore né decenza. Proibite, minacciando ammende, ai commercianti di esporre nelle loro botteghe delle maschere e dei costumi, e non arrossite di metterveli nelle occasioni più serie e più importanti”.

E il Carnevale cosa rappresenta nella società di oggi? E’ pura metafora della vita? “Oggi sembra esservi sempre meno bisogno di Carnevale – scrive l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani – Al suo posto assistiamo, invece, con segno radicalmente invertito, a sempre più intensi processi di carnevalizzazione della vita che marcano nettamente la nostra temperie culturale e politica. […] Una carnevalizzazione siffatta si svolge non nel segno di una trasgressione reale, ma in quello della banalizzazione conformistica, per cui appare fittiziamente esaltato un Carnevale sostanzialmente tradito nelle sue istanze più profonde. Quanto più clownesca la sfera pubblica, tanto più carnevalizzata la vita sociale. Tant’è. Così appare il mondo che ci è dato vivere”.

Recensione al volume di STOICHITA V- CODERCH A. M., L’ ultimo carnevale. Goya, de Sade e il mondo alla rovescia, Il Saggiatore (collana La cultura), 2002, 352 p., ill. € 24,00.

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